Il Vangelo nel tempo (2)


 

“Ora, andate e dite ai suoi discepoli ed a Pietro che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi ha detto“
(Marco 16,7).

La Galilea delle genti è un territorio marginale per un Ebreo, di contaminazione perché abitato da popoli che vengono da ogni parte circostante, perché la terra è buona, il lago è pescoso, e le vie di comunicazione permettono scambi di merci e comunicazioni. La regione della Giudea è il luogo del popolo Ebraico con la città di Gerusalemme, il tempio di Jawè, le scuole teologiche, le confraternite dei praticanti dei movimenti politici, cioè del potere religioso culturale e politico.

Eppure Gesù comincia la sua missione dopo il Battista “ritirandosi in Galilea”. Per Marco è l’unico posto dove lo possono incontrare nella sua resurrezione. Anche Giovanni pone l’ultimo incontro (cap. 21) con i discepoli in Galilea.

Tante volte pensiamo di essere soli in un determinato luogo, o nel nostro cammino, invece siamo “preceduti” sia dal Risorto ed anche dallo Spirito Santo. Se leggiamo i primi 10 capitoli degli Atti degli Apostoli il racconto è composto da due attori: gli Apostoli e lo Spirito santo. Una situazione entusiasmante, ma anche sconvolgente! Lo Spirito non solo trasmette forza, coraggio energia, consolazione nell’annuncio evangelico e nella prima comunità dei credenti, ma sconvolge i pensieri e l’organizzazione della comunità nei ministeri proposti. I diaconi dovevano limitarsi a servire alle mense dei credenti giudeo ellenisti, invece … se non ci fossero stati i diaconi, il Vangelo rischiava di fermarsi al popolo Ebraico. La fatica di Pietro e Giovanni di inseguire i diaconi che avevano annunciato la Parola in Samaria ed oltre; ma al ritorno anche loro annunciano ai non Ebrei. Più tardi Pietro compie lo stesso percorso del diacono Filippo per confermare le comunità impostate da lui. Sarà spinto ad andare oltre (controvoglia) nella casa di Cornelio.

Ho riletto la mia storia di prete operaio a partire da questo termine: “preceduto” quindi meravigliato non di quello che ho fatto, ma di quello che ho trovato.

Sono cresciuto in un paesino di campagna vicino a Villafranca di VR. Mia madre era contadina e mio padre artigiano; ha lavorato alla Fiat durante la prima guerra mondiale ed è tornato da buon socialista. Mio fratello era in seminario ed è diventato prete nel 1950, anch’io sono entrato in seminario (mia madre si è fatta 25 anni di cura dei figli assenti da casa).

Non conoscevo la Bibbia, ma ero appassionato dalla figura di Gesù, per cui andavo ad estrapolare le letture dal messalino in italiano per poter leggere la sua storia affascinante; ma ero affascinato anche dalle mie compagne di scuola e diventava un problema ogni anno dover decidere di ritornare in seminario fino a quando ho fatto il salto dopo il liceo… e mi sono consegnato alla casta clericale, tenendo però la mia indole di attenzione e critica.

La mia classe di teologia era denominata “dei Baluba” (noti rivoluzionari del Congo del tempo). Non sopportavamo la vita chiusa e le regole conseguenti: l’infrazione era la nostra regola, tanto da provocare, nell’ultimo anno, le dimissioni del Rettore e del suo Vice. Il vescovo stesso si assunse il compito di condurci fino alla fine nel 1963.

La nostra formazione teologica non ci ha aiutato a conoscere e seguire Gesù. Eravamo dei funzionari del sacro e della dottrina. Il concilio Vaticano 2° era alle porte: troppo tardi per noi! Ho fatto il curato per 10 anni a Pozzolengo (BS), Legnago, Porto (Bassa pianura), Isola della Scala e mi sono sempre lasciato prendere dalla meraviglia, dalle situazioni fuori dall’ordinario, pur lavorando nel mondo giovanile.

Anche in questo periodo sono stato preceduto dallo Spirito. Nel territorio della Lugana, terra di contadini poveri, una famiglia stava accompagnando il giovane figlio affetto da leucemia. Il padre era tutto preso tanto da non poter accudire alla terra e agli animali. Le famiglie degli altri cascinali si sono accordate di assumersi i lavori della sua azienda: cura delle viti, foraggiare gli animali, cura della stalla… Avevano deciso loro; scoprii, per caso, la loro scelta e sentii che il Vangelo era arrivato senza di me.

Mi aggregai al loro lavoro. Così a Porto, esisteva un grande divario tra gli adolescenti del centro, pur di estrazione popolare, e coloro che erano dispersi nella grande campagna. Ogni anno si organizzava la quaresima con un corso di 40 incontri per creare coscienza, maturazione e senso comunitario. Sarebbero stati penalizzati quelli che abitavano in campagna. Un gruppo di giovani si prestarono a raccogliere e riportare a casa gli adolescenti tutte le 40 sere con i pulmini della parrocchia. Non c’era bisogno del prete, ma del Vangelo.

