Il vangelo nel tempo
Questa icona è stata scritta e pregata da Nikla De Polo negli anni 2007-2008.
Vittorio Veneto, 25 marzo 2009, festa dell’Annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria / 25° anniversario dell’ordinazione presbiterale di don Gianpietro Zago
COME NASCE UN’ICONA?
Nasce nella preghiera, nasce nel desiderio che lo Spirito suscito e porta a compimento di contemplare / fissare lo sguardo sulla realtà della bellezza di Dio mai esaurita, mai racchiusa dentro niente, sempre oltre e sempre presente nella vita…
Nasce nell’ascolto orante della Parola che quell’aspetto del mistero di Dio narra, fa intuire…
Nasce nella gratuità di una obbedienza in cui ricerca e ascolto si fondono, in cui messaggio e arte si rincorrono, in cui si celebra il trionfo della vita: quella di Dio per l’uomo e quella dell’uomo che si apre a Dio.
COME È NATA QUESTA ICONA?
È nata nel cuore di chi ha desiderato vivere una vita da operaio facendo memoria di Gesù operaio a Nazareth: è nata come ricerca di fedeltà… come contemplazione della vita… È nata nel cuore dell’iconografa che ha raccolto pazientemente questa intuizione e l’ha tradotta in scrittura.
È nata nell’incontro tra persone che hanno cercato di fare spazio al mistero di Dio nel suo farsi uomo ascoltando la Parola, pregando insieme, cercando di convertirsi all’imprevedibile mostrarsi di Dio, ripercorrendo la strada dei discepoli che a tentoni si avvicinano al cuore della vita, al Signore della vita.

PERCHÉ QUESTA ICONA?
Nasce dalla contemplazione del mistero di Gesù vissuto a Nazareth, di Gesù figlio di Dio che si fa uomo e viene conosciuto e riconosciuto dai suoi paesani come “il figlio del carpentiere” (Mt 13,55).
Nasce dal desiderio di identificare la vita con la Sua: ripercorrere le orme, lo stile di Gesù per diventare ‘somigliante’ al Maestro, al Signore, al Risorto, al ‘Christus totus’. Nasce dal prendere sul serio la Sua incarnazione: “o logos egheneto sarx”. È questo il definitivo manifestarsi di Dio nella storia, la sua modalità di essere DIO-UOMO (Gv i ,1 4).
Nasce dal bisogno di ‘ricominciare’, di ‘ripartire’, di trovare l‘in principio della evangelizzazione: contemplare per riscoprire una identità, un ministero, una compagnia, uno stare dentro, un abitare la vita dell’uomo; questo può consentire di ritrovare il linguaggio della vita che viene dal condividere la vita in silenzio, nell’anonimato, alla pari, senza sconti, senza scorciatoie, senza privilegi, senza separazioni e confusioni.
Nasce dopo quasi 36 anni di vita operaia: niente di improvvisato; nasce dopo tanti aut-aut; dopo una ricerca personale ma condivisa con amiche, amici, compagni di lavoro, presbiteri, pretioperai di un et-et: lotta e contemplazione, “abita la terra e vivi con fede” (SaI 37,3), ora et labora, praticare la giustizia e camminare umilmente con Dio … essere presbitero e essere operaio, essere operaio e essere presbitero.
Nasce nel 25° del mio essere presbitero.
Nasce come risposta al mistero contemplato, come ricerca di continuare una vita nella compagnia di tutti, come proposta di guardare l’invisibile a partire dalla sua visibilità, come contributo all’essere Chiesa del Signore in mezzo alla terra mai da essa separata, in mezzo agli uomini mai ad essi contrapposta.
Nasce perché l’Evangelo, la buona notizia che è Gesù risuoni in pienezza indicando il Christus totus, risuoni come riconciliazione con la vita quotidiana riscoprendo la bellezza di essere uomo e donna, risuoni come fedeltà a ciò che ognuno è nella consapevolezza che il FILIUS DEI FABER ti prende e ti accompagna dalla tua incarnazione alla risurrezione.
L’ICONA “FILIUS DEI FABER”
C’è come una intuizione: cogliere la vita di Gesù come normativa e rivelativa di chi è Dio per la vita dell’uomo e della donna (testi biblici: Mt 13,55, Mc 6,3; Lc 4,22).
Vuole essere un inno, un canto all’incarnazione; è stupore davanti al farsi uomo di Dio; mi introduce ad accogliere Dio che si manifesta in modo imprevisto, non atteso, oltre ogni misura. La sorpresa non è solo l’iniziativa di Dio che si fa conoscere ma il come entra in relazione con la vita umana.
