Testimonianze


 

Il fenomeno dei preti operai a Treviso e nel Veneto in genere è la continuazione più o meno cosciente di una storia molto ricca.
Nel passato molti preti hanno impegnato la loro vita nel mondo sociale in vari settori. Per citare alcuni nomi: mons. Bellio, Mattara, Cavalli, Manesso, ecc. Il prete della parrocchia rurale è stato definito l’intellettuale organico del paese. Il prete operaio fonda le radici in questa tradizione.
NeI 1965 il Vescovo mi ha mandato a Spinea, un paese in grande aumento demografico. Gli immigranti di quegli anni erano contadini che lasciavano la terra per andare a lavorare in fabbrica, specialmente a Porto Marghera.
Le tre parrocchie di Spinea hanno cercato di affrontare il problema operaio con due mezzi:


1) L’Onarmo

Due preti di Spinea (don Carraro parroco di Crea e il sottoscritto) con i cappellani del lavoro andavano periodicamente nelle fabbriche di Porto Marghera e della zona per celebrare la Messa (Natale, Pasqua, Morti) e per formare in ogni fabbrica la S. Vincenzo. Hanno organizzato settimane di studio e di preghiera ad Assisi, convegni a Tai di Cadore. Organizzavano pellegrinaggi a Lourdes, ecc. Il Cardinale Urbani alcune volte all’anno riuniva i preti delle parrocchie interessate (diocesi di Treviso e Venezia) per studiare la realtà operaia e per organizzare le varie attività.

2) Le ACLI
Nelle parrocchie le Acli hanno tentato di costituire dei gruppi di operai impegnati nel sindacato. Così pure hanno tentato di fare delle assemblee di operai fabbrica per fabbrica nelle varie parrocchie. Hanno costituito alcune cooperative. Lo scopo era di avvicinare la parrocchia al mondo del lavoro e il mondo del lavoro alla parrocchia.
Dal ‘66 al ‘72 una quindicina di chierici provenienti da vari seminari e da vari istituti religiosi, sono venuti ad abitare a Spinea ed a lavorare o in fabbrica o néi campi. L’obiettiva era di prepararsi al sacerdozio in un modo nuovo: unire il lavoro allo studio della teologia e alla preghiera.

 

A – Il prete al lavoro

Questa esperienza mi ha convinto che ogni pastorale del lavoro fatta fuori della fabbrica è estranea alla vita degli operai, e d’altra parte i laici operanti in fabbrica sono travolti dall’ambiente. Per questo è nato a Spinea il prete operaio: perché la chiesa fosse dentro nella vita operaia, e tutta intera, laici e preti compresi.
La decisione finale, che ha superato tutte le incertezze, è stata data dal decreto conciliare sul ministero sacerdotale. lI prete operaio è nato (nel mio caso) dalla parrocchia, perché tutta la chiesa vivesse in unità il momento storico che viviamo, e l’operaio sentisse nella chiesa la sua casa, non ne rimanesse estraneo.
Il prete operaio si poneva – e si pone tuttora – come momento qualificante di tutto il rinnovamento ecclesiale, perché il cambiamento del prete assume in lui una dimensione che supera decisamente la prospettiva del prete tradizionale.
La domanda che ci siamo posti è: quale rinnovamento il prete oggi è chiamato a fare, se vuole essere contemporaneo a questa generazione? cosa lo Spirito dice oggi alla sua Chiesa?


