“Abita la terra e vivi con fede” (Sal 37)
Rileggiamo oggi la Gaudium et Spes

Convegno di Bergamo 2014 / 1


 

Aggiornamento come compito

Giovanni XXIII chiamando la chiesa a concilio le ha indicato quale compito fondamentale quello dell’«aggiornamento». Come scrive Alberigo nella Storia del concilio Vaticano II: “l’identità principale del Vaticano II appare quella dell’«aggiornamento». Tale parola non va intesa come abbellimento esteriore, come presentazione di un look accettabile a livello pubblico, ma come ricerca di “una corrispondenza ben netta e definita con le spirituali esigenze dell’ora presente” (Giovanni XXIII). Padre Chenu, uno degli ispiratori della Gaudium et Spes, la Costituzione della chiesa nel mondo contemporaneo, sottolineava che “il modo proprio per realizzare l’aggiornamento della chiesa consiste nell’osservare i «segni dei tempi» nella storia come altrettanti punti di richiamo all’Evangelo, come altrettante capacità di accettazione della grazia di Cristo, inserito nel cuore degli uomini”. Dunque, l’atteggiamento di fondo che va sottolineato è quello della condivisione della storia umana motivato dal fatto che vi è un “rapporto organico tra storia e salvezza…come istanza di metodo, valida in generale per la vita dei cristiani e della chiesa”. Pertanto “il concilio ha promosso la riappropriazione piena del senso della evoluzione storica” (Alberigo).

La parola nella storia

Lo scorso anno abbiamo impostato il convegno ispirandoci alla Dei Verbum, la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione. Il titolo era “Parola incatenata – parola liberata – la parola ci libera”. Nelle riflessioni fatte tra noi PO è stato posto l’accento sulla necessità che la parola venga liberata dalle incrostazioni, che l’hanno appesantita e resa perfino irriconoscibile, sulla linea – ci pare – che sta portando avanti l’attuale papa Francesco. La rimozione degli ostacoli legati a interessi che hanno ben poco da spartire con la parola di Dio è un’opera di pulizia che si impone come prioritaria. Il relatore, Piero Stefani, ha insistito sulla parola intesa come offerta della buona notizia da parte di Dio attraverso il linguaggio umano. In tal modo Egli si espone al rischio che la sua parola venga accolta o rifiutata. Una tale offerta, secondo il relatore, viene notificata solo attraverso la parola, non mediante la storia.
E’ rimasto così aperto un problema sul quale oggi ci soffermeremo nel pomeriggio con l’aiuto del teologo don Pino Ruggieri: la relazione tra parola e storia in ordine alla comunicazione della lieta notizia e all’avvento del Regno di Dio in quanto già presente nella storia che stiamo vivendo.

Abitare la terra nell’età del rischio

Al nostro convegno di oggi, abbiamo dato per titolo un versetto preso dal del salmo 37: “Abita la terra e vivi con fede”. Ci sembra una formulazione all’altezza dei nostri tempi, e della Gaudium et Spes alla quale vogliamo ispirarci nello sforzo di aggiornarla.

Nella Bibbia la terra viene spesso trattata come realtà vivente. Come ad esempio in Geremia: “Terra, terra, terra, ascolta la parola del Signore” (22,19). In effetti la terra ospita la vita nella sua multiformità e ricchezza diventando habitat per la vita umana.
Terra come spazio ospitale da coltivare, come ambiente materiale favorevole e universalmente disponibile.
Terra come luogo dove gli umani lasciano le loro impronte. Già, ma quali impronte? Terra a rischio?

