REINVENTARE LA VITA: TRA CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’
Incontro nazionale PO / Bergamo / 28-30 aprile 2005
È solo l’immagine di un “processo vitale”, non ha nulla di remissivo, di cedimento, di sottomissione rassegnata. È il movimento che precede la nascita. Il bambino che sta per nascere, nell’utero della madre, pone il capo nella posizione inclinata per poter passare attraverso lo stretto canale che lo porterà alla vita nuova. In questo processo fa esperienza della resistenza, dello sforzo ed anche dell’abbandono.
Un’immagine che accompagna alcuni passaggi della vita di uomini e donne perché continuamente qualcosa muore e nasce in noi. “Credimi nessuno può gustare il Regno di Dio se non nasce di nuovo.” (Gv. 3,3)
Anche Gesù “chinato il capo, rese (donò) lo Spirito”. (Gv. 19,30) il limite che incontriamo non è solo interrogativo su Dio “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc. 15,34), ma è anche il luogo dove Dio ha scelto di manifestarsi (Mt. 27,54). Il chinare il capo di Gesù è un “acconsentire“ che la vita, passando dalla strettoia della morte, venga reinventata perché posta nelle mani dall’Altro in un atteggiamento di affidamento (Lc. 23,46).
Attendevo con ansia e desiderio di andare in pensione a 65 anni dopo 34 anni di lavoro svolto in varie fabbriche metalmeccaniche; sentivo che non reggevo più ai turni di lavoro che mi sconvolgevano la vita, faticavo ad entrare nella dimensione tecnologica, i ritmi di lavoro erano divenuti stressanti ed inumani, anche le relazioni tra operai si logoravano, pressati dal controllo elettronico…
Laqueus contritus est… e il laccio si è rotto: ma sono stato liberato?
I miei compagni sono ancora al loro posto ed in situazioni peggiori con la crisi che ci coinvolge. E molti, soprattutto del Sud del mondo, bussano alla mia porta chiedendo di poter entrare in questo laccio.
Eppure, dopo alcuni giorni in cui mi è sembrato di essere in ferie, ho sentito la mancanza della “scuola di vita” che proveniva proprio da quella costrizione e da quel limite che poneva in essere la mia umanità con quella dei compagni di lavoro: il dover stare svegli, il prendere coscienza, il dover pensare, il contestare ed anche la fantasia di proporre, la resistenza e la lotta per non perdere la dignità e la nostra umanità, il dover ascoltare e parlare con tutti, la responsabilità da maturare ed assumerci come collettivo, non sempre scontata, il sentirci – in alcuni momenti – di esser parte di un movimento più ampio di umanizzazione planetaria…
Con la pensione sono entrato in un altro mondo, mi sembra di esser stato ridotto allo stato “laicale” nel senso di esser ridotto ad una solitudine con me stesso, privatizzato. I grandi problemi dell’umanità ci sono ancora tutti, ed anche qualcuno in più, ma io dove sono?
Sono diventato uno “statale garantito”con la mia pur modesta pensione?
Sognavo strade nuove di libertà, di tempo libero, di impegni lasciati precedentemente cadere, di ricerca intellettuale, di relazioni non coltivate, di servizi.
Il sogno non è durato a lungo. Ci ha pensato la vita stessa ad assegnarmi i compiti.
Da 24 anni ho seguito gli anziani della mia famiglia accompagnandoli al loro Fine,
ed ora sono alle prese con il mio unico fratello ricoverato in un istituto per non autosufficienti: il sogno non è durato più di cinque mesi.
Devo di nuovo ristrutturarmi nella ricerca di un equilibrio personale psico-fisico ed anche affettivo, lasciandomi riempire del respiro dell’universo.
Il limite è la condizione necessaria del vivere umano, anzi di tutta la realtà esistente; proprio nel limite è custodita la verità di ogni essere. Il pensiero occidentale tende ad isolare il singolo essere dal suo contesto per renderlo “autonomo” (l’essere è ed il non essere non è), aprendo la strada alla irriducibile identità nella competizione, nel campo della scienza e della tecnica, del mercato globale, del progresso come confine da espandere… Forse perde il senso, la sapienza e la relazione necessaria con il diverso, diventando violento ed intollerante con la sua pretesa di razionalità universale.
Il Limes è la soglia dove finisce il mio senso di onnipotenza e comincia la presenza dell’Altro; è il possibile luogo d’incontro, di osmosi che produce tensione, ma anche abbandono al nuovo che nasce. Diventa luogo da abitare, esperienza del mistero, azione del consegnarsi (I Cor: 11,24).
Pur apprezzando il pensiero occidentale che ha portato all’affermazione della dignità della Persona umana, all’affermazione dei diritti civili e sociali, al progresso scientifico e tecnico, all’approccio con la democrazia, alla laicità come valore di libertà, di coscienza, di tolleranza ha pure portato le negatività accennate sopra.
Ora sto accostando il pensiero orientale, che pure soffre di parzialità, ma che esprime un altro approccio allo stare nel mondo. Il contro non si fonda sull’essere ma sullo stare in una continua relazione del processo del divenire (questo è perché quello è). Non rinuncio alla mia tradizione culturale e religiosa ma trovo che la contaminazione può portare ad un certo distacco permettendo strade di sapienza e felicità. Recupero sensi nuovi anche nei nostri testi sacri, forse di tradizioni che sono state lasciate ai margini in favore della ragione pura: “Non sono venuto a dimostrare, ma a mostrare”.
Se vogliamo dare continuità alla storia, siano costretti ad aprirci ad un nuovo modello di umanità, ad un nuovo stile di vita e ad una gestione politica diversa.
Vorrei concludere con una riflessione di Alex Langer, un testimone della Nonviolenza e del pacifismo.
“La nostra civiltà ha bisogno di –disarmare– e di –digiunare– altrimenti rompe ogni equilibrio ed impedisce ogni possibile giustizia e sviluppo durevole. Il pretenzioso motto olimpico del –citius– (più veloce), –altius– (più in alto), –fortius– (più forte) che è la quintessenza della nostra cultura, dovrà urgentemente convertirsi in un più modesto, ma vitale –lentius– (più lento), –profundius– (più in profondità), –suavius– (più dolcemente, soavemente).
Se si vuole pensare ad un futuro dell’umanità dobbiamo imboccare l’ottica del “limite”. Il sistema è “finito e limitato” ed anche squilibrato dove il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse. Non si può pensare di arrivare a portare l’intera popolazione mondiale agli standard europei ed americani: è pura follia.
Occorre passare dalla cultura dell’efficienza alla cultura della sufficienza; non basta fare le cose bene, ma fare le cose giuste” (A. Langer, Vie di Pace).
Per me i tre punti citati da Langer possono essere il modo di stare in questo mondo ricollegati alle radici della mia storia di preteoperaio.
Lentius: rallentare i ritmi della mia vita per poter agire e non esser agitato, il sentirmi parte della realtà limitata, che deve esser umanizzata nei giusti rapporti con i beni. Rallentare i ritmi di sfruttamento, di crescita, di accumulo.
Profundius: andare alla radice della relazione con l’universo e con gli uomini e donne del nostro tempo: curare la relazione e lo scambio di tutti i beni materiali e spirituali. Avere una spiritualità contemplativa incarnata nella storia. Abbassare i tassi di inquinamento di produzione e consumo (avere il piede leggero sulla terra).
Suavius: Rivalutare e curare la tenerezza con il creato; gustare la gratuità ed il dono, la bellezza l’arte, i volti… Attenuare ogni forma di violenza dell’umanità e del creato. Ma conservare anche l’indignazione e lo sdegno per ogni ingiustizia.