“A 40 anni dal Concilio: dov’è la Chiesa dei poveri?”
Mai come oggi l’umanità sa di avere mezzi e tecniche per vincere il male che la minaccia, curare le malattie, vincere il flagello della fame, … Dare istruzione a tutti … Basterebbe volerlo!
Eppure mai come oggi l’uomo mentre si sente onnipotente è contemporaneamente pieno di inquietudini, di paure, di interrogativi che non gli consentono di dormire tranquillo. Mi chiedo se siamo diventati più liberi o più borghesi? Dentro e fuori dei confini delle nazioni “opulente e progredite” chi ha pagato e paga questo sviluppo? Dentro, dobbiamo fare i conti con i ‘nuovi poveri’ che rappresentano lo ‘scarto’ di una civiltà tecnologica che produce più sperpero di ricchezza che condivisione di dignità e di giustizia. E ai margini accumula vecchi, disoccupati, giovani senza lavoro e speranza.
Inoltre nel nostro Occidente industrializzato gli Stati permettono la libera circolazione di tutto: beni, imprese, azioni, denaro. Tutto è liberalizzato, meno che la circolazione delle persone e soprattutto di quelle che hanno bisogno. In tanti, ormai stanchi di aspettare, hanno cominciato a varcare le frontiere per entrare clandestinamente in Europa, alla ricerca di un po’ di benessere e libertà. Non bussano più. Hanno deciso di sfondare la porta. Non sarebbe allora il caso di riflettere che non ha più senso resistere, in nome di un ‘discusso’ diritto alla proprietà privata? Non è così vincolante quando c’è di mezzo la fame e la morte!
Il vangelo ci racconta la parabola del ricco epulone che neppure si accorgeva del povero Lazzaro. Noi oggi siamo peggiori, perché sentiamo Lazzaro che bussa e persino sfonda la porta del nostro mondo. Che fare? Non sarebbe meglio aprirgli la porta e condividere con lui il poco o molto che abbiamo?
A seguito di questa premessa, vorrei proporvi, quasi in forma di dialogo, l’ascolto a confronto di alcuni passaggi dell’ultima ‘tradizionale’ lettera che Jon Sobrino ha scritto a Ignacio Ellacuria in occasione dell’anniversario della sua morte avvenuta nel massacro dei Gesuiti dell’Uca il 16 novembre 1989, con testi presi dagli scritti di Don Primo Mazzolari.
Tema: Extra pauperes nulla salus, fuori dai poveri non c’è salvezza
Il contesto
Jon Sobrino. “Nella società del benessere non è di moda parlare della salvezza dell’anima, né di quella del corpo. Non se ne sente il bisogno: vivere bene è l’interesse centrale di queste società ed esse si rallegrano di aver raggiunto un alto livello di benessere e di essere sulla buona strada per vivere sempre meglio”.
È evidente che in Salvador le cose non stanno così.
“Noi non viviamo in una società del benessere, piuttosto in una società del ‘mal vivere’ delle maggioranze. E quando ci offrono il ‘ben vivere’, non si preoccupano che esso porti con sé più giustizia, più verità, più umanità: in questo contesto ti scrivo questa lettera, extra pauperes nulla salus, fuori dai poveri non c’è salvezza”.
Don Mazzolari. I ‘lontani’ (gli emarginati nella Chiesa e nella cristianità) e i ‘poveri’ (gli emarginati nella società e nella storia) rappresentano i due nuclei evangelici di tutta l’avventura di Mazzolari, uomo, cristiano, prete.
Dove li ha incontrati e conosciuti? La prima esperienza decisiva è stata nelle trincee della guerra del 1914. Aveva accompagnato, prima come volontario e poi come cappellano, “i poveri che fanno tutte le guerre e tutte le perdono” : la povera gente strappata dalle campagne e dalle officine e mandata al macello senza sapere esattamente perché doveva uccidere e farsi uccidere. E quando, sopravvissuta a una guerra non voluta e pagata a caro prezzo, tornò dalle trincee trovò la stessa miseria, le stesse ingiustizie, a volte aggravate. Insieme a una società chiusa negli egoismi e nei privilegi, si è trovata davanti anche una Chiesa assente, lontana e a volte perfino dall’altra parte. I lontani e i poveri Mazzolari se li trovò così nelle sue parrocchie di campagna: prima a Cicognara, gli scopai socialisti angariati dai fascisti, a Bozzolo poi, braccianti e contadini. Cominciò a soffrire, a meditare, a lottare vicino al fossato che si era scavato tra la sua chiesa e la sua gente: un mondo di fatica incompresa, di lavoro mal pagato, di dignità calpestata.
“I poveri sono testimoni indiscreti: creditori senza titoli ma così inquietanti che dopo averli visti par quasi che i piaceri non abbian più gusto e lo star bene non sia più uno star bene.
Il povero è un aspirante al nostro posto di benestante, un concorrente, un predatore… e fa paura. Bisogna che il povero non sia!” (Zaccheo 1943).
“La sorte della povera gente non è terribile perché deve faticare, ma perché è allo sbaraglio di tutto: malattie, disoccupazione, vecchiaia. Ciò che spaventa i poveri è la perpetua incertezza. Quando si ha qualche volta patito la fame, quando non si è sicuri se la sera ci sarà da mangiare per i figli e per la moglie, le garantisco – mi diceva un operaio – che le cose non si vedono come le vede lei. Voi preti siete della brava gente, ma non sapete cosa vuol dire fame” (La più bella avventura 1934).