La nostra epoca storica è stata denominata “l’età del rischio”: è ciò che caratterizza “la conditio humana all’inizio del XXI secolo” (U. Bech). Non si tratta dei pericoli derivanti dagli accadimenti e catastrofi naturali, ma direttamente prodotti dalle scelte umane, dall’impatto duro che la potenza tecnologica esercita sul nostro pianeta e su tutti gli ambiti della vita e dell’organizzazione degli umani. Nella misura in cui il cosiddetto “progresso” si afferma, si determinano nuovi tipi di rischi legati non ai limiti, ma ai trionfi della modernizzazione industriale: i mutamenti climatici e conseguenze che ne derivano, la distruttività dell’attuale crisi economica e finanziaria nei confronti del lavoro umano, l’impronta ecologica sul pianeta con il consumo spropositato del suo capitale naturale, le disuguaglianze abissali nella ripartizione della ricchezza disponibile… Insomma, si produce l’escalation dell’incertezza su scala planetaria.

Edgar Morin congiunge due idee per caratterizzare l’attuale era planetaria: “Siamo sempre ‘nell’età del ferro planetaria’ e ‘nella preistoria della mente umana’. Negli anni novanta s’impose in me l’idea che il vascello spaziale Terra, spinto da quattro motori incontrollati – la scienza, la tecnica, l’economia, il profitto – è trascinato verso molto probabili catastrofi a catena – laddove comunque il probabile non significa ineluttabile e non esclude la possibilità di un cambiamento di rotta”.

Ecco, noi dobbiamo agire sviluppando le possibilità di cambiare, nel senso della abitabilità del pianeta e un’abitabilità per tutti.

In questi anni la crisi economica, la recessione, la strage dei posti di lavoro e le urgenze che sono sotto i nostri occhi, pare abbiano oscurato questa coscienza, rimossa in uno stato di letargo. E di fronte alle lobby ormai transnazionali che dominano lo sfruttamento del pianeta non si erge un potere politico egualmente transnazionale che le argini. Il mese scorso la Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico (Ipcc) composta da 600 scienziati di 120 paesi ha emesso il suo verdetto: possiamo ancora cambiare la storia, ma il tempo a disposizione si riduce sempre più.

La finalità dell’abitare la terra deve diventare la bussola che guida la selezione dei mezzi e strumenti che siano compatibili con questa finalità generale.

Credo che le chiese cristiane oggi abbiano questo impegno prioritario e urgente, strettamente correlato con lo sguardo sul mondo che emerge dalla parola sapiente della Bibbia. Già nel secolo scorso a Basilea nel 1989, nella prima Assemblea Ecumenica delle chiese europee era emersa questa coscienza epocale, espressa nel titolo: “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”. Tema ripreso l’anno dopo nell’Assemblea Ecumenica mondiale di Seul.

C’è chi ha parlato di Terza epoca della storia della chiesa (Pesch): una delle caratteristiche fondamentali di questa terza epoca è l’atteggiamento di amicizia e di condivisione della storia umana, di una storia mondializzata, come ha cominciato ad emergere in maniera autorevole nella Gaudium et Spes.

Un diverso stile di vita

In gran parte la vicenda dei PO, come si è sviluppata nel contesto europeo, rappresenta plasticamente un nuovo rapporto col mondo, col mondo occidentale in particolare. Nella fase di decollo, in Francia negli anni ’40, ma poi con due figure importanti in Italia (Bruno Borghi e Sirio Politi), essi hanno incarnato una anticipazione del Concilio. Dalla fine degli anni ’60 possiamo dire che i PO sono figli del Concilio e anche una sua interpretazione. Dando volto esistenziale alla figura del ministro ordinato che si esprime in un diverso modo di stare al mondo. Inventando una parabola evangelica – noi osiamo pensare e sperare come faceva don Sirio: una storia bellissima, così tanto da meritare di essere tutta o quasi raccontata”.

Al di là delle differenze, vi è la convergenza su uno stile di vita vissuta dentro le pieghe del mondo, in uno degli ambiti umani più conflittuali e tragici, quale era e continua ad essere il lavoro su scala planetaria. Un tale stile ha profondamente modificato i connotati della figura di prete da noi vissuta. In un nostro recente incontro, qualcuno ha ribadito una comune esperienza: “siamo andati per cambiare il mondo e il mondo ha cambiato noi”. Al n. 44 della Gaudium et Spes si parla esplicitamente “dell’aiuto che la chiesa riceve dal mondo contemporaneo”. Ecco noi l’abbiamo esistenzialmente sperimentato, standoci dentro, vivendo una purificazione e una modificazione del modo e dello stile di vivere la nostra fede nel mondo

Alcuni spunti dalle nostre riflessioni

Nel gruppo dei PO lombardi, abbiamo riflettuto nel corso dell’anno sulle tematiche di questo nostro convegno. Accenniamo velocemente ad alcuni aspetti, traendoli dalle testimonianze scritte che sono state prodotte, senza alcuna pretesa di completezza, che potranno essere integrati e approfonditi con interventi nel dibattito odierno.


