Memorie vive:
Raffaele Boi (1)
Padre Raffaele Boi, nato a Villasimius il 27 giugno 1932, è morto il 6 settembre 2020 all’età di 88 anni. Ormai anziano viveva a Selargius nella sua Sardegna, nella casa degli Orionini, il suo ordine.
Lo abbiamo conosciuto in alcuni incontri nazionali dei pretioperai, quando, per essere sempre dalla parte degli ultimi, era stato perseguitato e aveva rischiato di essere arrestato in Argentina (dove era stato mandato in missione nel 1967 nella regione di Burzaco) durante il regime dittatoriale del generale Videla, riuscendo a scappare in modo rocambolesco grazie all’aiuto di una rete di religiosi e lavoratori e a rientrare in Italia.
Poi tanti anni nelle missioni tra Camerun e Costa d’Avorio, il lavoro costante nel Sulcis, in Liguria e ancora la voglia di ripartire per tornare in Africa a compiere il suo servizio a favore di chi non ha nulla.
«Bisogna sporcarsi le mani, non solo dissentire» era un suo slogan.
Un sacerdote che non è mai stato con le mani in mano, rispettando la regola del suo ordine: “Ciascun religioso deve saper esercitare un mestiere o un’arte“. È così che aveva deciso di fare l’operaio, anche quando esercitava la sua attività pastorale: in Argentina era stato autista di autobus, nel Sulcis falegname. Lavori umili, nonostante i suoi studi l’avessero portato anche a frequentare la rinomata università parigina della Sorbona e a imparare cinque lingue.
Sempre attento al dialogo all’interno della Chiesa, la sua militanza anche politica nel movimento operaio l’aveva spesso messo in contrasto con le alte gerarchie ecclesiastiche. Per anni le sue lettere dalle missioni e dai campi di lavoro hanno animato la discussione tra coloro che sostenevano la partecipazione in prima linea della Chiesa al fianco degli strati più umili della popolazione e chi, invece, accusava la Teologia della liberazione di estremizzare il messaggio del Concilio, dando maggiore rilevanza a un discorso sociale e politico rispetto a un discorso di fede.
Negli ultimi anni, da quando si era ritirato per gli acciacchi nella casa orionina di Selargius, con il “suo mondo” che rapidamente stava cambiando, amava rifugiarsi la domenica tra le mura della Comunità di Sestu, realtà ancora impegnata da mezzo secolo nel sociale in quelle che, per tutta una vita, sono state anche le sue lotte.
«Dopo la mia ordinazione – aveva raccontato tempo fa – avevo compreso che, se volevo salvaguardare la mia libertà politica, dovevo fare di tutto per salvaguardare la mia libertà economica dinanzi ai miei superiori e ai fedeli della mia parrocchia. Tutto è politica: anche la scelta di essere povero tra i poveri e vivere del proprio lavoro».
Luigi Sonnenfeld
(da un articolo pubblicato dall’Unione Sarda)