La salvezza viene dal basso
Jon Sobrino. “Medellin e la Teologia della liberazione hanno concretizzato l’essenza della nostra fede a partire dai poveri: i poveri aiutano ad interpretare testi e tradizioni della fede.
La salvezza viene dal basso.
I poveri non sono solo il luogo della salvezza (ubi), ma anche il contenuto sostanziale della salvezza (quid). La civiltà della povertà è quella che può superare e redimere la civiltà della ricchezza. Dai poveri proviene la luce per conoscere la verità e superare la menzogna: il Terzo Mondo è come lo specchio rovesciato in cui il Primo Mondo può vedere la sua verità. Dai poveri e dalle vittime nasce la speranza, non la paura che abbonda nel Primo Mondo“.
Don Mazzolari. Nella Lettera alla Parrocchia, già nel 1937, Mazzolari denunciava una Chiesa occupata dalla mentalità borghese: e una Chiesa arroccata nella difesa di se stessa finiva per essere assente dai movimenti storici di liberazione umana.
Ne “La Via Crucis del povero” (1939) scriveva: “Il povero è quasi fratello carnale di Gesù. Il Figlio di Dio è consustanziale al Padre. Il figlio dell’Uomo è consustanziale al povero, l’uomo vero”. In questo sta l’intuizione radicale evangelica di don Primo Mazzolari. Per questo sentì il dovere urgente e rischioso di liberare il Vangelo dalle incrostazioni e dai soffocamenti ideologici accumulati nei secoli e divenuti un inciampo alla rilettura libera e coerente con la ‘buona novella’ nel proprio tempo.
“Chi vede il Signore vede il fratello. Cristo fa paura al mondo soprattutto per i poveri che rappresenta, e li rappresenta in maniera che non ci sono più scuse. Né a incontrarlo c’è guadagno, molto meno ad accettare i suoi appuntamenti. Zaccheo non è dello stesso parere. I poveri gli portano via metà, ma gli alleggeriscono il cuore e gli preparano un tesoro che né la tignola né la ruggine possono corrodere, né i ladri portar via. Non ci danno niente i poveri: ma il metter su casa con loro è un dono che solo essi ci possono fare. Che dire poi di coloro che professano di credere nella vita eterna e si chiudono l’unica strada che vi arriva, la quale passa attraverso il Povero? Il diritto del vivere è ben più sacro del diritto di possedere. La Chiesa ha riprovato il liberalismo, e parecchi di noi per non perderci, l’hanno riabilitato fino a considerare che il tentativo di ‘tagliare le unghie’ a chi le ha troppo lunghe sia gravemente lesivo della persona. Tra le unghie lunghe e gli stomaci vuoti, sempre in nome della persona umana, si tutelano le prime e si lasciano i secondi al loro destino” (Zaccheo 1943).
“È difficile far capire a chi ha di più che egli usurpa il diritto di Dio nelle sue creature e cancella l’amore che presiede alla creazione: ma ‘chi dice di amare Dio che non vede, e poi chiude il suo cuore al fratello che vede, è un menzognero’, cioè un falso cristiano.
Chi stabilisce il di più? Stabilisce il di più la necessità di chi non ha, misurata sulla carità del cuore di Dio, ben più larga della più larga carità di una mamma.
Che strana virtù la carità! Chi ha poca carità vede pochi poveri; chi ha molta carità vede molti poveri; chi non ha nessuna carità non vede nessuno. L’occhio della carità vede giusto” (La via crucis del povero, 1939).
I redentori della storia
Jon Sobrino. “Bisogna lasciarsi orientare dal popolo oppresso. Il cristiano vede nei più bisognosi i redentori della storia. Al di fuori di loro, difficilmente si troveranno le radici di una salvezza intesa cristianamente come vita e fraternità dei figli e delle figlie di Dio.
Non cadiamo nella manipolazione che si è soliti fare dei ‘poveri in spirito’ di Matteo, come se tutti potessero essere poveri senza smettere di essere ricchi.
Quando sperimentiamo la misericordia dei poveri verso di noi, con più decisione useremo misericordia nei loro confronti. Se ci lasciamo salvare da loro, con maggior decisione vivremo e ci daremo da fare per salvarli”.
Don Mazzolari. Nei suoi scritti Don Primo usa spesso una parola originale: ‘onorare i poveri’, che per lui significa restituire la dignità ai defraudati figli di Dio. È la sua lotta per far sì che il povero non sia più l’ultimo, ma il primo.
“La nostra grande colpa come cristiani non è che dopo duemila anni ci siano ancora dei poveri, ma che sia umiliante e vergognoso fare il povero in terra cristiana, e che qualche forma della nostra carità ne abbia ribadito la vergogna.
Metterli davanti, ai primi posti, una volta tanto: potrebbe essere una messa in scena. Mi pare che ci fosse un giorno dell’anno in cui gli stessi schiavi venivano serviti a tavola dai padroni. Ma il giorno appresso si era da capo.
Gesù li mette davanti, ma c’è anche lui coi poveri, povero come tutti e di più. Egli non è spettatore: fa il povero, è il ‘Povero’. E l’onore e la dignità gliel’ha confermata al povero in questa maniera: non genericamente, alla povertà, ma a ciascuno, poiché egli è in ciascuno che ha fame e sete, che è senza casa e senza vestito, malato e prigioniero… come in un ostensorio.
L’ostensorio viene portato dal sacerdote più in alto in gerarchia. Il povero che porta l’ostensorio, di Cristo non è più l’ultimo, ma il primo; e allora lo si mette a tavola e si è felici di servirlo, perché da questo servizio dipende la nostra salvezza” (Il compagno Cristo, 1945).