Editoriale

 

 È all’esterno che l’umanità
vive i suoi drammi.

È all’interno che se ne ricorda…
Se si ostruisce l’interno dell’uomo
Le vittime dimenticate
non sono morte per nessuno.

(Beauchamp)

 

Ogni tanto mi ritorna in mente un’immagine. Mi è stata suggerita tanti anni fa da W. Benjamin, il quale, a sua volta, l’aveva colta da Klee: Angelus novus è il nome dato a un suo quadro . L’angelo ha il volto rivolto al passato, ma con le sue ali distese è irresistibilmente risucchiato verso il futuro. Il suo sguardo è fisso sulle rovine e tragedie di cui è piena la storia, mentre il futuro che gli arriva dalle spalle continua anch’esso a diventare passato…
L’ Angelus novus è un modo di vivere nella storia: un andare incontro al futuro proibendosi di distogliere lo sguardo dalle macerie che si accumulano in successione. Ivi è contenuta una profonda verità della vita. Tutto sembra cospirare per il suo oblio, per la fuga verso panorami più ameni. Eppure solo tenendo fissi gli occhi sulle vittime è possibile amare la vita e sfuggire al rischio di essere preda delle illusioni e delle menzogne che svuotano l’essere umano, anche quello religioso, di ogni sostanza.
L’incalzare di alcuni eventi apparsi in rapida successione sulle pagine di cronaca inducono a fissare lo sguardo su tragedie quotidiane, ridotte per lo più a fatti individuali, quindi trascurabili, mentre hanno una valenza collettiva e sociale che una diffusa complicità tende ad occultare nella irrilevanza. Alcuni esempi di un dossier che ogni anno potrebbe riempire migliaia di pagine.

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Raffaele era privo del diritto di ammalarsi perché era costretto a lavorare in nero. A 39 anni è morto di infarto in un cantiere di Milano. Vani i tentativi di rianimarlo, inutile la corsa in ospedale. Con la moglie disoccupata e un figlio di pochi mesi non poteva permettersi di perdere i pochi euro della giornata o addirittura il lavoro. Nei giorni precedenti ripeteva: “sto male, sto male”; ma anche quella mattina, per l’ultima volta, si è presentato in cantiere perché non poteva non andare; non poteva fare a meno del guadagno quotidiano indispensabile per tirare avanti la vita con la sua famiglia…
Secondo uno studio della UIL i lavoratori in nero della provincia di Milano sono 145.000, l’8,7% del totale. Nessuna garanzia o tutela è prevista per loro. Neppure il diritto di ammalarsi viene riconosciuto. Siamo in Lombardia, in quella parte del mondo che alcuni chiamano la Padania: anche al nord è di casa il profondo sud …
Francesco, di 33 anni, cade da un ponteggio, senza protezioni, nel giorno del suo onomastico. Il trauma gli provoca la frattura delle caviglie e lesioni interne con  emorragia. E’ stato ritrovato non all’interno di un cantiere, ma sul ciglio di una strada di Ercolano. Qualcuno l’ha portato in quel luogo, abbandonandolo morente, senza chiamare aiuto, perché l’impresa non fosse identificata e indotta a far fronte alle sue responsabilità. Soccorso dai passanti, è morto durante il trasporto in ospedale. Lascia la moglie e un figlio piccolo. Suo padre, in pensione e in precedenza saldatore come lui,  aveva perso una gamba in un incidente sul lavoro. Francesco, dopo un periodo di disoccupazione, finalmente aveva trovato un posto, accettando il ricatto e gli svantaggi di un lavoro in nero. Non si sa ancora in quale cantiere stesse lavorando…Chi sa se si saprà mai…
Qualche tempo prima, era avvenuta una cosa analoga in centro Italia. In quel caso si trattava di un immigrato. Anche lui venne portato lontano dal luogo di lavoro per simulare un incidente stradale…Naturalmente lavorava in nero.
Due giorni dopo la morte di Francesco è la volta di Nico, di 26 anni, sempre a Napoli. L’incidente avviene circa alle 14 e la vittima rimarrà senza identità fino alle 20. E’ rimasto folgorato mentre lavorava alla ristrutturazione di un seminterrato. I compagni sono fuggiti spaventati. E’ stato visto un giovane correre a perdifiato urlando “Nico, povero Nico, avvertite la famiglia, abita vicino alla mia”. I vigili del fuoco lo hanno trovato sul posto con la mano tesa verso i fili della corrente scoperti. Una donna testimonia: “ho raccolto io le grida e il messaggio del suo compagno di lavoro, credo che anche lui fosse ferito: ma in quali condizioni di sicurezza si trovavano?”.
Sempre all’inizio di ottobre un operaio specializzato italiano di una ditta “normale” è rimasto schiacciato da una lastra di marmo in una cava in Valtellina, mentre due giovani immigrati, un albanese e un rumeno, sono rimasti ustionati a Brugherio. Nessuno li aveva avvertiti che il solvente che utilizzavano per scrostare i muri era infiammabile. Una scintilla, forse provocata da un raschietto di metallo, ha fatto divampare le fiamme. Per  l’albanese, in gravi condizioni,  ustioni di secondo e terzo e grado al 90% del corpo;  il rumeno se l’è cavata con solo il 20%. Ambedue erano senza permesso di soggiorno e lavoravano in nero per una ditta che ha il subappalto di un subappalto…
Il dossier potrebbe continuare in maniera incessante perché lo stillicidio è quotidiano e senza interruzione.

