Testimonianze


In questi mesi si sta riparlando, nei mass-media, dei PO (vedi ad es. le riviste “Famiglia Cristiana” n. 43 e “Jesus” n. 11, e il programma “Uomini di Dio”. su Raitre del 14 novembre ‘90). È solo l’interesse “etnologico” di raccogliere testimonianze su una “razza in estinzione” o “al capolinea”, come dicono?
Ma io stesso mi chiedo: riuscirò a trovare un posto di lavoro a 52 anni, in un momento (leggo oggi sui giornali) in cui la Olivetti chiede 7000 prepensionamenti e i tessili prevedono un calo di 300.000 addetti in 10 anni? È arrivata al capolinea anche la classe operaia? Non sembra, vista la manifestazione a Roma del 9 novembre. Ma certo a Livorno ci sono molti segnali di crisi occupazionale. Si vedrà!
Vengo dunque alla mia storia, che posso dividere in tre fasi (io sono prete dal ‘71 e ho terminato la teologia nel ‘72).

1. 1972-1974: la fase sperimentale

Ho abitato con altri due gesuiti operai in appartamento, in un quartiere popolare e operaio, caratterizzato da fabbriche metalmeccaniche e vetrerie.
Abbiamo scelto di vivere in anonimato il nostro primo inserimento sia nel lavoro che nell’abitazione: una “clandestinità” che aveva il suo senso, ma che si rivelò anche paralizzante. Pregavamo e celebravamo la messa in casa; il servizio pastorale era quasi nullo.
Mi iscrissi al sindacato (prima FILLEA-CGIL e poi, cambiato settore, alla FLM). L’impegno “politico” più significativo è stato in quegli anni la collaborazione con un gruppo di riflessione e appoggio alle lotte dei lavoratori delle vetrerie Bormioli. Ho seguito anche con interesse la nascita di “Cristiani per il socialismo”.
Le motivazioni che all’inizio ci avevano spinto ad entrare come salariati in fabbrica le riassumevamo così:
* la spaccatura ed estraneità del mondo operaio dalla Chiesa, da cui derivava per noi la necessità di un inserimento nel mondo operaio attraverso una condivisione e un ascolto che fossero le premesse per l’annuncio evangelico;
* una spinta evangelica a rivivere l’esperienza di Gesù che, venendo tra noi, condivise prima di tutto la vita della gente, dei più poveri, degli ultimi, e annunciò il Vangelo ai poveri con ciò che faceva e con ciò che diceva;
* l’urgenza di dare nuova rilevanza sociale alla povertà religiosa, rendendola elemento attivo di trasformazione della società tutta intera nel senso del regno, attraverso un atto di solidarietà con gli uomini che conducono una vita difficile e sono collettivamente oppressi;
* la scoperta dell’ingiustizia sociale in tutti i suoi aspetti, che ci ha spinto a stare da una parte e non dall’altra;
* ritrovare autenticità del nostro essere preti, mettendo in questione il ruolo tradizionale del prete, che avvertivamo come cristallizzato nel compimento di alcune funzioni sacre; logorato dalla compromissione con la cultura e il potere dominante; collocato in un ceto sociale che ne paralizzava la missione evangelica e l’annuncio profetico; lontano dai luoghi in cui il povero vive la sua situazione di sfruttamento e di conflitto e matura il suo giudizio sulla società .e sulla storia.
Questa prima fase terminò con il Terzo Anno di Probazione (ultimo momento formativo del gesuita dopo gli studi e le prime esperienze apostoliche): per me fu doloroso il distacco dal lavoro e l’incertezza di poterlo riprendere, ma quell’anno fu anche un’opportunità di valutare il primo impatto con la vita operaia, i problemi sorti e le possibili prospettive di ripresa.

2. 1975-1987: fase della “durata”

