Memoria biblica


 
Qualche tempo fa ho letto questo aneddoto sufi:

“In tempi antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo a una strada. Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendeva la briga di togliere la grande roccia in mezzo alla strada. Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono di lì e si limitarono a girare intorno alla pietra. Alcuni protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da lì. Ad un certo punto passò un contadino con un grande carico di verdure sulle spalle che, avvicinandosi alla pietra, poggiò il carico al lato della strada tentando di rimuoverla. Dopo molta fatica ed ore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al bordo della strada.
Tornò indietro a prendere il suo carico e notò che c’era una piccola borsa nel luogo in cui stava la pietra. La borsa conteneva  molte monete d’oro e una lettera scritta dal re che diceva che quell’oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada”.

 
Questo aneddoto mi richiama il tema del prossimo incontro nazionale, sulla pietra in cammino, che per alcuni diventa d’inciampo e motivo di scandalo, per altri una sorpresa carica di significato.
Se la pietra rimane fissa è solo d’inciampo, se si sposta a lato si trova un tesoro. Qui si richiama il tema del centro e della periferia: la pietra, va spostata, deve muoversi , non può rimanere al centro. “La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo. Questo è opera del Signore, è cosa meravigliosa ai nostri occhi” ( Sal 118,22). Lo stesso concetto viene espresso da Isaia 28,16: “Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido: chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire”.
Una pietra scartata diventa centrale, perché sta in periferia, pietra angolare perché sta all’angolo. La periferia e l’angolo sono luoghi non chiusi, si aprono alle realtà soprattutto “marginali”, che non sono insignificanti ma che stanno al margine. La periferia è più vasta della città, è più variegata, più complessa, non omogenea. Per questo diventa il laboratorio di idee e di interculturalità. L’esperienza di Gesù è quella della periferia, delle relazioni con i marginali: essi sono i privilegiati del regno: “Beati voi poveri, perché a voi appartiene il regno ”. Un Cristo che diventa pietra angolare non perché prima scartato, ma perché era al margine. Mi piace il tema della marginalità, che è stata ed è tuttora la vita di noi preti operai. Si è dentro nella realtà quando si sta con chi è fuori, con chi non conta, con chi è escluso.
La simbologia della pietra è molto cara al pensiero biblico. Essa comprende anche la montagna, la roccia. C’è la pietra che Giacobbe utilizza come cuscino e mentre dorme sogna la famosa scala, dove gli angeli, che sono i profeti ,salgono e scendono. Non una scala a pioli o di legno, ma una scala che richiama gli ziggurat babilonesi. Una scala di pietra-mattoni, che è in movimento perché degli angeli-messaggeri salgono dalla terra al cielo e scendono dal cielo alla terra: dall’umanità verso Dio e da Dio verso l’umanità. Quindi una pietra in movimento e il cuscino-pietra fa sognare e in quel sogno c’è la presenza di Dio. “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo” (Gen 28,10 ss). Giacobbe la alza e la erige come una stele e versa olio sulla sua sommità. E’ come la dedicazione di un tempio, costruito su una visione, su un’unione tra la terra e il cielo, non nella contrapposizione. La pietra fa scoprire i luoghi inattesi e inaspettati della presenza di Dio che non è solo là dove noi siamo abituati a metterlo e dove abbiamo sempre ritenuto che egli fosse. Rompe gli schemi e fa saltare tutte le certezze. Un Dio che non è “o qui, o là”, il famoso  “aut-aut”, ma lui è qui, là, ed anche in altri luoghi e situazioni, l’et-et. L’ascoltare le storie degli uomini e delle donne, nelle loro sofferenze, nei loro sogni ci fa dire: “il Signore è in questo luogo ed io non lo sapevo”. Muoversi diventa allora non solo andare verso una meta, o prefiggersi una meta, ma anche aprirsi alla sorpresa. Questo esula dagli schemi attuali, che dipendono dai programmi, dove diventa impossibile adeguarsi all’inaspettato in corso d’opera. La macchina è stata impostata in un certo modo e deve raggiungere dati obiettivi e l’inatteso, che possiamo chiamare il sassolino nell’ingranaggio, la pietra d’inciampo, non è considerato.
L’altra immagine della pietra si trova in Daniele 2,1ss. Qui è un piccolo sasso che evoca, nella mentalità giudaica di quel tempo, l’intervento divino. C’è un contrasto tra la statua e il sasso: essa è fatta dall’uomo, mentre la pietra non è mossa dalla mano dell’uomo. Dio si contrappone all’idolatria con una piccola pietra, distruggendola.  Immagine che richiama i sassolini che Davide scaglia contro Golia con la sua fionda. L’idolatria si ammanta sempre di grandezza, di stupore, di cose appariscenti, mentre l’operare di Dio parte sempre dal piccolo, da qualcosa che apparentemente non si vede, come il piccolo seme, simbolo del Regno.  Le grandi trasformazioni, le palingenesi, non fanno parte della pedagogia di Dio. Nel nostro tempo si piantano alberi grandi perché si vuol vedere il parco o il giardino già  ultimato. Non si ha la pazienza di aspettare che il piccolo albero cresca di anno in anno. E’ la filosofia del “tutto e subito”. Ma quello che nasce in fretta, muore anche in fretta, come gli “eventi”, i grandi raduni che alla fine lasciano solo rifiuti .
Nel libro dei Numeri al capitolo 20 si parla dell’acqua che scaturisce dalla roccia, percossa da Mosè, quasi per indicare che se non c’è una spinta quell’acqua non esce. Dio ha i sui progetti sull’umanità, ma se non c’è chi li accoglie,  chi spinge e chi si lascia spingere,  essi rimangono lettera morta. Noi siamo le mani di Dio e quindi il fatalismo non ha ragione di esistere.
 