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Nel 2003 i morti sul lavoro in Italia sono stati 1.394. Quasi quattro al giorno, comprendendo anche domeniche e  festività. Dall’inizio del conflitto Irakeno hanno perso la vita meno soldati americani e alleati di quanti non siano state le vittime di incidenti di lavoro in territorio italiano nel solo 2003. E’ come essere in guerra (dalla parte degli occupanti perché di irakeni ne sono già stati uccisi più di centomila, secondo una recente ricerca pubblicata sulla rivista medica The Lancet ).
Negli ultimi cinque anni, sul nostro territorio, si sono verificati oltre cinque milioni di infortuni sul lavoro di cui quasi 7.000 mortali.
Secondo i dati, relativi al 2003, forniti dall’Anmil (associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) forniti in occasione della recente giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, i decessi  nel solo  territorio italiano rappresentano quasi un quarto di quelli che avvengono in tutti i paesi dell’Unione Europea. In percentuale analoga è anche il rapporto tra i 977.803 incidenti sul lavoro in Italia, e quelli che accadono nel resto d’Europa. Nel nostro territorio circa la metà dei casi dell’enorme esercito vittima di infortuni riguarda la fascia di lavoratori che va dai 17 ai 34 anni.
Stando a una ricerca sul rischio infortunistico tra i lavoratori immigrati, presentata dall’Istituto italiano di medicina sociale e dalla Caritas, nel nostro Paese uno straniero su 10 incorre in un incidente di lavoro. Proporzione più che doppia rispetto agli infortuni tra i lavoratori italiani, che colpiscono una persona su 25.
Complessivamente il fenomeno infortunistico consegna all’Italia la simbolica “la maglia nera d’Europa”.
La situazione mondiale è da capogiro. Riporto i dati forniti dall’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO). Secondo le sue stime ogni anno si verificano nel mondo:
250 milioni di incidenti sul lavoro, che equivalgono a 685.000 al giorno, 475 al minuto e 8 al secondo;
12 milioni di incidenti sul lavoro che colpiscono minori;
più di 1.300.000 decessi legati al lavoro che equivalgono a 3.300 morti al giorno;
100.000 decessi provocati dalla sola lavorazione dell’amianto.
Una ecatombe che supera, sempre secondo l’ILO, il numero dei decessi per incidenti stradali (990.000) o per le guerre (502.000).
Dunque: il lavoro ogni giorno uccide più delle guerre e degli incidenti stradali.
Guy Ryder, segretario generale della Cisl internazionale commenta: “Scarse condizioni di salute e sicurezza e condizioni insostenibili nel lavoro continuano ad uccidere anche nei tempi moderni. Allo stesso tempo i governi non solo stanno tornando indietro rispetto agli standard di sicurezza ma consentono anche che datori di lavoro senza scrupoli mettano in costante rischio le vite dei lavoratori “.

