Torino, 6-9 giugno 2014
2) Contributo dei PO italiani


 

  1. Richiamo storico dei movimenti migratori nei nostri paesi e i motivi principali. Quali sono le motivazioni per le migrazioni di oggi ?

L’Italia è stato prevalentemente un paese di emigranti, a partire dal 1860, con l’inizio dell’Unità d’Italia. In 27 milioni se ne andarono nel secolo del grande esodo dal 1876 al 1976, trasferendosi in quasi tutti gli stati del mondo occidentale. La popolazione italiana nel primo censimento del 1860 era di 23 milioni di abitanti. Un esodo che toccò quasi tutte le regioni . Tra il 1876 e il 1900 interessò prevalentemente le regioni settentrionali, con tre regioni che fornirono da sole circa il 47% dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%) il Friuli-Venezia Giulia (16,1%) e il Piemonte (13,5 %). Nei due decenni successivi, 1900-1920, il primato passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia. Si può distinguere l’emigrazione italiana in due grandi periodi: quello della grande emigrazione tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del XX secolo dove fu preponderante l’emigrazione americana, e quello dell’emigrazione europea che ha avuto inizio a partire dagli anni cinquanta. La grande emigrazione ha avuto come punto d’origine la diffusa povertà di vaste aree dell’Italia e la voglia di riscatto d’intere fasce della popolazione, la cui partenza significò per lo stato e la società italiana un forte alleggerimento della “pressione demografica”. Essa ebbe come destinazione soprattutto l’America del Sud e il nord America ( in particolare Argentina, Stati Uniti e Brasile, paesi con grandi estensioni di terre non coltivate e necessità di mano d’opera) , e in Europa, la Francia.

A partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l’Africa che riguardò principalmente l’Egitto, la Tunisia e il Marocco nel XX secolo interessò anche l’Unione Sudafricana e le colonie italiane della Libia e dell’Eritrea. I periodi interessati dal movimento migratorio vanno dal 1876 al 1915 e dal 1920 al 1929. Nel primo periodo partirono 14 milioni di italiani con una punta massima nel 1913 di oltre 870 mila partenze, a fronte di una popolazione italiana che nel 1900 giungeva a 33 milioni di persone. L’emigrazione nelle Americhe fu enorme nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Quasi si esaurì durante il fascismo, ma ebbe una piccola ripresa subito dopo la fine della prima guerra mondiale. Le nazioni dove più si diressero furono gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina. In questi tre Stati attualmente vi sono circa 74,1 milioni di discendenti di emigranti italiani.
L’emigrazione italiana nelle Americhe si esaurì negli anni sessanta del Novecento, dopo il miracolo economico italiano.

L’emigrazione europea della seconda metà del XX secolo, aveva come destinazione gli stati europei in crescita come Francia ( a partire dal 1850), Svizzera e Belgio ( a partire dal 1940) e Germania, con la quale l’Italia firmò nel 1955 un patto di emigrazione in cui si garantiva il reciproco impegno in materia di migrazioni e che portò quasi tre milioni di italiani in cerca di lavoro. Ad oggi in Germania sono presenti 650.000 cittadini italiani fino alla quarta generazione. In Belgio ( 300.000) e Svizzera ( 500.00) le comunità italiane restano le più numerose rappresentanze straniere. La storia dell’emigrazione italiana nasce dalla povertà economica e da un territorio che prima era prevalentemente agricolo. Non poteva bastare per tutti. L’Italia è piccola come territorio per i suoi abitanti che in questi ultimi anni è stato devastato dal cemento. E’ ripresa l’emigrazione di molti giovani soprattutto in Australia e nei paesi del Nord Europa. Questo per la mancanza di una politica illuminata che sappia valorizzare il patrimonio umano, culturale, ambientale, e guardare oltre questo tipo di sviluppo. Molti immigrati giungono attraverso le coste, in cerca di un futuro migliore. Queste persone se ne vanno da continenti che sono stati depredati nelle loro risorse dal Nord del mondo e il flusso non si fermerà se l’Occidente non cambierà il suo stile di vita e i meccanismi economici.

