In preparazione al Convegno di Bergamo 2011


 
1. La crescente disuguaglianza, di cui abbiamo già parlato due anni fa, ha prodotto uno svuotamento della struttura sociale, portando ad uno “smagrimento” delle classi medie. Da un lato occorre capire meglio cosa ci abbia condotto a questo punto. Lo scontro tra capitale e lavoro ha spostato la distribuzione funzionale del reddito a favore del primo; ma è la redistribuzione all’interno del lavoro che ha prodotto le conseguenze più vistose. A questi esiti ha contribuito sicuramente la maggior mobilità del capitale e dei suoi managers rispetto ai lavoratori.

Ma basta questo a spiegare il divario di retribuzione tra Marchionne e gli operai di Fabbrica Italia o Chrysler ? e perché i primi guadagnano meno dei secondi ?
Vi è quindi un primo tema legato alla determinazione della distribuzione dei redditi all’interno della società italiana, dove è possibile riconoscere alcune tendenze di lungo periodo. Tra queste è facile indicare la globalizzazione, che nel caso italiano ha significato la graduale marginalizzazione nella distribuzione internazionale del lavoro, e la flessibilizzazione, che sempre nel caso italiano ha significato una crescita dell’occupazione per dieci anni senza parallela crescita della produttività.

 

2. Un secondo aspetto è legato ai riflessi sociali che queste trasformazioni producono. Revelli la chiama “modernizzazione regressiva”. La crescente polarizzazione non trova argini dal momento che la rete di salvataggio pubblica, formata dalla spesa (talvolta anche clientelare) di enti e amministrazioni locali si sta asciugando, senza essere rimpiazzata da un sistema di welfare più universalistico. L’Italia si sta avviando verso uno stato sociale a macchia di leopardo: nelle regioni ricche e non in disavanzo si manterranno le prestazioni socio-sanitarie e assistenziali (dai testi scolastici al contenimento dei ticket sanitari), mentre nelle altre queste prestazioni scompariranno. La mancanza di iniziativa dello stato centrale, logorato degli anni di berlusconismo leghista, renderà evidente il mancato effetto redistributivo, contribuendo ad un rafforzamento delle diseguaglianze geografiche.

 

3. Le istituzioni pubbliche esercitano anche un ruolo redistributivo nei confronti degli scambi tra generazioni. Il grande escluso in Italia è la generazione dei giovani attualmente tra 20 e 30 anni (la chiamano la generazione millennium). Su di essa è stata scaricato l’aggiustamento della flessibilizzazione (richiesto da una maggior adattabilità dovuta alla crescente concorrenza internazionale), della finanza pubblica (il rientro dal debito pensionistico) oltre che quello demografico (con una quota decrescente di minori ed una quota crescente di anziani di cui farsi carico). Con la famiglia come unica rete di supporto sociale. Non possiamo stupirci che manchino di progettualità sociale. I perdenti interiorizzano la sconfitta, difficilmente riescono a rilanciare in positivo.

 

4. Analogo destino è riservato ai poveri in Italia. Oggi la dimensione dell’esclusione sociale in Italia include tra le sue maglie principalmente immigrati e non scolarizzati. Il mercato del lavoro, in passato destinatario di aspirazioni di ascesa sociale, oggi non appare più come tale. Dopo un decennio di azzeramento della crescita è cambiata la lente attraverso cui si percepisce il futuro sociale, con un presente che appare sempre di più uguale al passato. È scomparsa la speranza di emancipazione sociale collettiva, si attraverso il mercato sia attraverso la politica o il sindacato. Ne hanno preso il posto le speranze di successo individuale, per cui un libero professionista è socialmente più apprezzabile di un lavoratore dipendente.

 

5. La percezione del lavoro diventa un nodo importante per la società italiana. Il lavoro sembra aver perso la sua capacità di fornire identità: da “sono operaio in Fiat” a “lavoro per una ditta di automobili”. Né la mansione né il luogo di lavoro forniscono identificazione perché non sono percepiti secondo una dimensione collettiva. L’identità sembra piuttosto ricercata nella collocazione geografica (essere lombardi, essere italiani, essere comunitari) e forse nelle opinioni (essere cattolici, essere grillini). Ma qual è il collante che può permettere una ricomposizione del tessuto sociale delle nostre città ?

 

6. Non appare chiaro in questo contesto quale debba essere l’indirizzo desiderabile della politica economica e sociale. Da una parte si ascoltano suggestioni che auspicano l’introduzione di garanzie di reddito per tutti (il cosiddetto reddito di cittadinanza), dall’altra riemergono periodicamente proposte di redistribuzione del lavoro (nella direzione di una riduzione degli orari di lavoro sostenuta da un progetto di decrescita pilotata). Entrambi sono progetti ambiziosi, ma che richiedono come precondizione l’esistenza di una forte coesione sociale, che è appunto quello che manca in questo momento. Altri progetti (per esempio di riforma del mercato del lavoro) hanno connotazioni di sapore universalistico (un “unico” contratto di lavoro, con diversi gradi di permanenza), ma forse non assicurano il fatto che tutti si riconoscano nella comune condizione, che è quello che la politica dovrebbe auspicare. Discorso analogo può valere per altri settori, quali la politica scolastica o quella sanitaria. Piuttosto che il rafforzamento di uno zoccolo comune di prestazioni magari minime ma di qualità garantita, si ha invece la percezione del “si salvi chi può”, dove il potere esercitabile sul mercato (leggi accesso alla fornitura privata) fa premio rispetto alla condivisione comune. Più che un disegno neoliberista, che sicuramente ha guidato l’insieme dei paesi sviluppati negli anni 80 e 90, l’Italia sembra scivolare su una deriva tutta propria di disgregazione, dove taluni ravvisano analogie con il periodo prefascista degli anni 20.

 

7. La sfida maggiore per il contesto del movimento dei preti operai rimane ovviamente quella culturale e quella etica: a cosa educare sé stessi e le persone intorno a noi. A quali comportamenti vogliamo indirizzare le giovani generazioni ? su quali basi costruire una solidarietà ? Se non nel lavoro, dove mettere le migliori energie di una generazione?

 

Daniele Checchi

 


 

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