INCONTRO NAZIONALE 2006 PO E AMICI
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
Sono pensionato da un anno e ho sempre fatto l’operaio generico per 35 anni. Spesse volte ci domandiamo sul destino dei preti operai. Io vorrei che la mia vita finisse tranquillamente. Ho vissuto nel mio tempo. Cosa diranno di noi? Non mi preoccupo. Da quando sono in pensione ho tempo per leggere; vado a Milano in treno tre giorni la settimana e sto leggendo i libri di Terzani. In tutto questo suo viaggiare in Asia egli trova qua e là i segni di un gesuita, di uno che è stato ammazzato, di uno che è stato in India… dei segni. Non avevo mai sentito quei nomi, eppure rispuntano. Quel che succederà non lo so, ma so quel che è successo in questo tempo a persone in questi ultimi quarant’anni in giro per l’Italia: han vissuto da cristiani nel loro tempo, ciascuno con i propri numeri. Nel mio tempo, con i numeri che ciascuno ha, abbiamo vissuto.
Riassumo la mia vita, mi bastano tre parole. Ho voluto scegliere di lavorare dove lavorano tutti, lavorare manualmente, 35 anni di lavoro manuale. Non vi dico la fatica degli ultimi due anni, enorme. Non conoscevo bene la gente, essa cambia continuamente.
Ho vissuto in una casa senza bagno, forse adesso lo faranno, non lo so, con gente di 30-35 anni, alcolizzati, stranieri; ancora oggi la casa è aperta.
Andato in pensione mi reco a Milano per servire in una mensa dei poveri, dove va tanta gente, in media 500 persone al giorno. Non ho detto che sono prete, neanche la suora lo sa ed è un anno che sono lì, nessuno lo sa.
Alla fine è così importante per la mia coscienza il dire che ci siamo stati o che non ci siamo più? Abbiamo vissuto in una certa maniera, nel nostro tempo.
È così importante il dire: la Chiesa è quella là, la Chiesa è questa? Il voler cambiare la Chiesa: che importanza ha? Vedo importante essere in pace con la mia coscienza, il non vergognarmi davanti ai poveri. Un po’ di vergogna ce l’ho sempre, ma non vado a nascondermi. Se qualcuno ti vede per strada e ti saluta, a viso aperto “ciao, ci vediamo dopo”, mi fa morire in pace.
Io non mi son messo mai a far qualcosa, mai organizzato qualcosa; non ne sono stato capace. E a volte il sentirmi trascinato nell’organizzazione, nel volere un’istituzione, mi disorienta. Forse sono un’anomalia per una chiesa che è comunità.
Però il trovarmi in pace con la mia coscienza, in fabbrica, in casa, con gli stranieri, con quelli con cui mi trovo in questa mensa mi sembra già sufficiente.
Riassumo la mia vita, mi bastano tre parole. Ho voluto scegliere di lavorare dove lavorano tutti, lavorare manualmente, 35 anni di lavoro manuale. Non vi dico la fatica degli ultimi due anni, enorme. Non conoscevo bene la gente, essa cambia continuamente.
Ho vissuto in una casa senza bagno, forse adesso lo faranno, non lo so, con gente di 30-35 anni, alcolizzati, stranieri; ancora oggi la casa è aperta.
Andato in pensione mi reco a Milano per servire in una mensa dei poveri, dove va tanta gente, in media 500 persone al giorno. Non ho detto che sono prete, neanche la suora lo sa ed è un anno che sono lì, nessuno lo sa.
Alla fine è così importante per la mia coscienza il dire che ci siamo stati o che non ci siamo più? Abbiamo vissuto in una certa maniera, nel nostro tempo.
È così importante il dire: la Chiesa è quella là, la Chiesa è questa? Il voler cambiare la Chiesa: che importanza ha? Vedo importante essere in pace con la mia coscienza, il non vergognarmi davanti ai poveri. Un po’ di vergogna ce l’ho sempre, ma non vado a nascondermi. Se qualcuno ti vede per strada e ti saluta, a viso aperto “ciao, ci vediamo dopo”, mi fa morire in pace.
Io non mi son messo mai a far qualcosa, mai organizzato qualcosa; non ne sono stato capace. E a volte il sentirmi trascinato nell’organizzazione, nel volere un’istituzione, mi disorienta. Forse sono un’anomalia per una chiesa che è comunità.
Però il trovarmi in pace con la mia coscienza, in fabbrica, in casa, con gli stranieri, con quelli con cui mi trovo in questa mensa mi sembra già sufficiente.