Nella crisi della Galileo (3)


 

A) SENTENZA DI RINVIO A GIUDIZIO PER L’OCCUPAZIONE DELLA GALILEO

 
IL GIUDICE ISTRUTTORE PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI FIRENZE
ha pronunciato la seguente S e n t e n z a nel procedimento penale
contro BARTOLINI GIANCARLO + 152

imputati
del delitto di cui agli art. 110, 633 p.p. e cpv. C.P. per avere in concorso fra di loro e con altri ignoti, essendo in numero superiore a 10, invaso arbitrariamente, al fine di occuparli, e di fatto occupato, dal 9 al 27 gennaio 1959, gli Stabilimenti delle S.P.A. Officine Galileo di Firenze e di Doccia, turbando il pacifico possesso che di essi avevano gli amministratori ed i dirigenti della società.

con recidiva Paolieri Primaldo: specifica infraq. – Quercioli Vinicio: generica reiterata
– Silvestrin Otello: specifica – Pezzi Gino: generica reit.
 
IN FATTO E IN DIRITTO
Con rapporto in data 15/1/1959 la Questura di Firenze informava che nella serata del 9 precedente in conseguenza di una richiesta di licenziamento avanzata dalla Direzione aziendale, parte delle maestranze delle “Officine Galileo” al termine dell’orario lavorativo, si erano rifiutati di lasciare i locali dello stabilimento, allo scopo di occuparli per ottenere il ritiro dei licenziamenti e ciò malgrado la formale diffida ricevuta dai rappresentanti della direzione.
L’arbitraria permanenza di circa 200 Lavoratori nei locali dell’azienda si era prolungata e così il giorno 14, il Consigliere Delegato della Società per Azioni “Officine Galileo” aveva presentato denunzia querela contro gli occupanti, chiedendo al tempo stesso la loro estromissione. I verbalizzanti potevano accertare che, in effetti, un certo numero di persone occupava, arbitrariamente, i locali della azienda sia in Firenze che in località Doccia di Sesto Fiorentino. In base a tale denuncia, il procuratore della Repubblica in data 1 / 1 / 1959 ordinava lo sgombero dei locali, arbitrariamente occupati. L’ordinanza veniva eseguita alle ore 4 del 27 successivo. All’atto dello sgombero la polizia poteva identificare gli occupanti dei due stabilimenti. Questi unitamente a Bertolini Gianfranco, Segretario della Commissione Interna e presumibile organizzatore della manifestazione venivano denunciati per il resto indicato in rubrica. Si procedeva pertanto contro i prevenuti, ai quali con mandato di comparizione veniva contestato il delitto di invasione di edifici. […]
Ritiene pertanto il G.I. ordinare il rinvio a giudizio di tutti gli imputati per rispondere del reato loro ascritto.
 
A titolo di concorso dello stesso delitto deve rispondere Don Bruno Borghi il quale risulta aver istigato gli altri ad occupare lo stabilimento sia mediante una lettera fatta circolare ed affissa nei locali, sia oralmente, in occasione di visite quotidiane fatte agli occupanti nello stabilimento stesso.
 
IL GIUDICE ISTRUTTORE… ordina il rinvio a giudizio di fronte al Tribunale di Firenze, di tutti gli imputati per rispondere del reato loro ascritto.
Firenze 9 luglio 1960.
IL GIUDICE ISTRUTTORE f.to Dr. De Biase



B) ATTI DEL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO

RELATIVO ALLA VERTENZA DELLA GALILEO
Interrogatorio di Bruno Borghi del 15 marzo 1960


A domanda risponde:
Ho scritto la lettera in data 21.11.1958 della quale esiste copia da me esibita a c. 34 e 35 del processo, con l’intenzione di rimuovere ogni dubbio ai dipendenti della Galileo circa la liceità morale di una eventuale occupazione della fabbrica.

