Sguardi e voci dalla stiva (2)
Anno 2020:
52 anni fa il giovane studente cattolico è stato ordinato prete
44 anni fa il prete è diventato anche operaio metalmeccanico
15 anni fa il metalmeccanico è andato in pensione
È tempo di guardarmi indietro nel tentativo di riconoscere se e quanto la vita è cresciuta intorno a me e dentro di me.
Forse è un po’ come fare testamento; forse meglio, è preparare la consegna da passare a chi verrà dopo di me.
OGNI DUE PASSI UN BIVIO
Non sono certo di riportarla letteralmente, ma questa è una sentenza di Mao che don Cesare richiamava spesso. Provo qui ad evidenziare i bivi della mia vita che ritengo siano stati determinanti.
- Il primo grosso bivio: avevo quasi 20 anni; mi immaginavo il futuro come quello normale da privilegiato essere umano di sesso maschile nel nord del pianeta: una famiglia formata con una ragazza giovane (e possibilmente carina…!) in una casa accogliente, ovviamente con figli (belli e bravi, senza dubbio!); un percorso universitario per diventare ingegnere, un’attività lavorativa di supporto all’attività paterna… eccetera.
Improvvisamente però quel Gesù a cui avevo dato a modo mio fiducia mi stravolge tutto (ci aveva già tentato anni prima, in verità); e il senso di quel futuro immaginato fin lì mi appare alquanto limitato, al confronto con la ricchezza di senso (tutto da esplorare!) di una vita che riparte dalla scelta di seguire il Signore Gesù senza porre limiti. - Il secondo bivio: prete nel 1968 in un nuovo quartiere popolare terra-di-missione nella periferia ovest di Milano, arrivato là senza alcuna formazione socio-politica (proprio il bravo prete cattolico obbediente!). La prima domanda che mi fa la preside della scuola media in cui avrei dovuto insegnare religione è: “lei sa tenere i ragazzi?”.
Sono gli anni della rivolta degli studenti (e non solo); ai figli degli operai immigrati dal sud Italia non sembra interessi granché di quel Gesù che io avrei dovuto “portare” loro. Da pochi anni Paolo VI sulla scia del concilio ha autorizzato la ripresa dell’esperienza dei preti operai.
Io non so “tenere i ragazzi”, ma ho un grande desiderio di condividere le fatiche e le lotte dei genitori di quei ragazzi: molti di loro sono operai metalmeccanici nel nuovo, gigantesco stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese. - Il terzo bivio: posso decidere di entrare in fabbrica senza aspettare il beneplacito del vescovo, ma io scelgo di attendere il suo consenso.
E dopo 5 anni dalla mia richiesta, il sì del cardinal Colombo è arrivato di sorpresa; paradossalmente ero di ritorno da un ritiro nel corso del quale avevo deciso di “mettermi buono” dentro l’istituzione!
Così nel 1976 (esattamente il giorno dopo che le nuove elezioni avevano dimostrato che il pericolo del comunismo stava sfumando) entro in fabbrica come operaio anonimo…
MA CHI ME L’HA FATTO FARE?
Metà degli anni 80. Mi ero infortunato: due costole incrinate. Un dolore fitto anche quando me ne stavo tranquillo a letto. Ma dopo quattro giorni a casa, sono stato rispedito al lavoro. Il dolore però c’era ancora, e come! Durante quella mattina le fitte che provavo mi hanno portato a dire: ma chi me l’ha fatto fare? Pensavo agli altri preti ordinati insieme a me (nel ‘68: una cinquantina di preti giovani e speranzosi): quasi tutti ormai godevano già di una pensione come ex-insegnanti di religione, quasi tutti ormai parroci… bella la vita! E io lì a piangere per il dolore che provavo ad ogni sobbalzo del muletto. Ma chi me l’ha fatto fare?
È stata una domanda che ho ricacciato indietro come una tentazione. Il mio posto era lì, su quel muletto nella forgia della Breda Fucine di Sesto San Giovanni. Comunque mi sono poi concesso di tornarmene a casa, andare di nuovo dal medico e ottenere un’altra settimana per rimettermi in sesto.
Quella domanda non mi è più passata per la mente.
DOV’È IL FILO ROSSO?
1) Riconosco con gioia che
- la scelta fondante la mia vita è stata la graduale adesione al Vangelo di Gesù
- mentre la scelta determinante della mia vita è stata quella che mi ha condotto ad entrare in condizione operaia.
2) Riconosco di essere stato guidato da una ricerca di libertà:
- Libertà nel rapporto con qualunque istituzione: nel mio caso, chiesa e scuola; e posto di lavoro, aggiungo.
