Editoriale


 

La scelta

Concludendo il corposo volume “Uomini di fontiera”1 Giulio Girardi, coordinatore generale dell’opera di indagine sulla realtà torinese, sintetizzava in questo modo quanto era emerso riflettendo sugli itinerari delle Acli, Preti Operai, Gioc e Valdesi dal 1968 al 1984:

«Il problema radicale che divide la Chiesa di oggi si può quindi in definitiva formulare così: centralità della Chiesa o centralità dei poveri nel messaggio evangelico. Problema essenzialmente teologico, anche se carico d’implicazioni politiche».Troviamo una conferma nella testimonianza di don Carlo Carlevaris pubblicata in quello stesso periodo in una raccolta di 24 contributi di preti operai curata da Pietro Crespi2. Si riferisce al progetto presentato al card. Pellegrino che proponeva per la diocesi di Torino «un cambiamento di atteggiamento e di mentalità» per una nuova impostazione di tutta l’attività pastorale. A partire da due punti fondamentali:

«Primo: non aveva senso né efficacia una pastorale operaia, una pastorale specializzata, perché ciò che è d’impedimento alla Chiesa è l’immagine che questa Chiesa dà di sé. Non può un pezzo di Chiesa cambiare e il resto rimanere com’è, ma tutta la Chiesa deve trasformarsi a poco a poco […].

Secondo, lo sforzo prevalente della Chiesa è di gestire gli strumenti pastorali a favore dei praticanti, ma in una città come Torino, i “clienti” di questa pastorale sono soltanto intorno al 15%. L’85% come viene contattato? Quale annuncio di Vangelo per loro se tutte le energie sono sperse per i praticanti? Si devono pertanto seguire altri criteri e cioè la priorità dell’evangelizzazione rispetto alla pastorale e l’annuncio, come vuole il Vangelo, a chi più degli altri è in grado di accogliere il messaggio, cioè ai poveri […]. In una città come Torino negli anni ’60 […] i poveri erano gli operai sfruttati dal sistema capitalistico […].

Nel 1967 il vicario generale della diocesi presentò un nuovo piano pastorale che non teneva conto di quanto da noi elaborato; non faceva neppure cenno alla Missione operaia […]. Ci fu una riunione drammatica. Alla fine il nostro lavoro non ottenne più il consenso». La maggior parte dei presenti scelse il progetto del vicario generale e questa fu pure la scelta di Pellegrino che disse a don Carlo: «Come vedi i miei collaboratori e la Chiesa di Torino non sono preparati per il tipo di proposta da voi avviata; occorre lavorare per preparare un futuro al riguardo».

Dinanzi alla proposta del cardinale di operare in una periferia torinese priva di chiesa per realizzare la Missione Operaia in quel quartiere, don Carlo espresse il suo rifiuto. Pose la richiesta alternativa di andare a fare l’operaio in fabbrica, ottenendo il consenso. Occorre notare che una tale opzione non era prevista dal piano pastorale adottato per la chiesa torinese e quindi, pur con il consenso del vescovo locale, si trattava di un’opzione altra. Se questo succedeva a Torino, con un vescovo come Pellegrino, nelle altre parti d’Italia non andava certo meglio. Comunque, volenti o meno, lo sbocciare dei preti operai faceva emergere che il pendolo della centralità si spostava dalla parte dei poveri, allora rappresentati dal mondo operaio. Mentre la generale organizzazione della pastorale invece optava per la centralità della chiesa.

Occorre notare che l’alternativa «centralità della Chiesa o centralità dei poveri nel messaggio evangelico» indica due polarità permanenti e in tensione. Possiamo dire che una tale tensione, emersa nello studio della realtà torinese e nella dinamica che ha portato all’opzione pastorale ivi adottata, è verificabile nelle diverse realtà regionali e diocesane dove i preti operai sono diventati una realtà. Le diversità, anche notevoli, che si si sono manifestate nelle storie dei vari gruppi regionali dei preti operai italiani, e anzi anche all’interno dei singoli gruppi, conservavano però la base comune della «centralità dei poveri nel messaggio evangelico».