 

  1. Come i rifugiati (come degli emarginati) divengono dei soggetti, invece di essere trattati come oggetti? Come noi possiamo contribuirvi?

Le leggi fatte ( o non fatte ) negli anni sull’immigrazione, asilo, tratta… influiscono sulla vita delle persone che noi incontriamo ogni giorno. E’ importante accompagnare gli immigrati nei diversi passaggi per avere il permesso di soggiorno, organizzando corsi di integrazione , ma soprattutto ascoltare, raccogliere il loro disagio, le difficoltà, le discriminazioni o ingiustizie che normative locali e nazionali impongono loro. E’ proprio la conoscenza diretta e la vicinanza giornaliera delle persone che vivono queste difficoltà sulla loro pelle a darci la possibilità a livello locale e nazionale di proporre forme di denuncia per arrivare a un processo di revisione e cambiamento delle leggi discriminatorie. Altri settori per l’accoglienza è la promozione del dibattito sulla cittadinanza attiva, sull’inutilità dello strumento emergenziale rispetto alla gestione dei flussi migratori dei migranti, dei richiedenti asilo, denunciando l’utilizzo dei Cie, promuovendo pratiche di accoglienza e integrazione dei rom che superino la pratica dei campi rom. Quando persone diverse si incontrano e vedono la realtà da diversi punti di vista è un arricchimento reciproco che può dare origine a un nuovo modo di vivere. Lo sforzo è reciproco.

La maggior parte degli immigrati vengono utilizzati per lavori che altri non vogliono fare, perché umili, pesanti, soprattutto in agricoltura e la cura degli anziani. Lavori importanti, se non ci fossero si bloccherebbe l’economia.

Molti Uffici di Pastorale Migranti e Associazioni si adoperano non solo di mettere sul tavolo le questioni, ma anche nel proporre pratiche e soluzioni alternative.

 

  1. La politica migratoria dei nostri paesi. Come possiamo noi influenzare coloro che hanno il potere per cambiare le strutture ?

La legislazione italiana in materia di immigrazione è regolata dalla legge Bossi-Fini, entrata in vigore nel 1998. Il punto principale della legge riguardava la possibilità di ingresso nel nostro paese per gli stranieri. Ingresso consentito solo a chi si trova già in possesso di un contratto di lavoro che gli permette di mantenersi economicamente. Se si hanno questi requisiti, chi ha conquistato un contratto a tempo indeterminato ottiene un permesso di soggiorno di due anni, mentre il permesso è di un solo anno chi ha un contratto a tempo determinato. Se si perde lavoro in questo periodo, la persona dovrà fare ritorno in patria. Per ottenere il permesso è necessario depositare le impronte digitali. Chi entra in Italia con un documento di identità senza permesso di soggiorno viene espulso immediatamente accompagnato alla frontiera dalla polizia. Chi non ha un documento viene rinchiuso nei CIE ( centri di identificazione ed espulsione) per un tempo massimo di 60 giorni, durante i quali si cerca di identificare la persona in questione. Nel caso l’identificazione non sia possibile, il clandestino deve lasciare l’Italia entro tre giorni. Chi prova a rientrare nei confini italiani commette reato punito col carcere. ( il 40% dei carcerati in Italia sono stranieri.)

I respingimenti in mare. Questo è uno dei punti che solleva polemiche. La legge prevede accordi bilaterali, per cui da una parte si chiede al paese da cui i migranti provengono di pattugliare le coste ed evitare la partenza, dall’altra il paese verso cui i migranti sono destinati ha diritto ai respingimenti, ovvero rimandare al paese di origine gli scafi su cui i migranti viaggiano mentre si trovano ancora in acque extraterritoriali. L’idea alla base era di evitare che i migranti approdassero sul suolo italiano: i controlli quindi vanno fatti direttamente in mare. Norma molto contestata perché impedisce di fare controlli approfonditi necessari soprattutto nel caso in cui i migranti chiedano asilo politico e nel caso in cui il loro ritorno in patria metta in pericolo le loro vite (violando quindi l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea). Dal 2001 ad oggi sono sbarcati 270.000 migranti. Solo il 2 aprile 2014 è stato soppresso il reato di clandestinità.