Un nodo da sciogliere

Non c’è nessun ostacolo (si diceva) in via di principio che i preti vadano a lavorare. La chiesa teme però che venga stemperata l’identità sacerdotale negli impegni sindacali, sociali, politici. Questo discorso ha fatto molta presa e preti e laici erano pronti a difendersi dicendo che i preti operai hanno sbagliato ed era giusto chiedere loro di rientrare nei ranghi.
Per evitare il vero problema che sta sotto al rifiuto del prete operaio abbiamo sentito tirare fuori motivazioni le più disparate. In principio, quando non c’era la questione sindacale, politica, si diceva che i preti erano pochi in parrocchia. Non si poteva tirarli via per farne degli operai. Poi si diceva: vadano a lavorare, ma con il triplice consenso: quello del Vescovo, del presbiterio, quello della gente.
Poi si è cominciato a dire: “Tocca ai laici compiere questa missione”; poi: “La spiritualità del prete lentamente perderebbe il suo spirito, per acquistare la mentalità del mondo”. Ora si dice che il Prete operaio ha avuto un suo ruolo, un significato, ma ora muore, perché non c’è più classe operaia.
Tutti questi argomenti, a poco a poco, sono stati superati – e si supereranno – dal succedersi dei fatti, che sono più grandi di noi.
Il fatto è che ci si sta convincendo che l’ora del lavoro è fondamentale per la gente, ma anche per la chiesa, e per tutta la chiesa, non solo per i laici, come non solo i preti, ma laici e preti insieme.
Quindi non è problema di pastorale nuovo, ma di una scelta di vita nuova. Quando il prete diventa operaio non ha un cambiamento di pastorale, ma ha un cambiamento di vita.
La Presbiterorum ordinis dice che egli “condivide la vita dei lavoratori”; condividere significa: fare la stessa vita che fanno gli altri, non mantenere una vita appartata e dal di fuori, ma entrare nella professionalità, nei ritmi di lavoro, nella fatica, nell’orario, nei problemi economici, nei vari settori del lavoro (operai, contadini, nel terziario, ecc.). Essere uno di loro, uno che vive nell’interno della vita comune e che “per caso” è prete, e che fa in sé una nuova sintesi tra fede e vita quotidiana.
Egli entra (doveva esserci fin dall’inizio del suo sacerdozio e quindi è un momento storico) in un mondo nuovo, e il suo atteggiamento si ritrova nel vedere, nel capire, nel comprendere, nell’incarnarsi, nell’assumere tutto, eccetto il male.
In questo momento della vita mi sembra di capire che la questione principale non è cosa debba fare un prete operaio per sopravvivere, ma se la Chiesa debba essere presente, e come, e tutta la chiesa.
La chiesa non può avere tante cose da dire sulla vita del lavoro, che è la porta principale della gente, standosene al di fuori. L’esperienza del prete operaio dice che la questione è come la chiesa vive la sua realtà umana oggi.
Chiunque vive la vita della gente, sa che ci sono dei momenti in cui la gente è chiamata a vivere un confronto sindacale, un’attività sociale, una presenza partitica, un’attività economica. Ogni uomo credente o no deve fare i conti con queste realtà e deve scegliere se ritirarsi nel suo privato o se partecipare al cammino e ai problemi di tutti. Anche i preti operai: ritirarsi da questi impegni significa per loro ritirarsi nel privato, dando così un segno non che la chiesa è sopra le parti, ma che non entra nelle realtà quotidiane, e che si lava le mani davanti alle questioni che oggi dividono le persone.

 

B – Il prete operaio in parrocchia

La presenza della parrocchia nel paese può essere di supplenza, di concorrenza, di aggregazione, di pressione, di centralità fino al punto di diventare polo alternativo nel paese civile.
Noi a Spinea abbiamo fatto un’ipotesi di lavoro: la scelta religiosa della parrocchia, nel senso che è stato dato a questa parola dall’Azione Cattolica nel convegno dell’84. Essa parte dal riconoscimento della legittimità delle strutture civili e dello spazio che esse sono chiamate ad occupare nella cultura, nella ricreazione, nell’assistenza, nel sociale, nel politico, nell’economico.
La parrocchia di Spinea ha consegnato le sue strutture alla gestione dei quartieri. Questa consegna è stata ecclesiale per aiutare la gente, preti compresi, a costruire e diventare un paese senza dividersi interiormente.
I preti a tempo pieno si sono trovati in una situazione uguale a quella del prete operaio. Hanno dovuto incarnarsi nei problemi sociali, politici, economici.
Mentre la parrocchia trovava la sua identità nella Parola di Dio, nei Sacramenti, nell’assemblea eucaristica, in questi luoghi si è cercato di costruire la chiesa, perché diventasse seme di sviluppo nell’interno delle persone o delle situazioni umane. Per alcuni è stata occasione di conflitto, per altri è stato una valida ipotesi di rinnovamento.
Più volte nell’assemblea abbiamo fatto queste riflessioni e ci siamo posti più volte questa domanda: Questo è stato segno di rinnovamento o disturbo ecclesiale’?

 

C – Oggi

Oggi possiamo dire che questa ipotesi è stata in apparenza solo disturbo ecclesiale. Infatti nell’84 il Vescovo di Treviso, su richiesta di alcuni preti, ha chiuso d’autorità questi tentativi.
Possiamo dire con tutta tranquillità che la chiesa ha perso un’occasione d’oro e forse unica per iniziare un rinnovamento al suo interno.
Il prete operaio vivendo con la gente, lontano dai problemi e dalle attività clericali, sta cercando di meditare e vivere la sua scelta religiosa ed è in una situazione privilegiata per capire che cosa è il prete oggi, e che cosa dovrebbe essere.

 

Pellegrini Sergio


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