È un invito ad amare il quotidiano della vita perché dentro la normalità del vivere abita Dio e lo posso incontrare nella fedeltà alla vita di tutti i giorni di cui il lavoro è aspetto essenziale della singola individualità.
Anche Dio ha lavorato: pensiamo a Gen 1 e 2.
Nell’evangelo di Giovanni troviamo l’espressione: “Il Padre mio lavora sempre” (Gv5, 17). Gesù a Nazareth nel tempo dei trenta anni è cresciuto nella bottega di Giuseppe che gli ha trasmesso una manualità riconosciuta (‘figlio del falegname/carpentiere’), una competenza professionale. Amare il farsi uomo di Dio, contemplare la sua venuta tra noi è riconciliarci con Lui che ha scelto di vivere così; è un invito a cogliere in questo ‘uomo normale’ la presenza di Dio che “svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-11). La spogliazione del suo “essere come Dio” coincide con l’assumere questo volto umano, volto di operaio, volto di lavoratore, volto di fratello dell’uomo, all’uomo legato dalla partecipazione alla stessa condizione di vita: lavoro, famiglia, amicizia coi paesani, frequentazione settimanale della sinagoga (Lc 4,16…).
Ci si deve chiedere perché si è sorvolato / si è messo tra parentesi questo tempo di Nazareth: solo assaporando a lungo questa scelta di Gesù si può cogliere l’originalità del suo “essere sommo sacerdote non alla maniera di Aronne ma secondo Melchisedeck” (Eb 6,20).
È necessario riappropriarsi dei tempi della vita di Gesù, del suo modo di stare in questo mondo, della fecondità del silenzio e dell’anonimato di Nazareth come humus su cui si inserisce l’annuncio del Regno, i gesti di liberazione dal male, le parabole… fino alla croce e alla risurrezione da morte.
NAZARETH È GIÀ ANNUNCIO DEI REGNO
Il rivestire un grembiule/una tuta è manifestazione di chi è Dio per la vita umana: Gesù è il ‘servo di Dio’ tra gli uomini, è il Figlio prediletto del Padre, fratello di ogni uomo e donna.
Mi dico e propongo a voi:
- fermati e contempla, canta e piangi davanti al mistero di Dio che si fa vicino, molto vicino e che insegna ancor prima che con le parole con uno stile di compagnia accanto all’uomo/donna;
- la prima maniera di amare l’altro/a/i è condividere: è dividere insieme la vita, è farsi carico gli uni degli altri partecipando dal di dentro alle stesse condizioni di vita;
- puoi conoscere l’altro se abbatti il muro di separazione, se salti il muro e ti metti al suo fianco, assapori la stessa condizione: non stai sopra, non stai fuori, ma ti poni accanto, coinvolto nella stessa avventura di ‘essere uomo’.
Quel ‘faber’ è ‘Filius Dei’: “non ha apparenza né bellezza”, ha l’identità di uomo, uomo dalle mani segnate da pialla, sega, martello.., dall’uso continuato degli strumenti da lavoro ad indicare non un’esperienza, non una parentesi ma una scelta di vita, a sottolineare una frequentazione della vita di tutti.
La solidarietà non è facoltativa né passeggera.
Il ‘Filius Dei’ è ‘faber’: rivela (= toglie il velo del) il volto di Dio, entra nella vita umana con questa modalità.
Mi dico e propongo a voi:
- non essere frettoloso, rimani davanti, fermati, lasciati sorprendere, coltiva stupore davanti al suo manifestarsi;
- resta in ascolto perché quella vita è parlante, quella vita è Parola, come Parola è la croce col suo silenzio urlante!
‘Filius Dei faber’ è un tutt’uno ormai: non puoi confessare il Figlio di Dio a prescindere dal suo essere falegname e quel falegname non restringe l’identità del Figlio ma ti conduce alla comunione di vita con lui, ‘Filius Dei faber’. La quotidianità della vita, la normalità del vivere è il luogo abitato / frequentato da Dio che là si fa conoscere:
-
- serve un cuore contemplativo capace di andare oltre la scorza del vivere per incontrare il Vivente e gli altri;
- servono occhi che senza pregiudizi si aprano a! vedere il Mistero di Dio che sempre unifica la vita, che ti butta nella vita, che parla a partire dalla vita e alla vita tutto riconduce.
Il “FILIUS DEI FABER” è:
- silenzio che genera la Parola;
- ‘segno’ da leggere / interpretare / accogliere;
- volto di Dio narrato dentro il quotidiano della vita;
- lo stesso delle Beatitudini… del Tabor… dell’Orto degli ulivi… del Golgota… della Tomba vuota nel giardino… in attesa del suo ritorno nella Gloria.
