Interventi


Ho iniziato tante volte a tentare di scrivere quelle riflessioni che mi ero sentito di promettere a Roberto dopo la giornata del 1° maggio a Bergamo, ma finora non c’ero riuscito. O meglio, mi erano usciti degli incipit che non solo non mi piacevano, ma, lasciandosi portare troppo dietro ad una nostalgia del cuore, mi pareva soprattutto tradissero la prima e fondamentale caratteristica di quella giornata: la sua (e quella di ciascuno di voi) laicità.
Mi voglio dare una giustificazione dicendo che erano molti anni che non mi capitava di mettermi in una situazione di riflessione ”religiosa” e quindi di ritrovarmi a fare i conti con parole con cui non sono più stato in sintonia o perché si sono spogliate di significato o perché il loro senso nel mio cammino personale si è profondamente modificato ed oggi mi giunge diverso e ben altro da allora…. Ci sarebbe, in questa logica, da porsi domande sul significato della fede come dono e come libera scelta, come sul senso della storia (quella “grande” che ci avvolge tutti e quella “piccola” di ciascuno di noi) intesa da un verso come accadimenti che ci condizionano e dall’altro come assunzione di responsabilità che porta a modificarla. Ma ci porterebbe lontano e, forse, non proprio nella direzione che oggi mi preme.
Dicevo della laicità che è emersa limpidissima, del clima, dell’atteggiamento, dei gesti di ciascuno, delle parole (sono le cose che hanno colpito moltissimo anche mia moglie!), anche quelle così complesse e difficili da pronunciare come lo sono quelle che hanno in qualche modo a che fare con un dio.
Hanno risuonato dentro di me con un tono antico e nuovo nello stesso tempo, un tono che per la prima volta dopo anni ho riscoperto se non proprio familiare, certamente conosciuto, o meglio, ri-conosciuto. Voglio dire cioè che ho avverrtito la possibilità che tutto quanto in questi anni ho pian piano rimosso (perché mi sembrava avesse sempre meno a che fare sia con il mio personale quotidiano, sia con quello del destino degli uomini e delle cose che mi stanno intorno e con cui si costruisce comunque la storia) potesse tornare ad avere un qualche significato.
Certo, nessuna “caduta da cavallo” sulla strada di.. “Bergamo”, ma ritrovare possibili sintonie e probabili percorsi comuni, se pur incerti ed impervi, mi ha fatto percepire un senso di comunanza e di appartenenza al destino comune che fa bene all’anima.
L’Esodo di cui ci ha parlato Armido assomiglia troppo all’esodo della vita di ciascuno perché non lo si possa e lo si debba sentire intimamente proprio: sono io che sto in Egitto, schiavo di qualche padrone, sono io che anelo di potermi liberare ed andare verso la terra promessa ( ma quale?), sono io che oggi sono in cammino con speranza e domani sono fermo con stanchezze esistenziali, sono io che dispero, esausto ed in preda alla paura, di poter andare avanti, sono io che mi guardo indietro con ignobili rimpianti, che mi attardo in terre che non fanno parte di alcuna promessa, sono io che mi lascio attrarre e distrarre da idoli insensati……
Ma esiste questa terra o è sempre e solo una “promessa”? E’ solo un inganno che ci fa compagnia e ci consola in questo inevitabile peregrinare? E questo dio, se c’è, che parte ha? Da che parte sta? E’ lui ( o un destino) che conduce il gioco vero ed io sono solo un burattino nella sue mani? E’ dunque un’illusione credere di essere protagonista di una storia?
Chi ha ( o si dà), infine, il diritto di rappresentare questo dio, di parlare in suo nome?
Torna inevitabile il problema di ciascuno del credere in una trascendenza, ma torna anche il problema più immanente dei “segni” dentro la storia e se sul primo cala il doveroso rispetto della coscienza di ciascuno, sul secondo non può non pesare il giudizio della storia.
Voi, che siete una piccola (anziana e “pensionata” purtroppo”!) parte di quella chiesa che si pone nella storia come “segno” dei e nei tempi, mi avete riflesso un dio che ho percepito dalla mia parte, un annuncio di speranza e di liberazione, una offerta di fratellanza che è condivisione e partecipazione. Mi avete trasmesso proprio quello che un tempo mi aveva fatto pensare di “credere” e che nel tempo poi si è svaporato fino a farmi pensare, rispetto alla Chiesa ufficiale, di aver letto un altro Vangelo e di aver creduto ad un altro Dio.
Forse la mia fede ( o ciò che ho pensato fosse “fede”) è stata in realtà una costruzione puramente razionale che aveva come oggetto le vicende e le parole dell’uomo Gesù fino alla croce, ma che non hanno travalicato quell’incerto confine costituito proprio dallo “scandalo della croce” che è sconfitta per chi non crede e vittoria per chi crede in quel “dopo” che si chiama resurrezione.
La validità del messaggio ha retto quindi fino a quando ne ho percepito la sua potenziale dirompente forza liberatrice “per l’uomo concreto” e fino a quando mi è parso che la chiesa volesse cercare di incarnare questa grande speranza e solo così essere segno credibile di quella salvezza eterna di cui pretende di essere annunciatrice.
Con voi ho rivissuto almeno questa parte e mi è rimasta la consapevolezza che ci sarà ancora molta strada da fare …magari anche assieme.

Alessandro Monicelli


 

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