Bergamo 11 giugno 2016
Convegno nazionale PO e amici
CAMBIA LA FIGURA DELLA CHIESA?
Interventi (2)
Cambia la figura della Chiesa? Sicuramente. Cambia, costretta da accadimenti nuovi che sconvolgono gli assetti consueti. Cambia perché il mondo – come l’oceano – non riesce a stare fermo e il movimento incessante provoca sempre nuovi equilibri che si infrangono in ciò che resiste fino a modificarne la struttura e aprire vie nuove ai problemi di sempre.
E’ difficile rendersene conto subito dal momento che siamo inevitabilmente portati a cercare all’orizzonte ciò che abbiamo sognato e sofferto nel passato. Immersi in una chiesa tutta papista finiamo per dedicare tutta la nostra attenzione alla figura del Papa e del Vaticano. Che hanno ancora molto potere, intendiamoci. Ma di lì ad esaurire tutte le possibilità di orientare il percorso della Chiesa verso respiri più evangelici o verso un avvitamento sulla conservazione di sé, ce ne corre.
Porto, come esempio, il cambiamento delle condizioni di vita dal punto di vista sanitario delle popolazioni europee, dovuto certo anche alle grandi scoperte che hanno fondato l’attuale scienza medica, ma anche – e forse soprattutto! – all’innalzamento della soglia delle condizioni igieniche nella abitazioni e a un deciso miglioramento dell’alimentazione della gran parte della popolazione più povera, sia qualitativo che quantitativo.
Pretioperai, come quelli transitati attraverso il collettivo toscano degli anni ’70, spesso espulsi dal tessuto industriale formato da aziende medio-piccole perché riconosciuti e segnalati dal padronato e, a volte, dallo stesso sindacato, hanno trovato spazi nel lavoro artigianale singolo o di piccolo gruppo. Hanno camminato quindi fianco a fianco con la popolazione nei borghi rurali e nelle periferie della piccola industria a ridosso delle città. Si sono spesso impegnati e hanno trovato la fonte del loro sostentamento in lavori di idraulica, carpenteria, muratura, costruendo il “bagno in casa” per le abitazioni dei contadini nelle campagne e nelle “case minime” (le casette popolari anteguerra) delle borgate cittadine. E così hanno contribuito direttamente agli ultimi passaggi nella modernità. Quasi sempre hanno accettato incarichi pastorali in parrocchie decentrate cercando di favorire una “scuola” per piccoli e grandi attraverso la quale sostenere la cultura delle classi subalterne e la lettura dal basso dei fenomeni sociali ed economici. Ma si sono spesso trovati ad abitare case dotate dell’essenziale per vivere e condivise, mentre l’operaio (e non solo!) tirava su i muri per stanze destinate a rimanere inabitate, come le sale arredate di tutto punto e mai usate (“tanto si mangia in cucina…”), segno di un benessere raggiunto, ma non di rado non usufruito. Lo slittamento verso un consumismo di massa e il prevalere di atteggiamenti e criteri di vita individualistici, si mescola nei diversi strati sociali fino a influenzare la domanda religiosa anche nelle realtà umane più marginali. E spesso, la simpatia suscitata da preti che vivono l’essenzialità e sono sentiti molto più vicini, sbocca in richieste di sacramentalizzazione facendo intuire che il punto di approdo che non cambia i rapporti di forza, può essere quello di avere anche nella “periferia” preti e cappelle a disposizione a somiglianza della proprietà ricca e padrona.
Credo che nella fase attuale sia importante e fondamentale curare ciò che sta alla base di ogni incontro, confronto, costruzioni di relazioni comunitarie, ecc. E cioè la coscienza personale. Bisogna nutrire l’individualità delle persone. Non dell’individualismo, ma della capacità di ascoltare, accogliere, decidere, a partire dai livelli di base dello svolgersi e del liberarsi di una coscienza matura. Un po’, come nell’esempio da cui sono partito, c’è stato un tempo vissuto nella nostra giovinezza, in cui si è cominciato a trovare spazio in casa per un gabinetto e relativa rudimentale fognatura e così avviare un percorso di rinnovata consapevolezza della cura della salute. Queste dinamiche di ricostituzione di un tessuto di base meritano attenzione in questo nostro tempo di cambiamenti rapidi e di mutamento nel contesto delle abitudini e dei comportamenti. Nella Chiesa c’è bisogno di questa opera di accompagnamento delle persone attraverso il rapido eclissarsi delle modalità tradizionali e i vuoti che si spalancano di fronte. E quando, in qualsiasi incontro, nella liturgia delle chiese come nel ritrovarsi per cercare di dare risposte alle esigenze della vita sociale e quotidiana, c’è la percezione che le persone sono al centro, allora davvero la Chiesa sta mutando forma e sta assumendo i contorni di una comunità umana che porta la luce nel buio del tempo. Occorre quindi che le persone abbiano consapevolezza di quanto sia importante il loro essere perché la comunità non è semplicemente una sommatoria dei singoli, ma una relazione che apre ai singoli nuove piste di esistenza cercata e accolta. Dove non è tanto importante il fare, ma si gioca molto sull’essere. E credo che per me prete, per noi preti tutti nella Chiesa, questo significa deporre una veste – quella del clero – seguendo il percorso che ha portato alla narrazione dei pretioperai.
Ogni tanto mi succede di prendere in mano qualche libro dagli scaffali di don Sirio. L’altro giorno, sfogliando un vecchio breviario, ho trovato un’immaginetta dell’ordinazione sacerdotale di un prete francese del 1953 con l’impegno di offrire la vita per l’approdo alla fede del mondo operaio. Ci siamo detti questo, eravamo partiti per evangelizzare questo mondo e vivendo questo impegno ci siamo con gioia resi conto che siamo stati evangelizzati dallo stesso mondo operaio. Se ci riconosciamo in un percorso che non è stato davvero breve, percorso durante il quale siamo anche caduti e poi ci siamo rialzati, questo stesso percorso, con questi tempi lunghi, lo dovremmo riconoscere agli uomini e alle donne del nostro tempo con cui, facciamo i conti ogni giorno. E’ nella vita di ogni giorno di tutto ciò che racconta la debolezza e la fragilità umana che il Dio di Gesù si accosta a noi e ci fa vibrare il cuore di speranza e di ragion d’amore.