Da questo Gesù vissuto a Nazareth (non solo di Nazareth) imparo uno stile; lo stile dell’annuncio è importante per il messaggio che si reca.
Gesù è messaggio, è buona notizia da annunciare: per annunciarlo è fondamentale che mi rifaccia allo stile con cui è vissuto. La contemplazione del “tempo di Nazareth” consente di tener vivo il messaggio della vita di Gesù legato al modo con cui Egli ha dato senso ai suoi giorni.
I trenta anni non son solo anticipo o premessa dell’annuncio del Regno: essi stessi contengono il mistero del ‘seme che muore e dà frutto’, del ‘lievito che fa fermentare tutta la pasta’, della ‘luce che fa brillare e illumina tutta la casa’.
Sono già ‘mistero della Pasqua’, svelamento del mistero della vita quotidiana visitata e condivisa in “nuova e definitiva alleanza” da Dio stesso.
Sono un grande segno di speranza: nel quotidiano della vita ognuno può incontrare il Figlio di Dio salvatore; il quotidiano della vita da Lui pienamente condiviso è il terreno dell’incontro tra il portatore di salvezza e ogni vivente.
GRAZIE, SIGNORE GESÙ.
Innamoraci di questa vita, della vita di ogni giorno, dal sorgere del sole al suo tramonto; donaci di stare in essa con fedeltà e obbedienza; fa ardere il nostro cuore perché ti riconosciamo ‘lungo la via della vita’ mentre ci spieghi le scritture; non stancarti di sedere alla tavola perché i nostri occhi possano aprirsi e riconoscerti; accogli la nostra preghiera: ‘rimani con noi perché si fa sera’: ‘Vieni presto, Signore Gesù’.
AMEN.
Gianpietro Zago
tutta la creazione e tutta la storia,
donami di essere libero interiormente,
di non essere preoccupato di catturare il mistero;
donami la gioia di stupire davanti al dono di Gesù veramente Dio,
veramente uomo, operaio che conosce il lavoro,
lo vive come benedizione, ne fa un’offerta,
lo rende opera santa, culto gradito al Padre;
donami di stare in silenzio davanti al farsi della sua salvezza
che valorizza tutta la vita…
Spirito di Dio tu hai generato quel Figlio
uomo Dio nel grembo della Vergine.
Tu lo hai resuscitato liberandolo dalla prigione della tomba.
Tu lo hai abitato nella bottega di Giuseppe a Nazareth,
cantiere di una umanità nuova, anticipo d’una terra
totalmente riconciliata con l’uomo e con Dio…
Contemplo, stupisco, taccio…
Mi coinvolgo in questo “farsi di Dio”
che continua il suo lavoro
per rendere ogni uomo e ogni donna
immagine e somiglianza dell’invisibile…
Rappresentazione simbolica di Gesù di Nazareth
L’icona “Filius Dei Faber” è la rappresentazione simbolica di Gesù Cristo, Figlio di Dio nel mistero della sua vita nascosta a Nazareth, di quegli anni che precedettero la sua manifestazione come Figlio di Dio.
Di questo periodo, vissuto da Gesù nel nascondimento, non si trova traccia nei Vangeli, però gli episodi da essi riportati lasciano chiaramente intravedere come Gesù avesse assunto la vita e l’organizzazione sociale, nella sua completezza, della borgata di Nazareth nella quale era nato e cresciuto accanto a Maria e Giuseppe.
Nel periodo della sua vita privata Gesù non fece nulla che potesse rivelare la missione per la quale il Padre lo aveva inviato, ma il suo lavoro di operaio accanto a Giuseppe, con le umane difficoltà della fatica quotidiana, è già preannuncio del suo messaggio: “l’amore si fa dono e umile servizio”. Nel rito della lavanda dei piedi fatta ai Dodici nella cena del Giovedì Santo, Gesù lascia ai suoi il comandamento dell’umile carità: “… dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13, 13-14).
L’icona “Filius Dei Faber” vuole proporre alla meditazione la realtà del Gesù storico vissuto a Nazareth in umiltà, povertà, obbedienza a Maria e Giuseppe, in preghiera solitaria e silenziosa, nel nascondimento della sua vera identità per confondersi totalmente nella normalità della gente del suo villaggio, del suo tempo, della sua stirpe e della sua tribù.
Gesù, il Figlio di Dio, pur essendo consapevole della sua personalità divina e della sua missione redentrice per la quale il Padre lo aveva inviato, tiene nascosta la sua vera natura vivendo fino a trent’anni nell’oscurità della vita quotidiana accanto a Giuseppe il falegname, divenendo anch’egli artigiano come il padre: “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria?” (Mt 13,55) si chiedono i suoi contemporanei sbigottiti della sua sapienza e dell’autorevolezza con cui spiegava le Scritture nella sinagoga. La vita nascosta di Gesù a Nazareth rimane un mistero inserito nell’infinito mistero d’amore di Dio per ogni uomo.
