Primo gruppo di lavoro
Una parte dell’incontro dei preti operai è stata dedicata alla riflessione sui disagi che si provano nella chiesa e sulle domande che essi suscitano.
Ci si è domandati se ci sono dei segni di speranza che possano dire: sì, è possibile? Partendo dalla nostra storia di preti operai, quale chiesa abbiamo provato ad esperimentare e quale consegna?
Un dialogo attento e intenso, fatto da persone che sentono gli anni sulle spalle ed hanno vissuto intensamente la loro vita nel lavoro, nei gruppi, nelle comunità, nelle lotte operaie, spesso pagando di persona a caro prezzo le proprie scelte che hanno lasciato il segno. Un discorrere con pacatezza, senza rancori ma con lucidità. Questo è il sunto di quel dialogo e degli interventi:
“Si percepisce nella chiesa e nella società, l’assuefazione a questo tipo di mondo, non può che essere così. E l’individualismo è cresciuto, a scapito dell’esperienza della comunità. Un disagio per l’ipocrisia che si annida nella chiesa, che non vuole chiamare le cose per nome. Una chiesa sempre “contro” ma tollerante verso un certo modo di vivere, incapace di alzare la voce”
“Il disagio pone delle grosse domande, ma si ha la sensazione che si viva , si agisca e si parli come se non fossimo di fronte a un cambiamento epocale. Si sta uscendo da una situazione che possiamo dire al capolinea, e questo può essere un segno di speranza perché la crisi ha un rovescio: è finito un racconto che ha ormai poco da dire e si aprono altri racconti. Si continua tuttavia a tappare i buchi in attesa che passi e tutto ritorni come prima”.
“Nelle riunioni con i preti di zona, ho la sensazione che si parlino altri linguaggi, che la gente non capisce. Un cristianesimo legato agli eventi, vedi la Sindone, le giornate della gioventù ecc. Non si parla mai della propria vita, dei problemi e per questo non si riesce a stare sulla stessa lunghezza d’onda. Se si vivono le stesse problematiche si riesce a entrare in sintonia”.
“La chiesa è fatta di uomini, è prostituta, ma sempre nostra madre. Un altro disagio è la mancanza di povertà e in molti preti c’è la ricerca del benessere . Difficilmente si riesce a vedere la povertà nei preti. E’ evangelico non accettare soldi e fare solo quello che anche un povero può fare. C’è un attaccamento all’efficienza , non alla fede in Cristo”
“Chi agisce in maniera diversa è visto con sospetto. Si vuole un modo di vivere uguale per tutti, il dove abitare, il modo di vestirsi. Ma la sensazione è che sia il “cestino” a determinare il tutto”.
“La parabola del fico mi dice che bisogna leggere i segni dei tempi , è importante fare opera di discernimento. Ma c’è una mancanza di profezia . si parla solo di aborto, della pillola anticoncezionale, di valori irrinunciabili, ma non dei disagi delle persone, della fame. Non ci sono stimoli a leggere i segni dei tempi. Romero parlava del ministero della consolazione e della pastorale dell’accompagnamento. Questa potrebbe essere una pista per noi. Quando si vivono gli stessi disagi, le stesse sofferenze è più facile entrare in comunicazione. Come preti operai siamo usciti dal ruolo, parlando non di quello che si deve fare per gli altri, ma di noi, del vissuto”.
“Un altro disagio è che non si prende sul serio la parola di Dio e nelle scelte concrete essa non conta. Più che mai vedo l’importanza della consegna di questa Parola alla gente, che è stata come derubata”.
“Non dobbiamo pensare di essere dei salvatori del mondo, ma ci verrà chiesto solo se abbiamo dato da mangiare al povero, vestito il nudo, assistito l’ammalato… Qui sta il centro del nostro agire. Per non morire disperati facciamo quello che possiamo indipendentemente dai risultati. Ci sono degli spazi che il vecchio Matteo Ricci delineava: ‘Realizzare qualsiasi contatto non perché ho delle verità da proporre ma perché ho un atteggiamento di amicizia”
“Non dobbiamo essere senza speranza. C’è un desiderio di acqua pulita, la gente ha bisogno di verità e giustizia e va là dove la trova. Le sorgenti ci sono e le persone vanno proprio là. E poi il regno di Dio è più vasto della chiesa: “Mi rendo conto che chiunque ama e opera per la giustizia, a qualunque popolo appartenga è gradito a Dio” dirà Pietro negli Atti degli Apostoli”.
“Tra i disagi ne scelgo uno: il silenzio della chiesa. Il re è nudo e di fronte al re che passeggia nudo c’è il silenzio, l’unanimismo del silenzio. Il motivo di questa complicità è l’opportunismo, la paura, la prudenza e la stanchezza. Come mai vescovi e cardinali che vanno in pensione si mettono a parlar chiaro, mentre prima stavano zitti? Quello che è più terribile è l’autocensura e la paura di che cosa dirà la gente. Paura di perdere la parrocchia e lo stipendio. Questa chiesa che ha autoalimentato la mistica dell’obbedienza e dell’appartenenza non ha nulla da dire.
Ma è veramente la chiesa di Cristo? Una chiesa nata come mezzo è diventata fine e mira solo alla sua autoconservazione. Anche il Concilio stesso è stato ancora troppo ecclesiocentrico. Si può immaginare una sequela di Gesù ma fuori dalle mura, dal tempio e dalla religione”.
A cura di Mario Signorelli