Sguardi dalla stiva
I pochi dati sin qui disponibili documentano… che la crisi ha avuto un effetto molto differenziato, non è stata uguale per tutti. AI contrario, ha colpito soprattutto i giovani e le persone che vivono al Sud, accentuando le disuguaglianze, dato che queste fasce di popolazione erano già le più povere. La povertà assoluta nel Mezzogiorno è cresciuta di più di 2 punti percentuali, considerando sia le famiglie che le persone. Il calo dei consumi ha interessato soprattutto le persone con meno di 35 anni, le famiglie con figli o le coppie monogenitore, mentre gli ultrasessantacinquenni in media non hanno subito una contrazione dei consumi.
Che la crisi avrebbe acuito le disuguaglianze lo si poteva facilmente prevedere. Bastava guardare a quanto accaduto durante la precedente grande recessione, quella del 1991 – 92. Di quegli anni abbiamo informazioni sui redditi delle famiglie. I redditi, al contrario dei consumi che sono condizionati dalle scelte di risparmio, misurano la capacità di spesa effettiva delle famiglie. Nella crisi del 1991 -92 le disuguaglianze nei redditi degli italiani sono aumentate quasi del 5 per cento, la povertà (misurata sia relativamente ai redditi medi che in termini assoluti, prendendo come riferimento un livello di reddito di sussistenza) del 4 per cento. In Italia, più che in altri Paesi, le recessioni comportano forti incrementi delle disuguaglianze e della povertà. Questo avviene perché non abbiamo reti di protezione sociale, un sistema di assistenza sociale che aiuti chi diventa povero e lo porti al di sopra della «linea di galleggiamento», dandogli mezzi di sussistenza.
Si tratta, dunque, di effetti tutt’altro che inevitabili. Basterebbe dotarsi di strumenti universali e selettivi al tempo stesso. Universali nel senso di basati su regole uguali per tutti. Selettivi perché in grado di raggiungere chi è davvero bisognoso di aiuto grazie all’accertamento delle condizioni di bisogno. Purtroppo la strategia di politica economica seguita sin qui nel fronteggiare la crisi ha solo acuito le disparità di trattamento a tutti i livelli, dall’accesso agli ammortizzatori sociali, deciso discrezionalmente dalla politica, ai sussidi erogati solo all’industria dell’auto o alla Sicilia, alle tasse di fatto nominalmente intestate a questo o quel contribuente o utilizzate come strumento di pressione, se non di ricatto, nella logica della fiscal suasion, come se i tributi fossero terreno in cui è legittimo dare prova di un arbitrio assoluto.
Il risultato è che questa crisi sarà inevitabilmente ancora più disuguale delle precedenti nel suo impatto. Poteva diventare invece un’occasione per livellare le regole del gioco. Ci sarebbe stata la coesione sociale per farlo e il Governo aveva i numeri necessari in Parlamento per portare a termine riforme importanti per l’emergenza e soprattutto per il dopo. Sarebbe stato un modo per dare un senso alla crisi. Anche gli eventi negativi possono, infatti, servire a creare le condizioni per fare quelle cose che in tempi normali non si riescono a fare. E’ proprio durante le emergenze, in tempi di «politica straordinaria», che si riescono a fare le riforme strutturali.
Non sarà così. Usciremo quindi dalla crisi più lentamente di altri Paesi e ancora più disuguali (l’Italia già prima di entrare nella crisi era uno dei Paesi con maggiori disuguaglianze di reddito nell’area Ocse). Soprattutto usciremo lasciando un’eredità pesante e un futuro difficile per le nuove generazioni.
Nella grande incertezza che seguirà alla crisi, è probabile che le imprese utilizzeranno ancora più che in passato i contratti temporanei anziché procedere ad assunzioni con contratti a tempo indeterminato. Questo vuol dire che rischiamo di perdere intere generazioni, con lavoratori che entrano dalla porta secondaria e che non ricevono formazione in azienda perché non si investe nel capitale umano. E’ quanto è successo in Giappone negli anni Novanta e anche in Svezia durante la crisi finanziaria che ha colpito il Paese scandinavo nello scorso decennio.
Tito Boeri
(da Tito Boeri, “La crisi non è uguale per tutti”, Rizzoli, 2009, pp. 10-12)