Sguardi dalla stiva


Qualche anno fa il sistema sanitario italiano è stato classificato al secondo posto nel mondo, con una spesa, pro capite e in percentuale, più bassa di tutti i grandi paesi europei. Nel panorama italiano la Lombardia occupava un posto di assoluto rilievo. Come è avvenuto in Inghilterra, anche in Italia si è provveduto a scimmiottare il modello statunitense con privatizzazioni, subappalti, esternalizzazioni e con l’introduzione dei meccanismi di mercato nella pubblica amministrazione. Questo nonostante la letteratura attestasse che il modello sanitario americano è più dispendioso e lascia senza copertura decine di milioni di cittadini.
Vi è qualcosa di perverso in questa politica che punta al dissolvimento della dimensione pubblica della salute riducendo a mercato e ad interesse privato quello che nella costituzione italiana viene ancora presentato come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”che la Repubblica deve tutelare. La Regione Lombardia si distingue in quest’opera di demolizione del pubblico, anche dove funziona. Avviene spesso che gli stessi operatori che hanno investito intelligenza e passione in anni di lavoro per costruire servizi a favore dei cittadini, ora sono chiamati a smantellarli, costretti ad obbedire a manager proconsoli il cui compito è mandare in esecuzione i diktat milanesi. Una catena di ricatti che non tollera sgarri. Naturalmente a chi non ci sta è assicurata la facoltà di andarsene o di “resistere, resistere, resistere” rischiando di essere cacciato. Come al cittadino è garantita la libertà di arrangiarsi come può e con i soldi che ha, finché durano, e di rivolgersi a qualche santo protettore.

 

Il disagio nelle ASL lombarde

 

1. Potere come dominio, non come servizio

Ci sono delle modalità primitive di esercizio del potere nelle ASL che poco hanno a che vedere con le politiche sanitarie regionali (su alcune delle quali, peraltro, siamo convintamente critici). A ciò contribuisce, oltre allo strapotere di cui è dotato, per legge, il direttore generale, la personalità disturbata di alcuni direttori generali scelti dal presidente della giunta regionale. In occasione di ogni nuovo problema che metta in difficoltà il direttore generale, il potere viene utilizzato per avviare campagne di persecuzione (verso questo o quel capro espiatorio) o di proselitismo, nei confronti dei più fortunati di turno.

2. Deterioramento del clima aziendale e delle relazioni sindacali

Il deterioramento delle relazioni sindacali e del clima aziendale non ha tanto a che fare con l’assenza di democrazia, quanto con un regresso culturale e scientifico. Si stanno snaturando i servizi sanitari che, da ambiti di relazioni professionali basati sull’autorevolezza, si sono trasformati in luoghi fortemente gerarchici fondati sull’autoritarismo.
La carenza di scambi e l’inibizione della circolazione delle idee rendono asfittico il clima lavorativo. Lo spazio di dibattito è precluso. Prevale un clima intimidatorio, in cui è palese la paura di esprimere le proprie opinioni, di marcare le differenze, di arricchire il dibattito con qualcosa di diverso dal puro conformismo. In questo clima il consiglio dei sanitari e il collegio di direzione, che dovrebbero essere organi consultivi essenziali al servizio delle aziende, sono ridotti a un mero strumento formale, da sentire solo nelle occasioni in cui non se ne possa fare a meno (vedi indagine proposta).

3. Sfruttamento del potere e degenerazione qualitativa

Si abusa troppo della scelta “fiduciaria» nell’affidamento di incarichi e responsabilità. Degne di fiducia appaiono le persone più fedeli o acquiescenti nei confronti della direzione generale, indipendentemente dalle capacità, dal curriculum, dai meriti e dalle doti relazionali dimostrate nella loro vita professionale. Ci pare doveroso sottolineare il rischio di una selezione negativa, anche perché spesso fedeli e acquiescenti si dimostrano le persone più opportuniste, nemmeno quelle più accondiscendenti per carattere.
Il rischio troppo sottovalutato è che a poco a poco si consolidi un governo di inetti, a capo di organizzazioni talmente compromesse da non meritare più di essere tenute in piedi. Non vogliamo credere che sia questo il traguardo cui si vuole giungere.

4. L’omologazione delle ASL ad aziende di manufatti

Prevale un’assimilazione sempre maggiore delle ASL alle aziende manifatturiere. Il centralismo regionale viene rispecchiato, nelle ASL, in una direzione locale centralistica. Al contro, ai direttori e ai loro consulenti è demandato il compito di ideare e progettare; altrove e nei distretti resta la pura esecuzione, da parte di una manovalanza che si vorrebbe rendere acefala e controllare a vista. Risulta progressiva nel tempo la privazione di personale dai distretti per il rafforzamento degli uffici centrali.