Oggi tale tensione è diventata evidente a livello di Chiesa universale, a seguito della predicazione e delle scelte esemplari di papa Francesco, arrivato dall’altro mondo. Con due immagini efficaci il card. Kasper descrive quanto è avvenuto: «soffia il vento del sud» riferendosi alle periferie del mondo. E ancora «l’incontro tra la recezione conciliare del sud con quella dell’Occidente ha provocato, come si verifica con gli spostamenti sotterranei di placche tettoniche, un terremoto». Nella Evangelii Gaudium sotto il titolo «No a un’economia dell’esclusione» arriva a dire: «Così come il comandamento “non uccidere” pone il limite per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”.

Questa economia uccide». La reazione pesante che è in atto da parte della destra economica e politica, ma anche di soggetti autorevoli della chiesa e di una parte non piccola dei cattolici, rappresenta il rifiuto della «centralità dei poveri nel messaggio evangelico» che papa Francesco, con gesti e parole continua a proporre. Ecco: si licet parva componere magnis (se è lecito mettere insieme cose piccole con le grandi) con analoghe dinamiche, sta avvenendo quanto nel nostro piccolo è successo a noi.

Respirando il vento delle fabbriche e dei luoghi di lavoro, condividendo il cammino, la sorte e le lotte dei compagni con i quali abbiamo trascorso una parte rilevante della nostra vita, esprimevamo un mondo altro, rispetto alle dinamiche della pastorale usuale. E così pure le relazioni che avevano come base la dimensione laica, l’essere uguali come compagni di lavoro, ridefinivano le modalità del nostro rapporto con gli altri e quindi la nostra figura ministeriale.

Nell’orizzonte più ampio

Una nuova configurazione del ministero si incamminava per vie nuove. Occorreva inventare la vita sul fronte esistenziale e pure ministeriale. Certo, era un rischio, ma era ora di abbandonare «la mentalità di difesa propria della riforma cattolica». E’ un pensiero che Giuseppe Dossetti manifestava ancora nel lontano 1946. Lo riprendo da un libro curato da Giuseppe Alberigo:

«E’ interessante ricordare che nell’autunno del 1946, impostando l’associazione Civitas Humana, Dossetti abbia posto come “problema universale, principio primo e fondamentalissimo” che “ad ogni grande rinnovamento della struttura di una civiltà corrisponde e presiede (deve corrispondere e presiedere) un rinnovamento della Chiesa, nel senso sia di una più approfondita presa di coscienza di verità già implicite (o esplicite ma non adeguatamente rilevate) nel suo insegnamento, che di un’adeguazione delle sue strutture organizzative e dei suoi metodi di azione”.

Ne conseguiva la necessità dell’abbandono della mentalità di difesa propria della riforma cattolica.

La diagnosi era netta sino al punto da affermare, già nel 1946, che:

è inutile, assurdo e colpevole il pensare che il problema italiano sia anzitutto problema del governo, dello schieramento politico, della organizzazione e della riforma sociale in Italia, della forza comunista in Italia, etc. Il problema italiano è essenzialmente qui: la Ecclesia italiana ha in gran parte mancato il suo compito negli ultimi decenni”»3.

A proposito del clero, nel 1994, due anni prima di morire, disse:

«La crisi del clero e delle vocazioni sacerdotali e religiose certamente era già iniziata in quasi tutti i Paesi europei nel dopoguerra, prima ancora del Concilio, anche se si è manifestata in modo conclamato dopo il Concilio. È forse questo il punto sul quale perciò insiste con un’apparente maggiore verosimiglianza la critica anticonciliare»4.

Dopo aver sottolineato che già da prima sussistevano

«le cause più profonde e determinanti» di tale crisi, narrò di un suo incontro con Paolo VI nel 1963, tre mesi dopo la sua elezione. Al termine del colloquio su questioni riguardanti i lavori conciliari, poiché era rimasto un po’ di tempo «ne approfittai per parlargli di quella che consideravo la questione assolutamente più importante in quel momento, cioè le difficoltà crescenti che colpivano, a mio avviso, molta parte del clero e che costituivano la causa più grave del declino delle vocazioni sacerdotali e religiose in Europa e in altre parti del mondo. Paolo VI mi ascoltò molto interessato e pensoso»5.

