Il Vangelo nel tempo / la Parola nelle biografie
In quanto nato dopo il Concilio Vaticano II, non ho sperimentato “l’esilio della Parola”. All’indomani della lunga stagione della Controriforma, che ha impedito per secoli l’accesso diretto alle Scritture, si è ritrovata, infatti, una nuova familiarità col testo biblico. Non più clandestina, la Scrittura ha iniziato a circolare liberamente sul territorio ecclesiale. Per alcuni si trattava di una vera cittadinanza; per altri, solo di una libertà vigilata. Il libero accesso al Libro sacro ha scatenato, per forza di cose, il conflitto delle interpretazioni, la questione degli usi propri ed impropri del testo. Un problema che accompagna da sempre la lettura delle Scritture e che, nella stagione post-conciliare, è diventato una questione dirimente.
In questo contesto, di presenza della Scrittura e di scontro interpretativo, il mio percorso personale può essere riassunto in poche battute. L’incontro diretto con la Parola biblica mi ha portato a relativizzare le altre parole ecclesiali. Relativizzare non significa eliminare: nessuno può saltare a piè pari una storia, di cui è figlio. Ma la distinzione conciliare tra la grande Tradizione e le tante tradizioni ha giocato a tutto vantaggio del primato della Parola. Di fatto, sempre più la Scrittura è diventata la mia lingua madre. Parlata spontaneamente e studiata criticamente. Da quel testo mi sono lasciato leggere; in quel linguaggio ho provato ad articolare il mio agire ed il suo orizzonte ultimo. Ho vissuto in dialogo con quella narrazione plurale, capace di interpellarmi sia a livello esistenziale che a proposito del contesto socio-culturale nel quale mi muovo.
Se, poi, penso alla scelta di essere preteoperaio, anche qui la Parola ha giocato un ruolo decisivo. In pieno riflusso, quando le grandi narrazioni della modernità mostravano di aver perso la loro spinta propulsiva, è stata la Scrittura a convincermi della bontà (come dei rischi) di una tale scelta di condivisione. Ed a sostenermi nella vita ordinaria, illuminando percorsi in parte diversi da chi mi ha preceduto lungo questa strada; e plurali. La venuta del Regno di Dio, cuore del racconto biblico, non avviene attraversando sensi unici. Dio lotta contro l’ingiustizia rivestendo i panni del guerriero che, con mano forte e braccio disteso, sottrae alla schiavitù Israele. Ma, accanto alla scena epica, la Bibbia allestisce uno scenario più dimesso, nel quale la medesima liberazione viene perseguita indossando gli abiti quotidiani dell’agire astuto, dei piccoli gesti sapienziali, minuscole parabole del Regno. L’uditore della Parola, nel contesto sociale, sarà certo il militante esodico, l’uomo che si muove in base ad una precisa strategia; ma anche il discepolo disorientato (post-moderno!) che getta i suoi due spiccioli per la causa, chiamato a cambiare continuamente tattica, visti gli spiazzamenti di una storia accelerata.
Il fatto che diverse figure di soggetti sociali possano legittimamente attingere al testo biblico, dice la necessità di operare un discernimento storico delle Scritture. La Parola che si fa carne nell’oggi delle vicende umane, non potrà essere sempre uguale. Contro la tentazione di rinchiudere la Scrittura entro i recinti dell’anima, occorre saper leggere la Bibbia nella città (non solo nelle chiese) e osare fare di essa un paradigma teologico-politico per interpretare il presente. Un’operazione difficile, che andrà arrischiata nella consapevolezza della pluralità del racconto biblico e nella parzialità dei punti di vista dei lettori. Su questo fronte, la funzione dei pretioperai non mi sembra venuta meno.
Un’ultima parola sul percorso ecclesiale del mio ascolto della Parola. Impossibilitato a vivere un’esperienza ecclesiale di tipo cattolico-romano, ho deciso di non limitarmi a vivere la fede in solitudine e di ricercare una sponda comunitaria differente. Il mio rimettermi in gioco in una chiesa della Riforma nasce dall’esigenza di un ascolto comunitario della Parola; e lo svolgervi un ministero pastorale è motivato dallo scorgere nelle Scritture una sapienza necessaria per far fronte ai mutamenti antropologici che sembrano mettere in scacco il senso del vivere individuale e la tenuta dei legami sociali. E’ un passo indietro, che allontana dalla fabbrica per ritornare nelle chiese? Forse. In ogni caso, il mio è un tentativo di aprire tatticamente un varco tra chi è disposto ad ascoltare una Parola altra. Certo, la bontà di questa scelta andrà verificata sul campo, valutando i frutti. E’ possibile attivare nelle chiese un ascolto non religioso della Parola? in fondo, la “religione” è un portato della secolarizzazione e del bisogno di delimitare i campi, a fronte di una soggettività credente invasiva, che operava una lettura dogmatica delle Scritture ed impediva la libertà di opinione, suscitando guerre e rendendo impossibile la convivenza civile. Ma “in principio” non era così: la Bibbia è un racconto onnicomprensivo; narra del mondo come Dio lo vuole; attesta una speranza che abbraccia ogni ambito di vita. Più che indicazione religiosa, essa racconta la costituzione di un popolo e lo stile di vita del credente. Saremo in grado di mostrare questo profilo esistenziale della Scrittura? E di farlo con quelle persone che frequentano il culto, perlopiù sollecitati da esigenze intimistiche, da bisogni rassicurativi?
Scommettere sulla potenza della Parola; rimanere a vita discepoli di questa Parola; lavorare per decostruire ogni presunzione di rappresentanza del divino (nel duplice senso del termine); riattivare un ascolto a tutto campo, che apra ad una differente visione di mondo; spendere le risorse rimaste per operare in piccole chiese, chiamate ad essere “laboratori dell’ascolto”, luoghi in cui apprendere l’arte della lettura: lungo queste direttrici provo a muovermi, facendo mie le preziose indicazioni conciliari ed attingendo ad altre tradizioni confessionali, considerate come casse di risonanza a servizio del suono dell’unica Parola di vita.