Frammenti di vita
Quando, oltre quaranta anni fa, il 26 giugno del 1967, moriva don Lorenzo Milani, il mio primo contatto con la scuola doveva ancora avvenire e di quell’uomo, ancora per sette anni, non avrei saputo niente, nemmeno che era esistito.
Nella primavera del ‘74, un altro prete, venuto come parroco a Pettorano sul Gizio (AQ), il mio paese, cominciò a parlarci di Lui. Le prime volte tutto mi sembrava lontano e un po’ misterioso: un prete morto che aveva passato la vita a fare scuola ai ragazzi poveri, e questi ragazzi che avevano scritto una lettera ad una professoressa. Nel giro di qualche mese tutto sarebbe cambiato: il mistero si scioglieva e la scuola, quella scuola “ispirata” a Don Milani, sarebbe diventata intensamente la nostra vita di tutti i giorni: domeniche e vacanze comprese.
Le parole di “Lettera a una professoressa”, delle “Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana”, delle “Lettere ai cappellani militari e ai giudici” sarebbero diventate il nostro “vangelo” quotidiano, accanto a quel Vangelo che avevamo imparato a leggere non ritualmente e pretendevamo fosse applicato da una Chiesa che ben presto ci spiegò che sbagliavamo e, più di noi, sbagliava quel prete che ci metteva in testa idee strane. Eppure a noi quelle idee non sembravano assolutamente strane e non lo sembravano nemmeno alla maggioranza della gente che seppe esprimere una grande resistenza ad una decisione della curia di Sulmona – la rimozione del nostro parroco e maestro – vissuta come grande ingiustizia., Attraverso quelle strane idee imparammo a riconoscere la dignità del lavoro, la storia e la cultura dei nostri padri; imparammo a riconoscere le ingiustizie del mondo dalla viva voce di chi era nato o aveva scelto di andare a vivere nei luoghi dove la sofferenza era più terribile; imparammo che si poteva essere “insegnanti” dei propri compagni più piccoli senza essere diplomati o laureati; imparammo che informarsi, leggere il giornale, ascoltare il giornale radio e parlarne insieme era una “materia” appassionante; che I care, mi sta a cuore mi interessa, era il motto dei giovani americani migliori, al contrario del motto fascista me ne frego; imparammo che “il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne[uscirne] da soli è l’avarizia [l’egoismo]. Sortirne tutti insieme è la politica”; imparammo che leggere un libro per non “raccontarlo” a nessuno è un atto di egoismo; imparammo che la cultura deve essere messa a disposizione di chi ne sa di meno; imparammo che spesso anche le cose complicate si possono dire con parole semplici per farsi capire (niente a che vedere con la semplificazione televisiva dei nostri giorni, ovviamente); imparammo ad avere scambi e relazioni con tutti coloro che come noi facevano scuola o doposcuola ispirandosi a don Milani; imparammo che più del metodo contava una grande passione; imparammo che la parola è un’arma potentissima; che si può scrivere insieme individuando il destinatario dello scritto in chi conosce meno parole; imparammo che a Dio si può arrivare facendo scuola ai poveri; imparammo che anche la presa del palazzo d’inverno non avrebbe garantito automaticamente più giustizia per i poveri; imparammo che non c’è peggiore ingiustizia di fare parti uguali tra disuguali; imparammo che l’obbedienza non era più una virtù, se mai lo era stata. Grazie al nostro parroco, don Lorenzo Milani era vivo, la sua forza, la sua passione, la sua intransigenza, la “violenza” con la quale difendeva la sua scelta radicale dalla parte dei poveri ci sono entrate dentro visceralmente. Ci hanno sostenuto nel fare cose che non avremmo mai fatto senza quelle convinzioni profonde.
Antonio Carrara
presidente della Comunità Montana Peligna,
Sulmona / AQ