Vegliare in tempo di guerra
Matilde Composta, una diciassettenne studentessa della 2ªB in un Liceo classico di Verona
ha svolto questo tema in classe il 12 novembre 2001.
Sono passati due mesi e un giorno dall’11 settembre 2001, data destinata a cambiare la storia dell’America, dell’Europa, dell’Afghanistan e di tutti quei paesi che hanno deciso di combattere questa guerra. Compresa l’Italia. Sì, perché la maggioranza del nostro parlamento ha deciso le sorti del Paese: affiancare l’America in questa “lotta contro il terrorismo”, in questa “guerra difensiva”, come sostiene Alessandro Cè, che va avanti da più di 30 giorni. Sono state lanciate bombe e ucciso un numero ovviamente imprecisato di civili. Poco importa se le persone (perché – strano ma vero! – di persone si tratta) che la superpotenza plurimiliardaria americana sta ammazzando, non hanno niente a che vedere con gli attentati alle Due Torri e al Pentagono. Non interessa a nessuno sapere che questa gente, con la sola colpa di essere nata nel Sud del mondo, moriva già prima che arrivassimo noi a rigirare il coltello nella piaga, oppressa dalla miseria, da una religione troppo chiusa, dalla fame.
“L’attacco è mirato”, continua imperterrito a ripetere Bush, ma con sempre meno convinzione; è una bugia enorme, non ci crede più nemmeno lui. A Kabul sono stati colpiti tre ospedali su cinque ma si è naturalmente trattato di un errore. L’America (ma anche l’Italia – lo dimostra l’intervista al capogruppo della Lega Nord alla camera dei Deputati, Alessandro Cè) non si ferma davanti a niente e a nessuno, accecata dalla convinzione che questa è una guerra giusta, perché sconfiggerà il terrorismo. Che strano, è passato un mese e di terroristi catturati non se n’è ancora visto uno. In compenso però Bin Laden è stato intervistato l’altro ieri (in un luogo ovviamente segreto, figuriamoci se l’FBI e la CIA riuscirebbero a trovarlo!) e ha parlato di Jihad, di guerra santa, da combattere contro i nemici dell’Islam, gli americani.
Nessuno si accorge che questa guerra alimenterà il terrorismo anziché debellarlo? Che non si può chiamare giusta né tanto meno difensiva? sembra di no, dato che tra non molto anche noi entreremo in guerra. “Vedremo partire migliaia di giovani verso l’ignoto, forse verso la morte, non si sa perché né per quanto tempo, scrive il giornalista Riccardo Barenghi. L’Italia ha speso tremila miliardi per questo conflitto. Questi soldi potevano servire per aiutare a salvare le 24mila persone che ogni giorno muoiono di fame, ma si è preferito combattere per quelle seimila morte l’11 settembre. Non si può che essere solidali con il popolo statunitense; la tragedia che lo ha colpito è enorme, ed è per questo che nelle scuole italiane e nella maggior parte degli ambienti di lavoro, l’11 ottobre si sono rispettati tre minuti di silenzio.
Ma il premio Nobel Günter Grass ricorda i 250mila musulmani bosniaci massacrati da serbi e croati e le 800mila vittime delle stragi in Ruanda. C’è quindi da chiedersi: i morti dell’occidente valgono forse di più? Purtroppo pare di sì, lo dimostra questa guerra.
Invece di combattere bisognerebbe cercare di capire il perché di un così radicale odio contro l’America. Una risposta potrebbe essere quella che gli USA sono i ricchi di un Nord freddo e indifferente alle sofferenze del Sud povero, che si sono sempre comportati da “padroni” e mai da “servi”, da “vincitori” e mai da “vinti”.
I fatti dell’11 settembre si mostrano quasi come una rivincita ma questa guerra pare proprio una vendetta, che aumenterà il numero delle vittime e ingigantirà la tragedia. Per fortuna sembra che la maggior parte degli italiani sia contraria alla guerra. Sabato 10 novembre hanno sfilato a Roma in 120mila annunciando il “Not in my name”, non a nome mio, io non c’entro con questa guerra, non l’ho voluta.
Molti di meno a sventolare la bandiera americana sempre a Roma, davanti al Presidente del Consiglio che ha terminato un lungo discorso con la frase ad effetto “Dio benedica l’America, Dio benedica l’Italia”. Stava probabilmente per finire con un “Dio benedica la guerra”, ma sono partiti gli inni nazionali. Speriamo solo che si rendano presto tutti conto che, come dice una famosa canzone di Liga Jova Pelù, la pace è l’unica vittoria.