Sguardi dalla stiva


La disumanità non apre alcun futuro, anzi, ne è la negazione. Non solo per le vittime, soprattutto per chi si arroga il diritto di negare l’umanità degli altri. All’indomani del varo della legge sul reato di clandestinità, tre “cittadini italiani” a Roma si sono sentiti in dovere di aggredire un uomo congolese, in Italia dal 2004 e rifugiato politico dal 2008, con queste motivazioni: “sporco negro, tornatene a casa. Noi facciamo la volontà del governo. Gli immigranti se ne devono andare”. E giù botte. Tre contro uno — coraggio eccezionale — e nessuno interviene per difenderlo.
Il governo dice che la legge è frutto della volontà del popolo. E chiunque del popolo potrebbe trarre ispirazione dallo spirito e dalla lettera della legge per compiere atti di delinquenza pura e gratuita. Il cerchio si chiude.
Ci sono centinaia di migliaia di clandestini che lavorano in Italia. Tutti lo sanno. Da anni girano richieste di regolarizzazione. In effetti, non si vuole regolarizzarli, anche se lavorano. A troppi fa comodo che vi sia un esercito di clandestini da sfruttare, da ricattare e da criminalizzare quando serve. Una riedizione della schiavitù. È frequente sentire dai media che dei clandestini sono morti sul lavoro, nei cantieri, nelle campagne… Anche su questo nessuno fa una piega. È pura routine. I reclamizzati “respingimenti” sono stati atti reali, ma anche simbolici.
Simboli di disumanità. L’ordine era di non guardare in faccia a nessuno: se c’era gente che fuggiva da situazioni di persecuzione nei propri paesi d’origine, se c’erano bambini, se c’erano persone per le quali le norme internazionali riconoscono il diritto d’asilo politico…: niente!
Dopo uno sbarco forzato sulle coste della Libia due donne giovani, poche ore dopo, giacevano morte abbandonate sulla sabbia. Erano state scaricate in fin di vita.
Dicevano i vecchi proletari, riferendosi alle condizioni disumane del lavoro “pietà l’è morta”.  E se è così non c’è futuro…
Credere di garantirsi un futuro scaricando l’aggressività su quelli che, per ora, sono più deboli è  illusione di sicurezza.
Una sicurezza inseguita mediante la disumanità non fa altro che aumentare l’insicurezza (vedi in Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale). Colpire “capri espiatori” dà soltanto la parvenza di sicurezza.
Ne è una prova la crisi economica, i cui frutti amari non sono ancora davvero arrivati. Essa non è partita dai paesi poveri, ma da quelli più ricchi. Di essa si tratta come evento fatale simile al terremoto d’Abruzzo: la famosa “bolla”. Ma non c’è nulla di fatale. Ci si è ben guardati dal diffondere le ragioni vere, cioè le responsabilità tutte umane di scelte finanziarie “criminali”. Eppure proprio da queste scelte finanziarie, alcune delle quali sono state dichiarate da Warren Buffet, uno dei maggiori finanzieri del mondo, “gli equivalenti finanziari delle armi di distruzione di massa”, condivise o tollerate anche da chi aveva altissime responsabilità politiche e istituzionali, è derivata una abissale situazione di insicurezza e precarietà globale. Su questo dato che coinvolge tutti, si continua a vendere fumo. In compenso si alimentano pulsioni xenofobe.
Da una cultura razzista non c’è da aspettarsi nulla di buono. Essa sbaglia completamente il bersaglio, fomentando una disumanità che non apre nessun futuro. Quando non si riconosce l’umanità dell’altro, si nega anche la propria. Ed è la peggiore sventura che possa capitare, ai singoli come alle collettività.

Roberto Fiorini

 


Se il tuo Cristo è ebreo,
se la tua democrazia è greca,
se la tua scrittura è latina,
se i tuoi numeri sono arabi,
se la tua maglietta è cinese,
se le tue vacanze sono slave
o caraibiche o africane
o asiatiche o indiane,
allora mi puoi dire come mai
il tuo vicino non può essere straniero?»

(scritta sui muri della metropolitana)


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