Il Vangelo nel tempo / la Parola nelle biografie
La domanda a cui ho cercato di rispondere è questa: come la mia riflessione di fede ha determinato le decisioni importanti della mia vita?
Ricordo il disagio che provavo durante gli anni del ministero pastorale per le troppe parole che si dovevano dire e ascoltare. Parole staccate dalla realtà della vita, parole spesso incoerenti, parole professionali, prive di un vero coinvolgimento personale.
Avevo la sensazione che le troppe parole soffocassero la Parola.
Nella Bibbia ho trovato invece che la parola è sempre accompagnata dall’azione, anzi nella vita dei Profeti come anche nei vangeli la parola segue sempre l’azione, come è detto anche nella Costituzione “Dei Verbum”:
“ L’economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto “ (Dei Verbum, n. 2 ).
Questo mistero è così espresso nel prologo del 4° vangelo: “La Parola si è fatta carne e venne a dimorare fra noi” (Gv 1, 14), “assumendo la condizione umana” (Fil 2, 7).
Da qui è partita la riflessione sulla vita di Gesù a Nazaret, seguendo le esperienze e le parole di Charles de Foucauld, di Paul Gauthier, di Carlo Carretto, riflessione che mi ha fatto maturare la decisione di andare in fabbrica, come ho scritto al mio vescovo nell’aprile 1971:
“ Il mio desiderio della vita operaia, che coltivo da anni, mi sembra legittimato non solo dalle parole del Decreto “Presbyterorum ordinis” (n. 8) e dalle scelte di molti preti che, nel silenzio e nella solitudine, molto spesso nella incomprensione, testimoniano nel lavoro la loro fede e il loro amore, ma soprattutto è l’idea che Gesù ha lavorato con le sue proprie mani, per la maggior parte della sua vita, condividendo anche nel lavoro la nostra condizione umana”.
E’ pur vero che il Vangelo può essere letto in tanti modi, a volte contrastanti. Lo testimonia Paul Gauthier raccontando che un dirigente delle associazioni cattoliche di Nazaret lo contestò duramente:
“Ma Cristo non lavorava mica. Quello che faceva il legnaiolo era suo padre Giuseppe. Il Vangelo non dice che Gesù abbia lavorato. I suoi genitori gli avranno evitato qualsiasi lavoro materiale, perché aveva altro da fare: pregare, attendere alle cose del Padre suo…”
L’obiezione era formulata all’indirizzo dei preti operai e dei loro principi, che questo intellettuale di Nazaret non ammetteva (P. Gauthier, Con queste mie mani, p. 60).
Ci sono tanti modi di leggere la Bibbia, forse tutti, o quasi, legittimi…
Dipende dal punto di vista da cui ci si pone, o meglio dalla condizione di vita in cui si è scelto di collocarsi. Noi abbiamo scelto il punto di vista di chi sta sotto, di chi è dipendente e povero, e su questo abbiamo impostato la nostra vita, proprio perché abbiamo ritenuto che questo fosse il punto di vista e la condizione di vita scelta da Gesù.
Un altro aspetto a cui voglio accennare è quello dell’ obbedienza.
Ci è stata inculcata, per così dire, col latte materno.
Io me la sono sentita come una seconda natura.
Quando mi sono sentito in dovere di prendere decisioni autonome, ho dovuto fare violenza a me stesso, con molta fatica.
Quando ho dovuto prendere decisioni sulla mia vita affettiva, con la mia relazione con Luciana, ho avuto delle crisi di coscienza che mi hanno travagliato per anni.
Ciò che mi ha dato la forza di andare avanti e di ritrovare la serenità interiore è stata la riflessione sulla Parola, che mi ha insegnato che “bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 4, 19). Questa parola mi sembra che sintetizzi il messaggio biblico, dove il punto di riferimento è sempre il volere di Dio e non quello degli uomini, siano pure quelli del Tempio o della Chiesa, anche se pure la loro parola concorre a formare il giudizio della coscienza.
In conclusione, le chiavi di lettura della Parola che mi hanno accompagnato fino ad oggi, posso esprimerle così:
– una lettura laica, che mi rimandi alla concretezza della vita e della storia umana, anziché al mondo sacrale della religione
– una lettura storica, che mi aiuti a decifrare i segni dei tempi, che sono pure “parola incarnata” nella vicenda umana
– una lettura parziale “dal basso”, espressione “delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce dei poveri e di tutti coloro che soffrono”, di tutti quelli che sono schiacciati dal sistema.
Al centro di tutto però ci sta “la rivelazione come relazione”.
Con il Concilio la rivelazione non è più concepita come la comunicazione di conoscenze inaccessibili alla mente umana. La Costituzione “Dei Verbum” presenta la rivelazione come un evento di amore in cui una persona si comunica all’altra: “Con la rivelazione Dio parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (Dei Verbum, n. 2).
E mi piace molto il commento di Giuseppe Ruggieri:
“Questo vuol dire che ogni qual volta un uomo viene accolto nell’amicizia con Dio, lì avviene in qualche forma, non sempre facile da interpretare, una rivelazione autentica del Dio di Gesù Cristo.
Questo ci fa porre con occhi diversi davanti a “ogni” uomo e donna, ci obbliga a stare attenti al mistero di ogni esistenza umana, che, nel suo centro più profondo, sfugge alla nostra portata e che possiamo solo guardare con grande rispetto e venerazione.
E una parabola evangelica, quella degli uomini che danno da bere e da mangiare a Gesù senza saperlo, ci mette sull’avviso di fronte alla pretesa facile di conoscere chi siano coloro ai quali Dio si rivela” (Giuseppe Ruggieri, Ritrovare il Concilio, p. 44).