Quello che non può cambiare mai

«Una premessa che suppongo sia tranquillamente condivisa nel nostro ambito: a partire dal suo titolo, la Gaudium et Spes ha messo profondamente in discussione immagini della Chiesa che erano consolidate da secoli: la Chiesa non sta di fronte al mondo in opposizione; la Chiesa non sta di fronte al mondo come l’altro polo rispetto al mondo (la Chiesa e il mondo); ma la Chiesa sta nel mondo.

Oggi mi sembra ovvio dire che tutto della nostra esperienza di PO conferma che il nuovo nasce nell’esserci dentro fino a perdersi: come il sale nella minestra, il lievito nella pasta e il chicco di grano nel terreno; così la Chiesa nel mondo; e così, appunto, noi preti in classe operaia.

E questo oggi mi appare come il cuore profondo di tutto, ciò che – mi vien da dire – non può cambiare mai. Mentre appare altrettanto chiaro che tanto (non “todo”) cambia nell’arco della storia».


Incarnazione nella storia: abitare le periferie

«Incarnarsi nella storia degli uomini significa anche incarnarsi nella propria, accettare la propria storia, vivere la propria storia, che è vivere i propri talenti, le proprie inclinazioni e il proprio carisma. L’insoddisfazione nasce anche dal fatto che si vive, si cresce, si lavora senza realizzare tutto questo… Per me l’incarnazione è stata un vivere “la periferia”, stare al margine, come luogo dell’essere e non essere, luogo di ricerca e di sperimentazione…Oltre la periferia una volta c’era la campagna e potremmo dire il vuoto, oggi dopo una periferia ne troviamo un’altra. E’ un continuo movimento che può provocare in alcuni perdita di punti di riferimento, per altri uno stimolo.

Oggi sembra che tutto sia diventato periferia quasi ad affermare che tutto è in movimento, tutto richiede un cambiamento, dalla politica, della società e della fede. E questo richiede più flessibilità, uscire dalle sicurezze. La fede stessa non è una sicurezza, è un continuo interrogarsi, è un cammino non per arrivare alla meta. Camminando si gusta il viaggio giorno per giorno, con le sue soste, con gli imprevisti, con le stanchezze, ma anche con le sorprese. Vivere questa vita mi dà nessuna certezza, ma molte possibilità».


Non di sola religione vive l’uomo

«Sconvolgente è stato per me la scoperta del valore della ‘politica’, come l’arte del governare la città,
e quindi come strumento indispensabile se si vuole rivestire di carne il Sogno di Dio Padre.
E pertanto non lasciarmi più cadere nella tentazione di pensare che solo la religione conta, mentre tutto il resto è secondario, perfino nocivo, intriso di peccato…
L’una senza l’altra potrebbe diventare benissimo “oppio per i poveri.“…

“Chiesa povera per i poveri”. Questa frase improvvisamente è diventata di moda. Ma le danno tutti lo stesso significato? La mia esperienza di PO mi ha insegnato che essa può avere diversi significati: o il significato di risvegliare il potere dei poveri perché diventino soggetti di liberazione in vista di una trasformazione della società/del mondo, oppure un significato più assistenziale nei loro confronti. Del resto, chi le dà questo significato non riesce a capire perché la Chiesa deve essere povera. Anzi, più risorse ha, più potrà svolgere meglio questo suo compito».

