CONVEGNO DI BERGAMO 2011
Mi sono sentito accolto da tutti voi. Per me è l’inizio, da poco sono entrato nella vita quotidiana, non che la parrocchia non lo fosse. Sono stato spinto a prendere una decisione per la distanza che c’era tra me e la gente. Stando in parrocchia mi accorgevo che la distanza con la vita delle persone era troppa, anche se l’esperienza in parrocchia per me è stata fondamentale. Lavoravo con i ragazzi e là ci sono rimasto per sette anni. Ci incontriamo ancora, ci vediamo per una festa, qualcuno si sposa, per qualche battesimo.
Lì c’erano alcuni elementi che mi creavano problemi: il fatto, ad esempio, dell’abitazione dentro una canonica, con tante camere, tanti spazi. Mi dava fastidio pigliare i soldi per il servizio che facevo. Non ho mai capito questa cosa. Tutto ciò creava una distanza con gli altri. Prima del diaconato sono stato a Torino per un anno, ho vissuto al Cottolengo, a Porta Palazzo. Vivevo con gli invalidi. Quel periodo mi ha fatto muovere qualcosa dentro. Nel 2005 iniziai a lavorare con un amico che aveva un banco di frutta e verdura nel quartiere dove abitavo. Non avendo mai lavorato chiesi a lui se potevo fare qualcosa, almeno per qualche ora la mattina. Al pomeriggio stavo in parrocchia.
Avevo poi individuato una zona a Boccea, dove stavano una serie di campi spontanei, dove vivevano delle persone provenienti dalla Romania. Le avevo conosciute perché venivano a chiedere l’elemosina davanti alla chiesa. Nel giro di due anni siamo diventati amici e andavo anche al loro campo. Nel Natale del 2004 chiesi loro se potevo andare a vivere con loro al campo. Rimasero molto sconcertati: essi infatti hanno un’idea del prete diversa da quella dei cattolici, essendo loro ortodossi. Era strano per loro che io fossi solo, senza donna e senza figli. Siamo rimasti un po’ così, all’inizio, poi mi invitarono ad andare con loro.
Ho parlato con degli amici, con il parroco e con il cardinale. Non mi interessava molto il loro parere, dal momento che io avevo preso la decisione e poi io faccio di testa mia. Ho salutato la gente della parrocchia e qualche giorno prima il cardinale, mettendolo di fronte al fatto compiuto: avrei fatto la scelta sia che lui mi avesse detto di no o di sì. Sono andato da loro e un’amica mi ha dato la baracchetta sua, mentre lei era partita per la Romania. Mi hanno fatto questo regalo e questo mi ha meravigliato molto. Quando sono ritornati dalla Romania essi hanno costruito un’altra baracca, non hanno voluto quella dove stavo io.
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Ho vissuto lì con loro fino al 2007. A novembre c’è stato lo sbaraccamento dei campi, dopo il fatto della Reggiani. Una mattina ci hanno preso tutta la roba e hanno distrutto tutto. Tanta gente è tornata a casa in Romania. Un gruppetto di noi ha iniziato a girare. Siamo stati alloggiati in diversi posti, anche dentro un salone di una parrocchia. A marzo del 2008 abbiamo trovato casa, una casa grande. Eravamo in dodici. Come dicevo prima, ho lavorato per un certo periodo al banco da frutta e verdura, poi mi ha chiamato una cooperativa che lavorava un pezzo di terra a Casalotti ed ho iniziato questa esperienza di lavoro, imparando da zero.
Fare il bracciante è semplice: piantare, raccogliere, zappare, pulire. Non ci vuole molto e nel giro di due anni ho imparato. Io sono un po’ lento a imparare le cose, però questo lavoro mi ha dato coraggio. All’inizio avevo paura, non sapevo cosa mi aspettava, però ho imparato. Dopo mezzo anno questa cooperativa si trovò in difficoltà e mi sono cercato un’altra cooperativa. Ho fatto una prova per un paio di settimane e grazie al lavoro che avevo imparato sono stato assunto con un contratto a chiamata come giornaliero di campagna. Dichiari che tu lavori per quanto gli servi loro, dieci, quindici giorni e ti pagano i contributi per quei giorni. In tre abbiamo spinto ad avere un contratto più dignitoso, questo da qualche settimana.
Siamo inquadrati come dipendenti di una cooperativa sociale di servizi, non come braccianti agricoli. Questi sono una cooperativa di 50 persone, ma ne hanno creata un’altra per avere la possibilità di mandarti via senza problemi. E noi siamo in sei o sette persone. Cooperativa fittizia.
Sono contento della storia che ho iniziato, anche se rimane sempre aperta, tutta da costruire. Questo vale per me, ma anche per tutti. L’importante è avere dei punti fermi e la vita ti fa incontrare situazioni e persone. Sono andato a vivere con loro perché li ho incontrati sulla porta della parrocchia; se non li avessi incontrati, mai io sarei andato con loro. I fatti succedono.
L’esperienza che mi pone tante domande è quella della domenica dove vado a celebrare la messa. Un quartiere che si chiama Bastogi composto da case occupate, sempre in via Boccea. Ci stanno dei residence, dove mettono la gente in attesa di avere l’assegnazione di una casa. Ma quello diventa un luogo stabile e c’è gente, infatti, che aspetta 15 – 20 anni. Dico la messa nell’androne di un palazzo.
Lì mi faccio tante domande perché le povertà sono molte. Che si può fare per risolvere le situazioni? Lì ci sono sei palazzine. Sono da aggiungere poi le difficoltà che si incontrano in tutte le periferie. Vado nella casa delle persone e lì nasce un po’ di tutto.
Dove abito attualmente siamo in nove persone dove si fa vita comune e si cerca di dividere le spese. Abbiamo accompagnato l’ultimo anno Massimiliano, che era cappellano a Rebibbia. Ha deciso di stare insieme a noi tre anni fa e quest’anno ha lasciato il ministero. È stata per me un’esperienza forte la vita con lui. Parlavamo molto la sera, di notte, perché stavamo nella stessa stanza. Si parlava del ministero, del celibato, dei poveri, dei detenuti, dei nostri sogni. Anni pieni di senso.
La celebrazione della messa della domenica ha per me una grande importanza: si raccolgono le preghiere della gente, si ascolta quello che ci dice il Padre eterno. Un momento di grazia, perché uno raccoglie tutto quello che vive durante la settimana.
Luca Filippi