In rapporto al ministero un altro aspetto importante è venuto alla luce nel seminario sui ministeri organizzato dai preti operai italiani nel lontano 1985. L’ecclesiologo Mario Cuminetti metteva in evidenza un limite del Concilio proprio in relazione al ministero:

«Un dato su cui si deve riflettere è che ogni mutamento di ecclesiologia porta a una nuova visione del ministero […]. Il rapporto ecclesiologia-dottrina dei ministeri è strettissimo. La contraddizione forse più grossa del Vaticano II sta nell’aver proposto una ecclesiologia nuova senza tirarne le conseguenze a livello dei ministeri […]. La stessa accentuazione di una ecclesiologia in cui in primo piano sta il rapporto con il Regno porta a una concezione dei ministeri (i segni del Regno: dar la vista ai ciechi, vestire gli ignudi ecc.) diversa da quella legata a una ecclesiologia di comunione»6.

Questo breve intermezzo nel quale ho dato la parola a due figure autorevoli non interne alla nostra storia di preti operai ci serve per mettere in luce che con la nostra trasformazione ministeriale, anche con le differenziazioni che in noi si sono espresse, eravamo ben dentro la Chiesa nel suo insieme e nel suo travaglio e ben dentro le rapide trasformazioni storiche di quei decenni. Al tempo dei nostri convegni qualcuno diceva che i preti operai erano il sintomo, la febbre, di una malattia che Dossetti chiamava la «mentalità di difesa propria della riforma cattolica» che aveva come effetto il congelamento del modo di intendere il ministero. Con tutti i limiti, senza alcuna pretesa di monopolio, con la nostra dislocazione fisica nei posti di lavoro abbiamo tenuto viva la «centralità dei poveri nel messaggio evangelico», collegando il ministero con le dinamiche misteriose del Regno. In questo senso siamo stati una anticipazione di quello che Francesco oggi chiama «la Chiesa in uscita»

In sintesi: la testimonianza di Carlo

Ora torniamo a don Carlo. Una paginetta di appunti con la quale nel 2003 ha fatto, ancora una volta, la sua testimonianza a noi riuniti insieme in un luogo molto caro a tutti. Alla sera della vita era come un consuntivo. Così esprimeva la metamorfosi che coinvolgeva l’intera sua esistenza. Espressa prima al plurale come realtà e storia comune a tutti i preti operai, poi nella seconda parte al singolare, indicando quanto stava facendo in quel periodo. Eravamo al nostro incontro annuale dei preti operai e amici a Viareggio riuniti nel capannone dove don Sirio, Beppe, Luigi e Rolando facevano i loro lavori:

«Ci siamo inseriti nel mondo operaio negli anni ’60-’70 perché abbiamo considerato che la classe operaia fosse il luogo dei poveri con i quali condividere la nostra vita.
Abbiamo sempre ritenuto questa collocazione su tre filoni di presenza: essere “
per”; essere “con”; essere “come”.
Cercare – individuare – condividere: servizio; amicizia; identificazione. Essere, cioè, a servizio del Vangelo tra i poveri:
– per essere annunciatori della Parola del Cristo;
– con la scelta di stare insieme ai poveri del nostro tempo, cioè con gli operai;
– assumendo la loro condizione di lavoro, soggezione, problemi, precarietà, fatica, impegno di lotta; cioè: con la stessa identità» […].

Oggi

Abito tra la gente a contatto con il mondo degli stranieri più poveri e in un ambiente di malavita tipica di un quartiere degradato.
– Ho contatti settimanali con il carcere.
– Partecipo ad una ONG che si occupa di “sviluppo” in Africa e Brasile, dove vado due mesi all’anno.
– I miei rapporti con la Chiesa sono privi di coinvolgimento diretto, non avendo alcun incarico specifico.
– Seguo due équipes dell’”Équipe Notre Dame” e un Centro Studi per lavoratori.
– Incontro con una certa frequenza preti che cercano contatti non formali e amichevoli con un vecchio prete.
– Ho l’impressione che parecchi preti siano in crisi con l’istituzione e con il loro ruolo ecclesiale. Alcuni lasciano, altri si adattano con fatica e cercano confronti seri e sicuri.
– Mi accorgo che vale la pena essere con loro, con la nostra esperienza originale anche se non ufficiale e istituzionale, anzi forse proprio per questo. Sono stupiti del nostro “tenere” lungo gli anni anche con la scarsa considerazione della Chiesa ufficiale.
– Sono contento di questo incontro annuale, avviato alle origini con Sirio, il cui spirito è qui fra noi.
– Anche se pochi, e i più pensionati, non ci sentiamo reduci: non siamo andati in pensione dalla nostra scelta e condizione. Continuiamo ad essere a servizio dei poveri, a condividere la vita e a testimoniare tra loro la fiducia nel Vangelo e negli uomini “di buona volontà”.
– L’Occidente cristiano è al centro di tutti i mali del mondo. Tutte le tragedie (fame, guerre…) sono nell’Occidente cristiano».