In campo aperto assumendo l’orizzonte biblico

«Partiamo da noi, riconoscendo che il sol dell’avvenire si è oscurato al nostro stesso sguardo, immersi nelle nebbie che ci avvolgono e nelle quali brancoliamo. La storia rimane un enigma: il suo procedere mai lineare, il suo volto insensato chiedono di essere riconosciuti come tali. Del resto, le Scritture non funzionano come “istruzioni per l’uso”. La Parola ispirata è ispiratrice: non detta le mosse da fare; suggerisce, piuttosto, orizzonti che lasciano all’intelligenza e all’immaginazione umana le opzioni di lettura e le scelte operative.

Da questa postura – che è, allo stesso tempo, esistenziale, spirituale, culturale e politica – non più “prometeica”, ma neppure “narcisistica”, si può ripensare un diverso legame tra fede e storia, che raccolga la sfida del presente. Un ripensamento che ha alcuni punti di riferimento essenziali:

Contro la tentazione narcisistica di ricercare ovunque specchi di sé, il riferimento alla storia, per quanto enigmatica possa risultare, è necessario affinché la fede ebraico-cristiana non torni ad abitare il tempio, abbandonando il tempo. La storia, cioè, è necessaria per non tornare alla religione dell’anima, per non cadere nella “tentazione della vita interiore” (Simone Weil).

Nel medesimo tempo, vale anche l’equivalente: la fede è necessaria alla storia. Essa dispone di quel “collirio” (Ap 3,18) che permette di vedere meglio, con occhi penetranti, con senso critico. La fede abilita allo sguardo profetico.

La storia di cui abbiamo bisogno non andrà confusa con la cronaca. Lo spirito del tempo, per essere colto, necessita della giusta distanza (come il Barone rampante, di Italo Calvino). Inseguire l’attualità confonde; troppa luce acceca. Alla ricerca compulsiva dell’ultima notizia battuta dalle agenzie, andrà contrapposta la scelta di “stare” in determinate situazioni e da lì leggere le mutazioni antropologiche che esprimono lo spirito del tempo.

La storia, certo, è contingenza, ovvero – come osserva Giacomo Marramao -“un cum-tangere, congiuntura prodotta da una miscela propizia di fattori”, tra i quali l’agire umano ma non pensato come una creazione dal nulla. E’ “densità di intrecci irripetibili di paura e speranza, oppressione e libertà, esilio e redenzione”. E’ impossibile “neutralizzare l’attrito della finitudine e del limite ma si può declinarlo non più come mancanza bensì come apertura del ventaglio di possibilità che di volta in volta il Kairos dona alle generazioni… La scommessa consiste nel riuscire a tenere insieme il limite e la tensione dell’oltre, la sobrietà e la speranza, l’apertura messianica all’evento con il moderno disincanto”.

Nella fatica di leggere il discorso sgrammaticato della storia, la Scrittura invita a leggere più a fondo, suggerisce aperture, mosse opportune e tempi propizi (appunto, Kairos), socchiude altri orizzonti».


Rileggendo la Gaudium et Spes

«Rileggendo la “Gaudium et Spes” dopo alcuni anni, la prima cosa che mi ha sorpreso è stato lo sguardo laico con cui il Concilio analizza la condizione dell’uomo contemporaneo. Ho apprezzato anche l’umiltà con cui il Concilio ha inteso “cooperare nella ricerca di una soluzione dei problemi del nostro tempo” (n. 10), senza la pretesa di presentare risposte preconfezionate agli interrogativi più profondi dell’uomo.

Mi sono soffermato in modo particolare su alcuni temi che hanno interessato la mia vita negli ultimi 50 anni.

Lavoro

La fabbrica … è stata per me la grande scuola di laicità. Le motivazioni di fede non sono venute meno, anzi si sono approfondite e arricchite. Ma nel corso degli anni, nel contatto e nelle discussioni quotidiane con i compagni di lavoro, tra i quali i più impegnati sindacalmente e i più aperti alla solidarietà erano spesso i non credenti o non praticanti, ho imparato che la dignità umana, i diritti, la giustizia e la solidarietà sono valori assolutamente laici, comuni a tutti, indipendentemente dalle convinzioni politiche e dalla professione religiosa. Non esito a dire che questo è stato uno dei doni più preziosi che ho ricevuto in 30 anni di vita operaia.