 

  1. Come lottare contro il razzismo crescente nei nostri luoghi di lavoro, nei quartieri…

La prima convinzione : tutti uguali.
La prima condivisione: la casa ( aprire anche le nostre case).
La seconda è la lingua: insegnare la nostra lingua e per noi imparare qualcosa delle loro lingue.
La terza: non porre barriere all’inserimento al lavoro.

Nelle nostre regioni c’è molto lavoro per badanti ( rumene , ucraine, moldave) spesso in nero, senza contratto, sottopagati. In agricoltura, nella viticoltura, nella raccolta della frutta rumeni e albanesi, macedoni, marocchini, senegalesi. Egiziani nella ristorazione, cinesi nel tessile, indiani nella pastorizia. Una strada in salita tra lavoro e diritti: il lavoro singolo o in cooperativa c’è, il riconoscimento dei diritti civili un pò meno. Esistono tentativi di inserimento nei comitati di quartiere. L’inserimento scolastico è più una scelta di insegnanti sensibili che un programma ufficiale dello Stato. E’ importante favorire forme associative interetniche, mentre attualmente sono legate maggiormente alle etnie. Alcune amministrazioni ed associazioni hanno favorito la nascita di orti comunitari. La festa interculturale che si svolge in molte città favorisce incontri e dibattiti cittadini, teatro di strada, sport, coinvolge l’opinione pubblica e sottolinea la ricchezza che deriva da una società multietnica e multiculturale. Essa prevede una campagna di sensibilizzazione, informazione con lo slogan: “Se chiudi con il razzismo ti si apre il mondo”. Nel tentativo di far parlare lo straniero cerca di attuare percorsi credibili di “Cittadini del mondo”.

Purtroppo a livello politico si fa troppo poco per sconfiggere il razzismo con leggi adeguate e campagne nazionali. La Chiesa che si dichiara universale non adegua la sua presenza nel territorio con il compito di denunciare le storture delle leggi disumane e sovente si ferma a fare la carità. Solo nelle differenze c’è la possibilità di una vera crescita umana.

 

  1. Io ho visto l’oppressione del mio popolo” (Es 3,7). Esempi biblici per la migrazione. Ci danno chiarezza nel nostro agire?

Alcune immagini bibliche: ( Gen 18,1 ss) L’incontro di Abramo con tre sconosciuti  alle Querce di Mamre . L’accoglienza, è sempre feconda. Isacco nasce dopo questo fatto. Un detto arabo dice. “Se incontri uno sconosciuto, non aver paura, potrebbe essere un angelo”. L’incontro con lo sconosciuto , con gente di altre culture dà origine a qualcosa di nuovo, che non è il “mio” o il “tuo”, ma il nostro.

Altra immagine: la costruzione della torre di Babele (Gen 11,1-9 ). Dio disperde sulla faccia della terra perché non ci fosse una lingua sola, ma più lingue. La ricchezza delle culture.

L’ultima immagine: il cammino di Emmaus (Lc 24, 13-34 ). Un invito all’ascolto e alla condivisione del pane. Solo allora si “aprono gli occhi” e si può veramente incontrare il Cristo che in Mt 25 , 35 dirà. “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito, malato e mi avete curato; carcerato e siete venuti a trovarmi”. Ascoltare le storie e le sofferenze: questo ci permette di fare progetti per un’umanità diversa, un sistema economico diverso, non come quello che abbiamo costruito, un sistema predatorio dove gli immigrati e i loro popoli diventano vittime.

 

a cura di MARIO SIGNORELLI,
GINO CHIESA e Caritas di Torino

 


 

Share This