L’icona ci presenta il Figlio di Dio in una famiglia da lui scelta, una famiglia laboriosa, povera, normale, mentre svolge un lavoro manuale da operaio. Egli sostiene l’asse di una tavola, quello su cui stenderà le braccia quando sarà crocifisso sul Golgota, e porge a Giuseppe il martello, oggetto che lo definisce come operaio. Alle sue spalle si intravedono due mense: la mensa della Parola con il candelabro e il rotolo della Scrittura, cibo e nutrimento dello Spirito, e la mensa del duro lavoro quotidiano fatto di fatica e di sudore per procurarsi il cibo come avviene in ogni normale famiglia.
La mite docilità del volto di Cristo e il suo atteggiamento di umile servizio simboleggiato dal grembiule bianco cinto ai fianchi, evidenziano per contrasto la sua regalità divina nel rosso acceso della veste e nella fascia sacerdotale d’oro che gli attraversa la spalla destra essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (Ebrei 6,20).
L’icona ci presenta una scena quasi domestica con la Vergine Madre sollecita nella mescita dell’acqua e Gesù rivolto a Giuseppe nell’atto di porgere gli attrezzi di lavoro; ma la simbologia degli elementi architettonici, della disposizione dei personaggi e delle scelte cromatiche evidenziano che il mistero di “Nazareth ha un messaggio permanente per la Chiesa. La nuova Alleanza non comincia nel Tempio, né sulla montagna santa, ma nella piccola casa della Vergine, nella casa del lavoratore, in uno dei luoghi dimenticati della ‘Galilea dei pagani’, dalla quale nessuno aspettava qualcosa di buono. Solo partendo da lì la Chiesa potrà prendere un nuovo slancio e guarire”. (Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI).
L’icona è adagiata e strutturata sulle figure geometriche costituenti la griglia portante dell’intera opera e sono: il rettangolo, la croce, il triangolo, il cerchio e l’ellisse.
L’icona è divisa in tre parti uguali nel senso verticale e in quattro parti uguali in senso orizzontale. Questa perfetta divisione disegna una grande croce che occupa tutto lo spazio dell’icona e ne suggerisce il messaggio teologico e liturgico.
Nel braccio verticale, la linea mediana H H1 congiunge la luce trinitaria che scende dall’alto, la bifora indicante la duplice natura umano-divina di Gesù, e il Cristo risorto e glorioso che libera gli antichi Padri dal luogo delle tenebre nel quale attendevano la salvezza che sarebbe venuta dal Messia.
Nel braccio orizzontale della croce, il drappo rosso che unisce i due edifici laterali, simbolo dell’Antico e del Nuovo Testamento, si distende come le braccia del Cristo aperte sulla croce. “lo quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Sono le parole stesse di Gesù che esprimono chiaramente come la sua regalità si manifesti proprio nel dono supremo di sé al Padre per la salvezza di ogni uomo.
Con la sua incarnazione, morte e resurrezione il Cristo unisce l’Antico e il Nuovo Testamento “Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce… le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (CoI 1,1 9-20).
La tavola dell’icona ha la forma rettangolare simbolo della terra creata da Dio. Essa è sostenuta dai quattro punti cardinali e salvata dall’avvento del Regno di Dio diffuso e predicato dagli Evangelisti i cui simboli spiccano sullo sfondo rosso, colore che ci parla dell’amore infinito di Dio per l’umanità intera.
Nel rettangolo è perfettamente inscritta l’ellisse simbolo dell’umanità creata da Dio come espresso in Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e Femmina li creò11 (Gen 1,27).
Il triangolo AH’B col vertice verso il basso sta a indicare la venuta del Figlio di Dio, il suo divenire simile in tutto all’uomo, fuorché nel peccato, perché anche l’uomo che Egli ama come fratello possa salire al cielo e divenire partecipe della vita divina (triangolo col vertice in alto CHD).
L’intersezione, cioè lo spazio compreso tra questi due triangoli, evidenzia la figura centrale di tutta l’icona: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nel mistero della sua vita nascosta a Nazareth. Il cerchio, simbolo teofanico degli attributi divini, ha il suo centro nell’asse di legno sostenuta da Gesù e disegna l’arco delle mura di Gerusalemme che uniscono i due edifici laterali. L’arco è simbolo del tempio, luogo sacro proteso verso l’alto.
“il tempio riproduce il mondo, opera di Dio, e traduce la presenza del trascendente, esso è “Casa di Dio e Porta dei cieli” (Evdokimov – L’art de l’icone).