
Incontro PO italiani ed amici
Viareggio, 20-21 aprile 2002
Anch’io provo ad interpretare a modo mio il significato di questa parola che stiamo tirando ciascuno da parti diverse… l’ultimum per me è ciò da cui non posso assolutamente prescindere, nel tempo che mi resta del cammino della vita; ciò con cui so di dover fare i conti, infine… E gli imprescindibili per me sono senza dubbio gli ultimi, appunto: quelli che sul pianeta sembrano irrimediabilmente condannati a stare sotto.
A questa affermazione aggiungo però subito tre note importanti:
• gli ultimi esistono perché esiste una stratificazione sociale che comprende anche i penultimi e su su, fino ai primi; c’è chi sta sopra e chi sta sotto, appunto. E la contraddizìone sotto/sopra , che fonda la nostra società classista, dall’inizio della storia ad oggi (i Sumeri, con la loro scrittura, 5 mila anni fa) non è mai stata effettivamente attaccata lungo tutto il corso della storia; anzi, questa contraddizione ciascuno di noi l’ha pesantemente introiettata e condiziona il suo modo di guardare e di relazionarsi (il sentirsi superiore/inferiore rispetto ad altri);
• ormai la folla sempre più numerosa degli ultimi si articola di fatto in tre strati sociali: poveri – miseri – rifiuti (i desechables di cui parla uno scritto di Galeano che qualche anno fa abbiamo riprodotto su questa rivista); questa è una conseguenza inevitabile – anche – del fatto che quando io sono nato, un miliardo e 200 milioni di persone abitavano il pianeta; oggi, dopo 60 anni, siamo ben oltre i 6 miliardi: cinque volte di più! Questa impressionante moltiplicazione è avvenuta senza alcun cambiamento in avanti del sistema economico dominante, che non ha certamente per obiettivo l’equa distribuzione delle risorse…
• i soggetti del cambiamento della storia sul pianeta non possono non essere dentro questa massa enorme di quelli sotto, quelli che non hanno nulla da perdere, tranne che le loro catene; quelli che non hanno paura… neppure la paura di morire: ho casualmente ascoltato alla radio un uomo d’affari occidentale che riferiva le parole di un commerciante arabo, che dopo l’11 settembre gli diceva: “voi avete perso in partenza, perché voi avete paura di morire; noi no”.
Invece, mi è di grande aiuto un’immagine che riemerge in me dalla nostra storia di PO: quella della sentinella (ricordate Tognoni, anni fa? Altro testo che si può incontrare sfogliando i primi numeri della nostra rivista). Io ho scelto ormai di assumere l’atteggiamento di fondo dell’essere sentinella: non in chiave difensiva, non per avvistare un eventuale nemico; ma in chiave di ricerca in avanti: voglio essere sentinella del nuovo che sta nascendo “dai sotterranei della storia” (ricordate le lettere di Frei Betto dal carcere?): e chi in qualche modo non “vetero” opera con quelli sotto può testimoniare che davvero un nuovo sta nascendo, nonostante tutte le oppressioni della storia…
A partire da questo atteggiamento di sentinella del nuovo, sottolineo alcuni NO e alcuni SÌ che ritengo sempre più importante dire in prima persona e che mi aiutano molto ad operare con gli ultimi “in modo non vetero”, appunto. Li elenco schematicamente:
• NO al lasciare spazio alla paura: no all’aver paura, no al far paura; SÌ invece al liberare dalla paura.
• NO alla propaganda, al tentare di “convincere”… SÌ all’essere educatore con la mia vita (e ad accettare di lasciarmi educare dalle vite di quelli sotto).
• NO all’uso dei “miei” libri sacri, ben distinti dai libri sacri agitati da altri (e questo mi pare non solo il rifiuto degli integralismi fanatici, ma anche di quelli più sottili e raffinati).
• NO all’autodefinizione di sé in chiave di appartenenza religiosa: il cristiano come ben distinto dal mussulmano, o dall’ebreo. SÌ piuttosto al dire “io sono solo un uomo”; rubo l’immagine a Ernesto Balducci (“L’uomo planetario”), le cui intuizioni su questo fronte meritano di essere approfondite.
L’immagine che trovo più stimolante, a questo punto della mia vita, è quella del sentirmi dentro al grande fiume della vita, nel quale ciascun vivente è chiamato ad esprimersi con il meglio delle energie vitali che si ritrova, per il breve tempo in cui si ritrova a poterle esprimere in maniera attiva; tempo brevissimo, anzi, un tratto infinitesimale dentro la linea del tempo: motivo di più, questo, per riconoscere l’importanza dell’esserci (altro tema ricorrente nella nostra storia di PO) per esprimere al meglio le nostre energie vitali; e dell’esserci in mezzo a quelli sotto, per favorire l’espressione al meglio delle loro energie, quelle che possono cambiare davvero la storia dell’umanità sul pianeta.
Insomma, esserci, in mezzo agli ultimi, per “levantar vida y esperanza” (ricordate i fax di Cesare dal Salvador?)