Testimonianze


 

Le parole sono sempre povere a esprimere intuizioni e analisi, speranze e aspettative. Tuttavia è necessario provare, per riuscire, magari per chiarire a se stessi, quale “poter essere” è nascosto dentro ad una condizione di uomo e di prete certamente falsate, condizionate e forse strumentalizzate. La purezza del cuore è dono di Dio, credo possibile acquisirla in un cammino progressivo di conversione, avendo davanti il modello Cristo con la sua carica travolgente e col suo spirito di verità che conquista gli uomini di tutti i tempi. Forse neppure Lui, il Cristo, è quella luce limpida che vorremmo, dopo millenni di storia ecclesiastica, nonostante tutto…

1) Per guardare un po’ a fondo il mio cammino personale devo partire da un’eredità: qualcosa che ho acquisito anche inconsciamente, ma che ha di sicuro modellato la mia coscienza, la mia capacità di giudizio, i miei comportamenti. Mi era stato messo con chiarezza davanti agli occhi il bene e il male, i luoghi di Dio e quelli del maligno, la chiesa e il mondo; erano ben definiti i settori del vivere e la scelta che dovevo fare.
Era una mentalità di separazione e allo stesso tempo di garanzia. Era qualcosa che mi preparava alla mentalità clericale.

2) Nel periodo di sacerdozio, che poi maturò in me la scelta del lavoro, ci fu la “metanoia” (crisi, tensioni, incompatibilità).
— La scoperta progressiva di Cristo libero e liberante (dentro l’esperienza della gente e nella lettura della Parola)
— Di conseguenza la scoperta di una libertà dentro agli schemi rigidi della sacralità e della religione (i luoghi di Dio erano molto più ampi di quelli religiosi)
— Di conseguenza la scoperta di una libertà dal potere politico, che non sostiene mai, anzi che condiziona i credenti e impedisce loro di far comunione con i poveri della terra (era più spesso percettibile una chiesa ricca con i ricchi, con i suoi grossi limiti alla radicalità evangelica).

3) In questo cammino di liberazione, sentivo talvolta come un peso, talvolta come “necessità” le mediazioni della mia condizione di uomo (la salute, la cultura, la sicurezza economica) e del mio ministero sacerdotale (riti senza fede, sacramenti come fatti sociali, ecc.)
C’era tanta strada da fare, il cammino era lungo: sentivo che era giusto e bello affrontarlo. Mi domandavo: arriverò a costruire l’uomo nuovo ancora così nascosto in me? Quale uomo e quale prete sarò?
Mi rassicurava la convinzione che “ciò che saremo ci sarà rivelato” a mano a mano che si affrontano tensioni, contrasti, incertezze, cioè una rivoluzione interiore necessaria. Vivo nella speranza che il mio cammino di incarnazione, di umanizzazione e anche quello di declerizzazione approderanno a qualcosa di buono.

4) Prete al lavoro
Trovai giusto per una coerenza personale e per una intravvista nuova identità la scelta del lavoro:
— non nella situazione della fabbrica (perché continuo a veder giusto lo spazio dedicato alla parrocchia)
— non quindi per una evangelizzazione del mondo operaio
— ma per una personale autonomia economica. Non è da poco rompere il legame con una struttura ecclesiastica legata a sistemi di potere economici e quindi politici e ideologici
— ma per una essenziale purificazione del ministero sacerdotale sulla linea della gratuità e del servizio.
Ho iniziato a lavorare in una impresa di pulizie; ora da tre anni sono in una cooperativa di servizi che opera nell’ambito del settore sociale. Sono custode e animatore del dormitorio pubblico di Venezia (30 ore settimanali).
E’ un lavoro facile dal punto di vista “tecnico”. E’ un lavoro estremamente duro dal punto di vista dei rapporti, delle attese deluse, di una coscienza che si deve mettere in discussione (quale modello di civiltà? Quanti pagano un prezzo tanto alto al progredire di pochi!).

5) Prete in Parrocchia
Sono parroco, assieme a Don Alfredo in una comunità. Vedo il valore della territorialità, della incarnazione del Vangelo nella specificità del luogo. Vedo la parrocchia come luogo di aggregazione e come occasione perché si possa fare comunità nell’ascolto e nella provocazione profetica, con attenzione ai segni dei tempi e alle urgenze della storia.
Non si può nascondere che è anche un luogo di compromesso; un ambiente dove anche senza volerlo il prete riveste un ruolo e mostra quindi un distacco. Forse è soprattutto questo che emerge. Tuttavia nella ricerca personale per una inversione di rotta, questa è la realtà da cui partire.

6) In prospettiva
PO continua ad essere oggi un segno di autenticità e di radicalità evangelica: è una risposta indispensabile alla Chiesa e un’indicazione seria all’uomo. È importante riconoscersi assieme, individuare le tracce della nostra fede in questa storia, ed essere anche punto di riferimento per molti in una rilettura del messaggio evangelico.
Non mi pare abbia senso parlare di PO come di una esperienza finita o come di un “movimento” non più significativo.
Se per qualcuno era “esperienza”, per molti è stata una scelta di vita. Io l’ho intesa in questo modo, perciò non vedo come possa “finire”.
Se poi non è stato più un movimento significativo, forse il motivo va ricercato nelle troppe occasioni perdute (?) di fronte a problemi che meritavano un giudizio e una lettura secondo lo spirito PO.

Lidio Foffano


 

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