Il naufragio di Cutro
L’insensibilità del ministro
Abbiamo negli occhi quel mare grigio, molto mosso, che ha inghiottito parecchie decine di persone tra cui tanti bambini. Nell’arenile di Steccato di Cutro giacciono i resti del peschereccio di legno che si è sfasciato quando la spiaggia era ormai vicina, abbandonando il suo carico umano alla violenza delle onde. Questa volta l’imbarcazione proveniva non dalle coste africane, ma da un porto della Turchia. C’erano intere famiglie fuggite da paesi quali la Siria, il lontano Afghanistan e forse anche dalle zone terremotate. Con la speranza nel cuore di poter ricomincia-re a vivere con un minimo di serenità e soprattutto di poter offrire ai figli un futuro migliore. ll naufragio ha fatto piombare nel lutto quasi tutti coloro che sono riusciti a salvarsi. I sopravvissuti hanno perso qualcuno del loro nucleo familiare e cosi non possono neppure gioire per la salvezza ottenuta. L’angoscia della perdita di un proprio caro si connette con la tremenda esperienza del naufragio.
Nel pieno di questa tragedia piombano come macigni le parole del ministro degli interni Matteo Piantedosi: “La dispe-razione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. È difficile trovare espressioni più insensibili, e aggiungo piu vili, rivolte a genitori che in questo momento hanno un loro figlio allineato nella lunga fila di bare. Ma che ne sa lui della disperazione, della loro disperazione nelle situazioni estreme vissute, che si permette di giudicare. Che ne sa di quella speranza che spinge e dà l’energia per affrontare rischi, di cui sono consapevoli, con l’obiettivo di offrire ai figli una vita migliore.
Vi è una fondamentale forza della vita che spinge fuori dagli inferni seminati nel mondo, e prodotti dalle decisioni e organizzazioni storiche, per approdare ad un minimo di vivibilità, quella a cui ogni essere umano aspira nel suo profondo.
Ecco qualche domanda posta a lui, il ministro. Come è possibile prendere sul serio il suo “profondo cordoglio per le vite umane spezzate” insieme alla necessità di “fermare le partenze” bloccando “il miraggio di una vita migliore?”. Perché questa aspirazione — condizioni di vita migliori — che conosciamo bene anche noi, viene a priori dichiarata una illusione? Perché non si attivano vie legali per rendere sicura la legittima fuga da situazioni pericolose e invivibili? Perché mette pali fra le ruote alle Ong, allontanando i porti dove attraccare, riducendo le loro capacità operative e rendendole più onerose, multando e bloccando le navi che fanno salvataggi plurimi? Di fronte a situazioni del genere mi viene istintivo andare a rileggere il salmo 49 che troviamo nella Bibbia. Cito solo il versetto finale che è come un ritornello. Terribile. “L’uomo nella prosperità non comprende, è simile agli animali che periscono”.
Chiudo riportando la dichiarazione del presidente della CEI, il cardinale Matteo Maria Zuppi: “Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero. Occorrono scelte politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe. L’orologio della storia non può essere portato indietro e segna l’ora di una presa di coscienza europea e internazionale. Che sia una nuova operazione Mare Nostrum o Sophia o Irini, ciò che conta è che sia una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le istituzioni e i paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e di accoglienza”.
don Roberto Fiorini
(Pubblicato su La Gazzetta di Mantova / marzo 2023)