Con i carcerati (1)


 

Bruno non faceva prediche e non si richiamava ai valori morali o a quelli della nonviolenza o ai doveri dei secondini. Gli bastava di ricordare che il corpo del detenuto è sacro e che uno Stato che usa violenza a chi è ristretto in carcere non è degno di essere chiamato civile. Per questa sua aderenza ai bisogni veri dei carcerati, Bruno si è guadagnato una stima ed un’autorità che di solito non sono accordate ai volontari in carcere. I detenuti si fidavano di lui, sapevano che Bruno nei momenti difficili era con loro e che il suo aiuto e la sua solidarietà avrebbero riguardato i nodi veri della loro vita. Non parlava loro di Dio, non parlava dell’anima, ma sapeva che quella era la via per arrivare all’uomo nella sua interezza. C’è un passo significativo di un articolo che Bruno scrisse per ‘il Manifesto’ del 6.12.05, dal titolo Non essere complici, che meglio d’ogni altro discorso chiarisce il suo pensiero:

“Un’ultima parola ai violenti e a chi li protegge. In fondo l’art. 27 della Costituzione ci comanda di liberare l’anima di chi ha commesso un reato, cioè di restituirlo alla libertà di cittadino; colpendo e violentando il suo corpo lo rendete ancora più schiavo. Dovevo queste parole a coloro che hanno subito le violenze, a coloro con cui parlo, che ascolto, con cui scambiamo esperienze e affetti, con cui sogniamo un domani diverso. Lo dovevo a loro e a tutti gli altri detenuti. Per non essere complice”.

Non c’è il tempo per ricordare tutte le battaglie che Bruno ha condotto dentro il carcere e per il carcere. Ma non posso tralasciare di ricordarne ancora una: quella per evitare che i lattanti e i bambini venissero ospitati in carcere, al seguito delle mamme che dovevano scontare la pena, “l’ingiusta e vergognosa condizione di bambini innocenti” come l’ha chiamata una volta. E mi chiedeva: possibile che non ci sia un articolo di legge che proibisca questo sconcio? Rispondevo che l’articolo c’era ed è quello che vieta di tenere in carcere qualsiasi persona che non sia stata legalmente condannata. Ma non c’è un articolo che consenta alle mamme condannate di seguire i loro bambini piccoli “fuori” dal carcere. Bruno aveva della maternità e dei suoi compiti un’idea così alta che il legislatore finora non l’ha nemmeno intuita.

Beniamino Deidda


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