Ho scritto la lettera in piena coscienza e dopo aver a lungo meditato e pregato. Sono ancora oggi convinto della giustezza di quanto da me scritto. In sostanza per me il diritto al lavoro è un diritto naturale e perciò superiore ad ogni altra considerazione.
Dal punto di vista morale – questo ho voluto dire nella lettera – le maestranze occupando lo stabilimento avrebbero commesso una cosa lecita, giacché avrebbero così difeso il loro lavoro.
Mi rendo conto che in tale maniera io potevo determinare, o per lo meno contribuire a determinare le maestranze ad occupare la fabbrica: quello era in realtà il mio scopo.
A domanda risponde:
Non ho pensato al fatto se la mia lettera sarebbe stata o meno affissa all’albo della commissione interna. Io ho scritto alla Commissione interna volendo attraverso essa rivolgermi alla totalità delle maestranze.


A domanda risponde:
Tutti i giorni o quasi mi sono recato durante l’occupazione allo stabilimento, per visitare gli operai, per portar loro un aiuto morale e materiale. Ho raccolto infatti tra i miei parrocchiani cibarie varie che ho consegnato agli occupanti.

Ammetto di aver consigliato gli occupanti nella loro azione: Non ho difficoltà a fare una tale ammissione giacché quella mi sembrava la strada giusta.
L.C.S.



C) Lettera dei sacerdoti di Rifredi al giudice del tribunale di Firenze

 

I sottoscritti sacerdoti dell’Arcidiocesi fiorentina, presa conoscenza della denunzia contro il loro confratello Don Bruno Borghi in ordine al processo per i fatti delle Officine Galileo, in atto dal 20 febbraio 1961 presso codesto Tribunale, dichiarano di assumere col predetto Don Borghi corresponsabilità a tutti gli effetti, come segue:
 
a) una corresponsabilità morale in quanto che l’azione di Don Borghi non può isolarsi né separarsi dall’azione di solidarietà espressa dal clero fiorentino agli operai delle Officine Galileo in agitazione per le inconcepibili decisioni di licenziamento in massa operate dalla proprietà dell’azienda; solidarietà che gli stessi sacerdoti assunsero non solo per propria e comune convinzione ma in obbedienza al parere contenuto nella notificazione del Cardinale Arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa, datata 21 novembre 1958 e riportata nel Bollettino Ufficiale della Curia fiorentina del dicembre 1958, nonché in obbedienza all’atteggiamento di sollecitudine pastorale ripetuto in discorso ed atti dall’Arcivescovo Coadiutore Ermenegildo Florit;
 
b) una corresponsabilità di fatto da parte dei parroci di S. Stefano in Pane e di S. Antonio al Romito (zona di Rifredi), dai tre curati delle due parrocchie e dai sacerdoti dell’Opera della Madonnina del Grappa in Rifredi. Infatti, la lettera per cui Don Borghi è portato in processo non può distinguersi dall’azione di consenso, di partecipazione e di solidarietà espressa con atti specifici pubblici dal clero della zona di Rifredi, di cui Don Borghi stesso aveva fatto parte fino a poco tempo prima in quanto curato della Parrocchia di S. Antonio al Romito.
 
Pertanto la S.V. voglia prendere atto di queste due distinte corresponsabilità qui sottoscritte e voglia trarne a norma di legge le conseguenze relative.
I sottoscritti sacerdoti prendono occasione da questa circostanza per sottolineare ancora oggi la delicatezza della situazione sociale in ordine ai rapporti di lavoro, carenti tuttora di una precisa configurazione giuridica, specialmente al confronto della Carta Costituzionale e mentre si augurano che il processo annunziato serva a far progredire nel rispetto del bene comune e dell’ordine morale, oltre che esteriore, tali rapporti, fanno presente che il loro atteggiamento non intende affatto esser atteggiamento di parte, ma, nella stessa scelta esplicita di una corresponsabilità e di una solidarietà con una parte in causa, esser di monito per tutti coloro che, direttamente o indirettamente, sono interessati a questo grave problema.

seguono le firme dei sacerdoti di Rifredi


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