La ripresa avveniva in situazione del tutto nuova: non più abitazione in appartamento, ma inserimento nella casa religiosa di Parma; non più noi tre soli, ma in comunità con altri dieci gesuiti, con i quali condividere un progetto di corresponsabilità nella riflessione e nel servizio, con attenzione privilegiata ai “lontani”, dialogo con il mondo marxista, accoglienza degli emarginati e degli stranieri.
La mancanza di un inserimento diretto in un quartiere operaio, che avevamo all’inizio, era in parte compensata dalla possibilità di confronto tra modi di vedere e agire diversi e da un più proficuo inserimento pastorale. Nella nostra chiesa non parrocchiale o aiutando la domenica in qualche parrocchia eravamo stimolati a rileggere la Parola di Dio con gli occhi di chi subisce fatica e oppressione e progetta cammini di solidarietà e liberazione (per vari anni abbiamo fatto giorno per giorno una lettura continuata e partecipata dei Vangeli e degli Atti).
Ho accettato di mantenere rapporti di collaborazione e confronto con alcuni organismi diocesani (Pastorale del lavoro, Consiglio pastorale diocesano) e ho aderito volentieri alla richiesta di alcuni gruppi di base che chiedevano di fare con loro un cammino di accompagnamento nell’approfondimento della Parola di Dio e nella revisione dei propri impegni sociali, del lavoro, della vita familiare.
Sul versante socio-politico quelli sono stati gli anni della “durata”, dell’incarnazione sempre più piena e cosciente nella condizione operaia: un lavoro pesante e nocivo come lucidatore di metalli in due fabbriche metalmeccaniche, una militanza sindacale (FLM e poi FIM-CISL) che mi portò ad accettare la richiesta dei compagni di lavoro ad entrare nel Consiglio di fabbrica e nel Direttivo Provinciale; e poi le lotte per i contratti, per la difesa dei lavoratori più deboli, le manifestazioni in diverse città, ecc. Insomma la situazione “classica” di molti PO
Devo ringraziare varie persone e gruppi operanti sul territorio perché mi hanno aiutato ad allargare la coscienza e la lotta dalla fabbrica al territorio: soprattutto l’impegno per la pace e il disarmo, attraverso l’obiezione fiscale alle spese militari, e una maggiore attenzione ai risvolti sociali dell’oppressione capitalistica: la droga, l’emarginazione.
Sono stati anni intensi, belli, ma anche faticosi e logoranti.

3. 1988-1990: fase del “ridimensionamento”

Senza che me ne accorgessi, senza preavvisi, anzi in un momento che era per tanti versi felice e sereno; anche se segnato dalla morte di mio padre (era l’autunno dell’87), mi sentii di colpo come inceppato, sia fisicamente che psicologicamente: non accettavo più il lavoro, o almeno quel lavoro; due o tre volte mi allontanai dalla fabbrica nel bel mezzo dell’orario di lavoro e presi dei giorni di riposo; ma non riposavo, e mi riusciva difficile pensare di poter continuare quella vita.
E se avessi avuto una famiglia sulle spalle in quel momento? E invece potei chiedere ed ottenni 5 mesi di aspettativa, e mi fu offerto dai miei superiori di partecipare ad un corso biblico-spirituale in Palestina, che mi giovò, anche se tornai senza un orientamento chiaro per il lavoro in fabbrica.
Allora mi fu prospettato di orientarmi ad un lavoro part-time e di assumere l’incarico .di un Centro Internazionale di Accoglienza già avviato nella nostra casa. Questa fu per me una indicazione illuminante e liberatrice, che mi ha permesso di trovare un nuovo equilibrio, una nuova sintesi tra il desiderio della condivisione della condizione operaia e del cammino collettivo dei lavoratori, da una parte, e l’attenzione alle nuove realtà sociali che stavano emergendo, dall’altra, soprattutto quella dell’immigrazione di lavoratori dal Sud del mondo.
Fu proprio questo impegno per l’accoglienza degli extracomunitari che mi portò a collaborare con un Coordinamento di una quarantina di gruppi di Parma di diversa matrice religiosa, ideologica e politica, che insieme riuscirono a promuovere varie iniziative di sensibilizzazione e azione su vari fronti: le istituzioni e amministrazioni (campagna “Democrazia è partecipazione”: richiesta di impegni precisi ai candidati alle elezioni e controllo sugli eletti), il razzismo (immigrati dal 3° mondo), la liberazione dei popoli (Palestina, Sud Africa), i rapporti Nord-Sud (“contro la fame cambia la vita”, Amazzonia…).
In questa fase l’impegno sindacale (data la dimensione dell’azienda e l’orario ridotto) non era. così centrale come prima; ma il fatto di avere come compagni di lavoro tre senegalesi di religione mussulmana mi costringeva a riflettere insieme su diversi piani: sociale, culturale, religioso, e soprattutto umano, di rapporti personali.

Quale spiritualità è maturata in questi anni?
Per me è stato sempre molto ispirativo il discorso di Gesù a Nazareth (Lc 4,14-19; cfr. Is. 61, 1-2): l’annuncio del Regno ai poveri, sostenuto dai segni storici di liberazione.
È ciò che ho recepito a partire dal Concilio (la Chiesa dei poveri), attraverso la presa di coscienza politica del 1967-’69, nella vicinanza agli emigrati italiani in Belgio durante la teologia, e poi confermato dalla Congregazione Generale 32 dei Gesuiti (diaconia della fede e promozione della giustizia, 1975) e dalla lettera del P. Arrupe sulla Missione Operaia (1980)..
Ma in questo ultimo periodo emerge di più la contemplazione del Servo di Yahvé (Is. 50 e 53) sia in relazione alla classe operaia ridotta al silenzio e alla marginalità, sia soprattutto in relazione ai poveri del Sud del mondo; che abbiamo ormai al fianco nei luoghi di lavoro.

Toni Melloni


 

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