Un altro aneddoto parla  ancora di un sasso:

In un villaggio una donna ebbe la sorpresa di trovare sulla soglia di casa uno straniero piuttosto ben vestito che le chiese qualcosa da mangiare. “Mi dispiace”, ella rispose,  “al momento non ho in casa niente”. ”Non si preoccupi”, replicò lo sconosciuto amabilmente. “ho nella bisaccia un sasso per minestra: se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande, per favore”.
La donna era incuriosita. Mise la pentola sul fuoco e andò a confidare il segreto del sasso per minestra a una vicina di casa. Quando l’acqua cominciò a bollire, c’erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero e il suo sasso. Egli depose il sasso nell’acqua, poi ne assaggiò un cucchiaino ed esclamò con aria beata: “Ah, che delizia! Mancano solo delle patate”.  “Io ho delle patate in cucina”, esclamò una donna. Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo. “Eccellente”, gridò. Poi però aggiunse con aria malinconica: “Se solo avessimo un po’ di carne, diventerebbe uno squisito stufato”. Un’altra massaia corse a casa per andare a prendere della carne, che l’uomo accettò con garbo e gettò nella pentola. Al nuovo assaggio, egli alzò gli occhi a cielo e disse. “Ah, manca solo un po’ di verdura e poi sarebbe perfetto, veramente perfetto!”
Una delle vicine corse a casa e tornò con un cesto pieno di carote e cipolle. Dopo aver messo anche queste nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e dichiarò con tono imperioso: “Sale e salsa”. “Eccoli”, disse la padrona di casa. Poi un altro ordine: “Scodelle per tutti”. La gente corse a casa a prendere le scodelle. Qualcuno portò anche pane e frutta. Poi si sedettero tutti a tavola, mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile zuppa. Tutti provavano una strana felicità, ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro primo vero pasto comune. In mezzo all’allegria generale, lo straniero scivolò fuori silenziosamente, lasciando il sasso miracoloso affinché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la minestra più buona del mondo.

Si potrebbe pensare a una frase dell’ Apocalisse 2,4: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince, gli darò della manna nascosta e gli darò una pietra bianca, e sulla pietra scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve”.  Si riesce a fare comunità e chiesa, quando c’è la partecipazione e l’apporto di tutti con i diversi nomi e carismi, le diverse culture  ed anche con una punta di allegria e di gioia
Il “sasso” se lasciato fermo non produce nulla, ha bisogno di condivisione, di essere laboratorio d’idee, altrimenti può diventare un idolo muto, che non dice più niente rinchiuso nel sacco, nei templi, come un’energia sepolta. La pietra deve rotolare dal sepolcro perché Lui possa uscire e sprigionare la risurrezione.

“Fino a quando nelle nostre città la costruzione del Regno non sarà organizzata dagli amici del cambio, dai poveri che si ribellano, dagli appassionati della rivolta, dai poveri che si ribellano, dai condannati alle piccole croci quotidiane, da chi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente spogliato di tutto come il Cristo, da chi viene abbeverato con l’aceto e il fiele di una vita insostenibile, avremo sempre aurore senza mattino, e i macigni continueranno ad ostruire i nostri sepolcri, lasciandoci privi di una memoria spiritualmente eversiva. Le pietre scartate dai costruttori fanno le sorti della storia. Il loro anelito di vita muti in serbatoio di speranze questa allucinante vallata di tombe che è la terra”. (Tonino Bello)

Si parla tanto di cammino, percorso, ma verso dove? Il percorso potrebbe essere anche quello del labirinto, dove è difficile uscire con il rischio di rigirare su se stessi, sugli stessi percorsi come sta avvenendo in questi ultimi decenni. E’ necessario un filo di Arianna che ci conduca alla porta, all’origine. Questo filo potrebbe essere un progetto che non ripercorre le tappe trite e ritrite ormai senza  energia e vuote, con compagni di viaggio che sono i veri soggetti del Regno, quelli amati da Gesù, pietre scartate, detriti dell’umanità. Ritornare al progetto di Gesù di Nazareth ed anche più indietro: alla creazione, al momento della benedizione della terra e alla gioia di Dio di vedere le sue creature. E’ partire da un altro paradigma, non da quello del peccato che ha portato solo alla dottrina che, come dice M. Fox, “essa serve come parametro, un po’ come le linee bianche che delimitano il campo di calcio, entro i cui limiti i credenti giocano la propria fede. Quando la dottrina diventa il punto di partenza della fede, la fede è già morta”. ( M.Fox, All’inizio era la gioia” ).
Partendo dalla creazione è più facile eliminare il dualismo tra l’uomo e la terra. Essa  è il luogo di Dio con tutte le creature senzienti e la natura che cesserà di essere     luogo di conquista, ma la casa di tutti da custodire, senza confini e steccati, dove il destino è comune: ogni uomo è mio fratello, specialmente chi sta al margine perché anch’egli diventi “pietra angolare”, non un naufrago alla deriva.
 

Mario Signorelli


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