Giustizia

… Il problema della giustizia, oggi più che mai, ha assunto una dimensione planetaria. Si è sempre cercato di dare alle lotte operaie un valore universale, che Sirio Politi ha espresso col motto “Chi lotta per una zolla di terra, lotta per tutta la terra”.

Ma la storia non ha seguito questo corso. E oggi domina un capitalismo globalizzato e spersonalizzato che semina morte, alienazione ed esclusione in tutto il mondo….

Ha ragione Papa Francesco a scrivere nella Evangelii Gaudium:
“Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali” (“Evangelii Gaudium” n. 202).

Povertà

La scelta operaia è stata una scelta di povertà. Abbiamo voluto condividere la condizione di dipendenza e spesso di oppressione, che è la condizione comune, nelle differenti forme e gradi di sofferenza, alla grande maggioranza dell’umanità. Abbiamo visto nella classe operaia il soggetto storico del cambiamento della società. La scelta operaia è stata una scelta di campo, è stata l’assunzione del punto di vista dei poveri, del comune destino dei poveri. Ciò ha cambiato definitivamente la nostra vita.

Ma solo se tutta la Chiesa prenderà coscienza di questa urgenza e ne trarrà le conseguenze pratiche, potrà essere in grado di cooperare efficacemente alla ricerca di una soluzione ai problemi che travagliano l’umanità (cfr. Gaudium et Spes n. 10).»

 

Il nostro convegno

Nella mattinata abbiamo con noi il dott. Nando Pagnoncelli, Direttore dell’IPSOS di Milano, che non ha certo bisogno di presentazione.
Al relatore abbiamo chiesto di trattare alcuni aspetti della modificazione antropologica, del cambiamento di mentalità, che hanno interessato la popolazione italiana in questi ultimi decenni. Un tale sguardo si pone sulla linea del metodo inaugurato dalla costituzione alla quale si ispira il nostro convegno.

A questo proposito è utile ricordare due profeti che in tempi lontani avevano previsto e diagnosticato quanto stava avvenendo. Bastino due brevi citazioni.

Il card. Giacomo Lercaro al tempo dei lavori conciliari diceva:

«La società opulenta che si è costituita in qualche nazione o zona privilegiata…rappresenta essa stessa una delle più gravi cause di squilibrio reale, di contrasto ideale e di conflitto pratico con tutto il resto dell’umanità […]
La società opulenta – col suo stesso esistere – pone un modello, la cui forza di suggestione è immensa per tutti, ricchi e poveri; implica per tutti, partecipi ed esclusi, la deformazione del senso autentico dello sviluppo umano, del progresso scientifico, tecnologico ed economico, dell’evoluzione sociale e dell’edificazione civile…».

L’altro autore è P.P. Pasolini che scriveva su Il Corriere della Sera un articolo, comparso il 10 giugno 1974, circa 10 anni dopo gli interventi di Lercaro. Lo scritto, con il titolo significativo: Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia conferma la modificazione culturale indotta da una “cultura di massa” legata al consumo ed alle sue leggi e denuncia amaramente che “l’omologazione «culturale» che ne deriva riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari”.

A distanza di tanti anni possiamo toccare con mano quanto furono lungimiranti le parole di questi profeti.

ROBERTO FIORINI


 

La relazione tenuta dal Dr. Nando Pagnoncelli non viene riportata in questo quaderno. In accordo con l’autore, i temi trattati verranno proposti in un libro sul quale stiamo lavorando e che verrà pubblicato dall’Editore Gabrielli. Il volume, appena disponibile, sarà recapitato a tutti gli abbonati a Pretioperai. Questa operazione consente di rendere accessibile a un più ampio pubblico un messaggio importante per la comprensione del nostro tempo.
Il testo edito da Gabrielli, dal titolo COME SIAMO CAMBIATI, si può leggere e/o scaricare in formato PDF qui

 


 

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