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Da anni si vive in mezzo ad un sistematico bombardamento delle coscienze su terrorismo e guerra. I media sono occupati dalla centralità che viene attribuita all’argomento. Su questo viene sempre più costruita la legittimità per governare i popoli e dominarli. Pensiamo alla demenzialità del carosello che ha accompagnato le elezioni americane e l’occupazione ossessiva dei media con immagini e dibattiti, e con l’occultamento di tutto il resto. Non una parola sulla ecatombe sistematica, di cui sono stati riportati alcuni dati, che avviene in tutte le latitudini del mondo, ed alla situazione disastrosa dell’Italia rispetto al resto d’Europa. Anche su altri eventi collettivi e laceranti  sono disponibili abbondanti documentazioni. Però è sfacciatamente evidente l’obiettivo di dis-orientare le coscienze dei popoli, rendendoli analfabeti o disattivati, rispetto ai problemi veri dell’umanità. Senza uno sguardo che tenga gli occhi fissi e ben orientati come indica  l’ Angelus novus , è impossibile avvicinarsi ad una lettura
Su questo la Weil ci lancia un messaggio importante: “si può essere ingiusti per volontà di offendere la giustizia o per errata lettura della giustizia. Ma quasi sempre si dà questo secondo caso” (S. Weil). Con il termine lettura si intende interpretazione affettiva, giudizio concreto di valore sulla realtà e sulle situazioni. La Weil aggiunge ancora: “la carità e l’ingiustizia si definiscono solo mediante letture”, mentre  “causa delle letture erronee sono l’opinione pubblica e le passioni”. La manipolazione dell’opinione pubblica e la sollecitazione ossessiva degli interessi ed egoismi individuali sono due elementi importantissimi per indurre giudizi di valore deformi e devianti. Anche chi ha tutta la buona volontà  di vivere aderendo alla giustizia, può venire orientato a sbagliare lettura ed essere convogliato su binari che conducono nella direzione opposta a quella voluta. Oppure a ritirarsi in una sorta di neutralità e di sospensione del giudizio per non sbagliare.
Le letture dominanti non concedono spazio alla soggettività e alla sofferenza di chi lavora o di chi non ha lavoro; i problemi e le speranze, le malattie e gli infortuni, le situazioni familiari o della casa di chi ha soltanto il proprio lavoro da mettere sul mercato, non hanno spazi di espressione. L’economia domina tutti i settori della vita, ma  l’ homo oeconomicus che possiede  unicamente la propria forza lavoro, sempre più precario, non ha voce né apparizione e visibilità alcuna. Che vale la vita di un uomo sul mercato globale?

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La nostra rivista è un tentativo di lettura onesta, tesa verso la giustizia, senza alcuna pretesa dogmatica. Se è vero che “ la carità e l’ingiustizia si definiscono solo mediante letture ”, se ne deduce che far circolare letture aderenti alla effettiva e concreta condizione umana non è un optional,  ma un dovere preciso. Un dovere che ci sentiamo di portare avanti con la pochezza delle nostre forze, anche attraverso questo piccolo strumento che riteniamo ancora utile. La  maggior parte di noi, dopo tanti anni di lavoro che ci hanno visto come operai e lavoratori in mezzo agli altri, ha varcato l’età della pensione. A proposito delle forze disponibili, mi pare appropriata  una parola di Rigoberta Menchù che parecchi anni fa citavo in occasione di un convegno nazionale dei PO italiani: “ Mio padre mi diceva: c’è a chi tocca dare il sangue e c’è a chi tocca dare le proprie forze; perciò, finché possiamo, diamo la forza ”.
In un contesto tanto cambiato, il collettivo dei pretioperai lombardi, dopo aver ragionato per più incontri in merito alla rivista, si è assunto la responsabilità di portare avanti questa pubblicazione con cadenza quadrimestrale. Ovviamente lo strumento rimane aperto al contributo di tutti i PO italiani e di quanti si sentano si sentono interessati al discorso. Per fronteggiare l’aumento delle spese di spedizione si è deciso di associarci a Qualevita , pubblicato a Sulmona da Pasquale Iannamorelli, PO che cura la composizione, la stampa e l’invio della nostra rivista ad abbonati ed amici. Pertanto Pretioperai arriverà a domicilio come supplemento a Qualevita.
Una diversa disposizione grafica ci consente di risparmiare pagine riducendo i costi di rilegatura, garantendo però l’offerta dei contenuti che in questi anni siamo riusciti ad assicurare.
Con l’inizio del prossimo anno decollerà una nuova iniziativa alla quale sta lavorando Luigi Consonni di Milano, prossimo alla pensione. Apriremo un sito internet di Pretioperai che ci consentirà di allargare il giro e di proporre non solo le pagine più significative della rivista che ha visto la luce nel 1986, ma anche testi e testimonianze comparsi sul precedente Bollettino di collegamento dei PO italiani oltre a documenti di archivio.
Ci auguriamo che i tanti amici che nella vita abbiamo incontrato ci diano una mano. Invitiamo anche a scriverci liberamente. Le tematiche che affrontiamo e i tempi che stiamo vivendo meritano l’applicazione del pensiero e lo sviluppo della comunicazione per una lettura onesta dei nostri tempi ed una sincera testimonianza evangelica
In chiusura una bella notizia. Marco Vitali nell’ottobre scorso è stato ordinato prete a Biella. Dopo gli studi teologici portati a termine a Milano, si è trasferito a Biella dove continua a lavorare come spazzino in una cooperativa. Esattamente venti anni fa Gianpiero Zago, diacono ed operaio, veniva ordinato prete a Vittorio Veneto. Ci hanno regalato  le loro belle testimonianze di vita che vengono accostate nella prima sezione di questo quaderno.

 

Roberto Fiorini


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