CGIL Medici Regione Lombardia


 

Il mercato delle prestazioni sanitarie

… Attualmente buona parte delle prestazioni sanitarie dei cittadini sestesi che l’ospedale della città non soddisfa vengono ormai convogliate su Multimedica che sta diventando uno dei più grandi poli privati dell’area nord-est di Milano, a due passi daIl’Ospedale di Sesto.
Ma il problema sta proprio qui: il mercato delle prestazioni sanitarie. Con la Riforma della Sanità – D.Lgs. 502 del ’92 e 517 del ’93 – è stato istituito il nuovo sistema di rimborso delle prestazioni da parte delle Regioni agli ospedali sia pubblici che privati, basato sui DRG, ossia un rimborso fisso per ogni patologia e relativo ricovero, indipendentemente dal numero di giorni di ricovero del malato. Per ciascuna patologia il rimborso è equivalente ad un numero medio di giorni e se l’ospedale non vuole andare in perdita deve dimettere al più presto. Non solo, ma il numero complessivo di prestazioni che le Regioni rimborsano agli ospedali ha un tetto fisso, splafonato il quale ciascun ospedale non riceve rimborsi. Insomma la torta delle prestazioni sanitarie ha una certa grandezza e viene stabilita la fetta che spetta a ciascun ospedale. Fetta che si restringe sempre più in seguito all’entrata massiccia delle strutture private, le quali hanno anche il privilegio di scegliere in modo ben più preciso e autonomo quali prestazioni conviene loro offirire e che tipo di struttura sviluppare. È chiaro che in un sistema di questo genere ciascuna “Azienda Ospedaliera” anche pubblica ha tutto l’interesse a effettuare solo il numero massimo di ricoveri che le vengono rimborsati, riducendo al minimo i costi della struttura, fra cui il numero di infermieri.
Il concetto è questo: i malati non esistono più. Ci sono solo i nomi delle patologie per le quali gli ospedali ricevono dalla Regione i soldi con i quali si finanziano. Ci sono ricoveri più redditizi e ricoveri meno, ad esempio quelli degli anziani che hanno più complicanze. Non contano più i bisogni degli esseri umani, i tempi diversi di guarigione e di risposta alle cure. Si assiste così a dimissioni di malati con tanto di febbre e cateterì inseriti, quando addirittura i famigliari non sono costretti o “incoraggiati” a portare a casa il malato. Un sistema che consideriamo non solo sbagliato e ingiusto, ma incivile perché provoca conseguenze sulla salute e sul sistema di cura delle persone.

(Il Manifesto, 16 novembre 2004)


 

Eutanasia dei servizi pubblici

Nel 2001 l’ASL di Mantova ha promosso una indagine su base provinciale, commissionata all’istituto di ricerca EURISKO, per conoscere “La qualità percepita – da parte dei cittadini e degli stessi operatori – dei servizi offerti dalla Sanità pubblica mantovana”. Mi limito a riportare un dato relativo all’assistenza domiciliare, infermieristica e riabilitativa, fornita dai servizi dell’ASL con personale dipendente e convenzionato. L’85% degli utenti interpellati ha dato sul servizio fruito il giudizio di qualità “molto buono o buono”. La stessa EURISKO presentava il raffronto con l’equivalente dato regionale (62%) e nazionale (59%). Nonostante l’apprezzamento lusinghiero espresso dagli utenti della provincia di Mantova, questo servizio deve essere smantellato perché lo impone il dogma neoliberista della politica regionale che prevede, a differenza di altre regioni italiane, il divieto per ASL di erogare direttamente servizi, anche se ben funzionanti. Quello che ancora continua a offrire è per forza maggiore perché sul mercato non è ancora riuscita a trovare chi possa colmare il vuoto di una chiusura totale. Ma è solo questione di tempo. Si può immaginare con quale respiro e programmazione si può lavorare in un servizio destinato a scomparire! Alcuni operatori se ne sono andati, chi va in pensione non viene sostituito. Certamente non è nell’interesse dei cittadini far scomparire un patrimonio organizzativo, professionale e culturale costruito con molti anni di lavoro. Anche altri Servizi erogati direttamente sul territorio (Riabilitazione, Tossicodipendenze, sistema a Rete dei Servizi per anziani, assistenza sociale di competenza dell’ASL) o sono stati chiusi o sono in via di smobilitazione: è il ritornello che mi sento ripetere ogni volta che incontro dipendenti con i quali ho lavorato sino a due anni fa. La cosa folle è che sono servizi utili, vicini alla gente, stimati e apprezzati per il lavoro svolto. La dissoluzione di questi servizi, in perfetta e zelante coerenza con i diktat milanesi imposti dalla Giunta presieduta dal cattolicissimo e grande Governatore Formigoni, rappresenta un impoverimento della realtà mantovana e non hanno nulla a che vedere con la conclamata libertà di scelta del cittadino in materia sanitaria. Hanno, invece come obiettivo vero la riduzione delle protezioni sociali e sanitarie pubbliche offerte sino ad ora e l’aggravamento dei costi, non solo economici, a carico di famiglie e utenti con il loro abbandono agli interessi ed alla speculazione del mercato della salute. “Nei dieci anni dei suoi due mandati, Formigoni ha governato. Sul fronte della sanità, dove, nel nome della libera scelta del cittadino, ha destabilizzato alla grande, con gran gioia delle cliniche private e di molti medici e un gran peso per le casse regionali” (G. Anselmi, La Repubblica 22.1.05). Questo è quanto esige l’ortodossia neoliberista applicata ai servizi che in parole povere significa: buoni affari con i soldi pubblici per amici, sodali della compagnia delle opere, e alleati; vacche magre, invece, per famiglie, anziani e malati la cui libertà consiste nel trovarsi più soli nel momento del bisogno.


 

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