Lo Spirito però gioca anche con la tua storia e ti porta a sconvolgere il percorso che avevi iniziato e pensavi definitivo. A Porto stava succedendo un fatto che colpiva la popolazione operaia: la crisi della fabbrica metalmeccanica Riello (benefattore della Parrocchia). Gli operai erano in sciopero e non potevano fare assemblea in fabbrica, sarebbe stata vista come “occupazione della fabbrica” con intervento pesante della “Celere”, la polizia violenta dello Stato. Non era ancora in atto la legge 300 sulle assemblee di fabbrica. Il parroco di Porto (cuore grande) concesse il teatro parrocchiale su richiesta del sindacato, per svolgere le assemblee.

Incuriositi, i tre curati del centro di Legnago hanno partecipato, come uditori, a queste assemblee. Siamo rimasti fregati e stregati. C’era tensione e conflittualità tra gli stessi operai tanto da percepire la possibilità di una spaccatura dell’assemblea. Andò al microfono un anziano operaio che fece un discorso di umanità, comprensione reciproca, unità del movimento, toccando anche il tema del volerci bene e della solidarietà in vista del bene comune… Ci guardammo sorpresi e meravigliati e ci sfuggi una parola “…ma questo è il Vangelo di Gesù” e restammo presi. L’annuncio veniva dalla vita, non dal pulpito del prete.

Partecipammo anche allo sciopero generale della Bassa, ponendoci alla fine del corteo. Accortosi della nostra presenza, un gruppo di operai vennero a prenderci con queste parole: “da tanto tempo vi aspettavamo”. Era caduto un muro anche ideologico, come per Pietro nella casa di Cornelio.

Abbiamo pagato subito il nostro ardire a causa dell’alleanza tra trono ed altare e fummo allontanati dalle parrocchie per altri incarichi. Sorvegliati a vista. Fui nominato curato ad Isola della Scala con l’abate Ceriani, amministratore della diocesi.

Aspettai tre mesi per decidere, alloggiavo da mia madre… Mi ponevo una domanda: se valesse la pena continuare nella dimensione clericale quando la Chiesa non sembra capace di riconoscere la presenza del Vangelo in mezzo al popolo? Ero sul punto di lasciare, come avevano fatto alcuni miei compagni (siamo nel 1971).

Mi misi a ricercare cosa poteva offrire il territorio e trovai alcune piste. Alcuni preti giovani avevano fatto la richiesta di fare un percorso di lettura della situazione attuale sia di analisi filosofica, sociologica, culturale , simbolica… con la guida di uno stimato teologo e poeta locale. Mi aggregai. Frequentavo nello stesso tempo alcuni corsi liberi di sociologia ed economia dell’università di Trento, esplosivi da una parte e di equilibrio dall’altra.

Un altro punto di riferimento riguardava la spiritualità. Incontrai il movimento del Prado e la comunità dei preti di Spinea (VE). Non si trattava di teologie o sociologie ma di scelte di vita nell’incontrare Gesù Cristo. Il tutto mi portò a lavorare con altri preti e pensare uno stile di vita ed evangelizzazione in classe operaia. Ed è nata la Comunità della Madonnina.

I primi due anni, per me, furono terribili: dovevo spogliarmi dal clericalismo assorbito dalla educazione ricevuta e guadagnarmi una libertà nel restare fedele alla Chiesa come fraternità di discepoli. Ma anche in questo momento lo Spirito ci ha preceduto. La meraviglia e la gioia dei “compagni” di sentirsi accolti da una Chiesa che li aveva scomunicati nel 1948. Nel santuario cambiarono le presenze: persone militanti ed in ricerca di fede, relativamente giovani, magari con bambini.

Con la Chiesa locale non tardò a manifestarsi la conflittualità per le battaglie laiche del tempo e per le scelte da noi operate per la nostra vita. Il vescovo non ci ha mai permesso di entrare in fabbrica come operai, ci ha perfino cacciati dal suo studio. Abbiamo dovuto presentare ai preti la scelta del lavoro come scelta personale, e quindi risultavamo disobbedienti; la conseguenza fu l’emarginazione. Diamo atto che ci ha recuperato sul letto di morte incoraggiandoci a proseguire. La relazione con i parroci locali non è mai stata idilliaca, sia pur mantenendo un rispetto reciproco. La comunità dei p.o. è venuta progressivamente meno per scelte personali, ed ora siamo “vegliardi” inseriti in varie comunità pastorali.

E’ cambiata anche la vita del popolo. La centralità del cristianesimo si è affievolita a fronte di cambiamenti culturali, economici, tecnologici… tutto è ridotto a merce, comprese le persone, chiuse nel proprio limite, le paure ed il rancore. Eppure anche ora lo Spirito ci precede. Nella mia città si esperimentano nuove forme di evangelizzazione che vanno di moda; ma l’impalcatura è quella vecchia: il vero problema non sono i ministeri, ma l’aver accolto nella comunità la dimensione sacrale da cui deriva il sacerdozio ed il sacrificio, la filiera ha diviso la comunità in clero e laici, maschi e femmine…

La centralità non è il Cristo unico mediatore, ma le mediazioni che noi abbiamo storicamente inventato allontanando l’Evento dalla sua radice: l’Amore e la Grazia originaria del Padre. Il fallimento dei vari sinodi cattolici, compreso quello sull’Amazzonia ne sono un segno. Siamo arrivati ad un blocco di morte per cui occorre aggirare l’ostacolo per ritrovare strade di incontro con il Mistero che ci possa meravigliare nella nostra umanità.

Luigi Forigo


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