“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
Parlare di povertà oggi, quando il tema dominante è la lotta alla povertà, mi ha suonato un po’ male. Allora ho riflettuto e ho dato al tema la mia inquadratura.
Mi chiedo se oggi non sia più pensabile parlare di Liberazione da ogni forma di schiavitù, compresa quella della ricchezza, che non parlare semplicemente di povertà.
Infatti se i poveri lottano, e noi preti operai con loro, per uscire dalla povertà, come possiamo parlare e proporre la povertà come un valore da raggiungere? Non è una contraddizione?
Forse che il Signore Dio, al momento della creazione, non diede all’uomo tutto ciò che era contenuto nel creato; anzi, non lo aveva fatto proprio perché l’uomo ne godesse? E nel Vangelo, non leggiamo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione , ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e proclamare un anno di grazia del Signore”?
Oggi è stata anche citata la “Gaudium et spes“: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze… dei discepoli di Cristo…”
Allora, la Missione di Gesù è stata quella di annunciare a tutti, ai poveri in particolare, il lieto messaggio del Regno di Dio, non della povertà. Infatti la povertà in quanto tale non è un valore in sé, ma è solo una condizione, necessaria, per il Regno: “Cercate innanzitutto il Regno di Dio, il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Tutto ciò che non è Regno di Dio, è il resto, non è il più importante nella vita, é l’accessorio: “La vita vale più del cibo ed il corpo più del vestito ”…
Ho l’impressione, allora, che per molta Chiesa, che pure parla di povertà, il problema stia nell’avere trasformato, nel tempo, in valore primario, quello che era accessorio, “il resto”; ed in accessorio, ciò che era primario: “il Regno di Dio”. Ecco perché rischiano di suonare come prive di senso le sue parole di povertà.
Il non cercare innanzitutto i beni di questo mondo, cioè l’essere poveri, nel pensiero di Gesù, mi pare sia la condizione della libertà interiore per poter trovare il Regno; proprio perché “là dove c’è il vostro tesoro, lì ci mettete anche il vostro cuore“.
Si tratta quindi di tenere il cuore libero, della libertà garantita dalla Verità: “ Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Liberi per il Regno.
Solo così, secondo me, si può giustificare il nostro impegno a fianco dei poveri: non per portarli alla ricchezza, ma per liberarli da ogni forma di schiavitù, ivi comprese certe forme di povertà che rendono indisponibili per il Regno di Dio perché rendono disumane le loro condizioni di vita.
Detto questo, io penso che sempre, oggi in particolare, il paradigma comportamentale della Chiesa e di ogni credente debba essere preso dalla figura evangelica del Samaritano, che “si accorse” e pose attenzione su uno sconosciuto, capitatogli casualmente sulla sua strada; scese da cavallo, diede i primi soccorsi, e dopo averlo trasportato all’“albergo” e raccomandato di averne cura, pagò di tasca propria anche il conto.
Penso sia questo l’annuncio e l’operare che i poveri si attendono dalla Chiesa: l’Annuncio del Regno, accompagnato, come testimonianza, dall’attenzione e la presa in cura di chi, in un qualunque modo, è in difficoltà.
In questo contesto, mi sento più sicuro e in grado di parlare di povertà a tutti, compresi coloro con cui lottiamo per aiutarli ad uscire dalla povertà, quella degradante, che rende inumana e infelice l’esistenza di chiunque.