Devo precisare però che in ogni situazione il mio atteggiamento di partenza è l’accettazione, il dirmi “proviamo”; gli aspetti critici che mi tocca affrontare riesco a vederli solo lungo il percorso; e devo ammettere che il conflitto tento di evitarlo. Questa è pigrizia intellettiva, così mi rimproverava don Cesare – ed aveva una buona dose di ragione. Forse per questo nella fase giovanile il conflitto che sorgeva mi spingeva a scegliere di …cercare altro altrove; ma forse fu così che la vita mi ha condotto a scegliere la condizione operaia. E per questo devo anch’io cantare grazie alla vita… - Libertà anche nel rapporto con il Vangelo: fino a pochi anni fa, ritenevo mio diritto, anzi mio dovere, scegliere “laicamente” di fronte ai bivii della vita; solo da pochi anni (la saggezza dei vecchi?) riconosco che dietro / sotto alle mie scelte “laiche” si cela comunque una spinta di Vangelo; dietro / sotto alle mie scelte c’è quel Vangelo che ho messo a fondamento della mia vita.
- Libertà che mi è stata garantita per il resto della mia vita dall’autonomia acquisita scegliendo la condizione operaia. Autonomia che non è soltanto quella economica. Autonomia che è appunto libertà interiore garantita dal lavoro dipendente retribuito prima, dalla pensione raggiunta poi.
3) Riconosco che nelle storie dei PO con cui mi incontro regolarmente da almeno 40 anni si possono individuare degli elementi che ci uniscono (sono passati i tempi in cui si guardava alle diversità per trovarci divisi…):
comunque determinante per tutti è la scelta del lavoro manuale (non si tratta per tutti di lavoro dipendente): scelta che ci ha permesso di raggiungere l’autonomia economica, appunto.
E però vivere in condizione operaia (forse è più giusto dire vivere la vita dal basso) ci ha dato di più, molto di più:
- ci ha dato anzitutto la possibilità di partecipare alle lotte “dal basso”, quelle di fabbrica e quelle di popolo, vicino e lontano: e non solo per solidarietà con i molti che stanno sotto nella stratificazione sociale, ma anche per condivisione della condizione: anche noi siamo di quelli sotto…
- la semplicità dei rapporti interpersonali nati sul posto di lavoro; semplici non vuol dire tranquillamente scorrevoli, ma imprescindibili componenti della vita di ogni giorno tra umani che vivono la vita “dal basso”
- la semplicità del linguaggio imparato alla scuola dei compagni di lavoro; più aderente alla realtà della vita “dal basso”, a costo di risultare spesso un po’ crudo…
- linguaggio che poi ciascuno di noi a modo suo ha cercato di riportare all’interno della comunità credente: quella che gli si è formata gradualmente attorno, o quella che ha trovato nelle Eucaristie celebrate dentro la chiesa istituzionale: non è presunzione dire che il nostro modo di parlare di vangelo è diverso, più comprensibile perché più vivo di quello dei preti “normali”.
PAROLE CHIAVE
Potrei elencare giustizia, fraternità, solidarietà… ma una le comprende tutte: compagno.
Io spesso ripeto che gli operai sono stati per me la miglior compagnia possibile. Come un assioma: non c’è bisogno di dimostrazione.
E non perché tra compagni avvengono scelte elettive, affettive, ecc. Anche queste possono avvenire, è vero. Ma anzitutto tra compagni il pane lo si spezza e lo si condivide secondo giustizia. Mi tornano in mente le descrizioni dello spezzare il pane nelle baracche di Auschwitz: dove il criterio unico e indiscutibile è la giustizia, perché tra noi si è comunque tutti pari.
LA NOSTRA FORTUNA
Noi siamo quelli che sono cresciuti negli anni della speranza.
Era la ripresa, il boom (!), finita la strage della seconda guerra mondiale. Ed era il secolo della rivoluzione russa, e poi di quella cinese, e poi di quella cubana – piccola, sì, ma dentro il giardino di casa dell’imperatore USA.
Speranza, sì, grande speranza di poter cambiare lo stato di cose presente che quelle rivoluzioni hanno permesso di sognare (40-50 anni fa bastava parlare di rivoluzione russa con i compagni operai delle grandi fabbriche…).
In quelle rivoluzioni si specchiavano i desideri di libertà di quanti non si rassegnavano a subire la pesantezza della vita quotidiana. Desideri di libertà che si sono tradotti nella seconda metà del secolo scorso in straordinarie lotte di liberazione.
PER UNA NARRAZIONE COLLETTIVA DI NOI PO
mi piacerebbe regalarmi del tempo per rileggere i frammenti di vita (e non solo) che abbiamo raccolto sul sito della nostra rivista; prima o poi lo farò.
Ottimo sarebbe se, partendo magari proprio dall’ipotesi che in classe operaia si trova la migliore compagnia possibile, qualche studente universitario ci facesse sopra una tesi di laurea.
Luigi Consonni