Quotidianità nel proprio territorio

La nostra generazione di preti che hanno saltato il muro, entrando nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro non come visitatori ma come dipendenti, con tutto quello che questo comportava sul piano fisico, psichico e spirituale, lentamente se ne sta andando. Posso testimoniare che le cose più belle i preti operai le hanno compiute là dove hanno vissuto la loro quotidianità, le relazioni, le iniziative costruite insieme, le lotte sostenute. Molte delle nostre differenze erano legate anche ai nostri rispettivi contesti. Un esempio: per un prete un conto era entrare in fabbrica a Milano o Torino, in zone metropolitane dove era molto più facile l’anonimato. Si iniziava essendo uno tra gli altri senza differenze. Poi, magari dopo anni, le realtà dell’essere prete veniva a galla, quando la credibilità era già stata conquistata sul piano dei fatti. E’ il caso di don Carlo. Un conto era fare un tale scelta dove si era una persona pubblica, conosciuta, in un contesto dove l’anonimato, almeno iniziale, era impossibile. E’ la situazione che io ho vissuto a Mantova, quando la scelta è avvenuta dopo sei anni di presenza nel mondo del lavoro come assistente provinciale delle Acli, dal ’66 al ’72, negli anni bollenti che i più anziani di noi ricordano. Per il mondo cattolico o ero un prete comunista o ero sulla strada che portava all’abbandono del ministero. Mentre sul lavoro, dove non mancavano i pregiudizi e anche i giudizi sulla figura del prete, della Chiesa, della D.C. ecc., ero misurato su quello che facevo, ma a partire da una pregiudiziale non favorevole.

Nel contesto concreto del territorio di appartenenza dove si viveva la quotidianità siamo diventati uomini, come dicevamo nei nostri convegni, e abbiamo sviluppato un ministero inedito, con una sua forza intrinseca, guadagnata sul campo, aldilà del riconoscimento o meno sul fronte istituzionale. E’ quanto ci ha trasmesso don Carlo nel testo sopra citato, quasi un consuntivo della sua vita.

Questo quaderno

E’ composto di tre parti. La prima, la più corposa, riporta gli interventi del convegno organizzato a Torino lo scorso 9 marzo con il titolo «Dicevano che era un prete». Sono la testimonianza del dono che don Carlo è stato, in diverse fasi della sua vita. Una pluralità di voci che mettono in luce la ricchezza di una presenza alla quale in tanti hanno attinto. Un ministero che a partire dalla scelta iniziale della «centralità dei poveri nel messaggio evangelico» è passata dall’azione militante degli anni della fabbrica, connotata sempre in termini ministeriali, a una presenza sapienziale declinata quotidianamente nell’ambito del quartiere degradato, nelle carceri, all’impegno diretto con le sue trasferte organizzate in paesi dove domina ancora la miseria. Certamente il suo giudizio tranchant espresso nel testo sopra citato: «L’Occidente cristiano è al centro di tutti i mali del mondo. Tutte le tragedie (fame, guerre…) sono nell’Occidente cristiano» – nasce dall’esperienza vissuta in quei paesi, nel contatto diretto con quella gente.

Nella seconda parte riportiamo alcune suoi articoli, comparsi su Pretioperai e su Itinerari..

Chiude la terza parte con testimonianze di preti operai che hanno condiviso la comune avventura di aver saltato il muro.

Roberto Fiorini


 

1) AA.VV Uomini di frontiera. «Scelta di classe» e trasformazioni della coscienza cristiana a Torino dal Concilio ad oggi, Cuneo 1984.
2) P. Crespi, Prete Operaio. Testimonianze di una scelta di vita, Roma 1985, 59-61.
3) G. Alberigo (a cura di) Giuseppe Dossetti. Prime prospettive e ipotesi di ricerca, Bologna 1998, 55-56.
4) G. Dossetti, Il Vaticano II. Frammenti di una riflessione. Bologna 1996, 194
5) Ivi 195.

6) Cuminetti in Bollettino di collegamento 2 (1986) 13.18.


 

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