Il Vangelo nel tempo (3)


 

Non so rispondere; ritengo più importante chiedermi: chi è il discepolo di Gesù? Come si può diventare discepoli del Maestro e Signore Gesù?
Con parzialità offro qualche considerazione.

Leggendo e rileggendo l’Evangelo incontro la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli: «Ma voi chi dite che io sia»? (Lc 9,18).
Precedentemente Gesù aveva chiesto di sapere quale era l’opinione della gente sul suo conto: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?».
Agli occhi della gente Gesù è un uomo di Dio = profeta, uomo che riceve da Dio la sua Parola e la comunica al popolo.

Gesù è più che un profeta: è il Messia atteso. È così che risponde Pietro a nome del gruppo dei 12; tu sei la manifestazione di Dio che salva: il nome “Gesù” significa proprio questo.
Ma per quale strada Gesù si manifesta come “Il Messia”, l’unto di Dio, sarà Gesù stesso ad indicarlo a quei discepoli e a quanti dopo di loro intendono seguirlo.

Discepolo/a è uno che si lascia interrogare, ammaestrare, formare, educare da Gesù; è uno che gli cammina non davanti, non al fianco ma dietro.
A Pietro che vorrebbe distogliere Gesù dall’andare a Gerusalemme, città che ha ucciso tutti i profeti, Gesù dice: «Va dietro a me, satana, tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).
Discepolo/a si diventa rimanendo alla scuola della Parola di Gesù, alla scuola dello stile della sua vita fatta di obbedienza al Padre e di solidarietà con la terra, con gli uomini / donne della terra.

Quale esperienza ho di Gesù? Egli cosa rappresenta nella mia vita?

Discepolo/a si diventa «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2).
La fede in Gesù è una relazione con lui, è un lasciarsi aprire l’orecchio ascoltando, custodendo, ruminando, come Maria, parole e gesti del Figlio di Dio. Accettando anche di non capire… non si tratta di rinchiudere il mistero della vita, il mistero di Gesù, il mistero della mia vita in Gesù dentro schemi, ma di lasciarsi abbracciare da Lui.

Discepoli si diventa: è una strada da percorrere, sempre in cammino: è una strada di fedeltà dietro a lui, è una storia di fiducia, di affidamento di se stessi, di compromissione con il Maestro e Signore, è un giocare con lui. In gioco è la vita, la mia identità di uomo / donna… la mia vocazione nella vita… i compiti e le responsabilità del quotidiano.

Mi inserisco, la comunità dei credenti in Gesù si inserisce dentro una storia che viene da lontano: «per fede Abele… Enoc… Noè… Abramo… Sara… Isacco… Giacobbe… Mosè…». È da leggere per intero il cap. 11° della lettera agli Ebrei: leggere, meditare, pregare, scegliere di dare continuità a quella storia.

Discepolo/a divento se accetto di uscire / andare verso “una terra che Io ti indicherò”, dice anche a noi il Signore della vita.
In questo andare, ammettere la poca fede che mi abita; nell’Evangelo di Matteo c’è un ripetuto interrogativo che non è un’accusa verso i discepoli ma un aiuto a prendere coscienza: «gente di poca fede» (Mt 6,30); «perché avete paura, uomini di poca fede?» (Mt 8,26); «Uomo di poca fede perché hai dubitato?» (Mt 14,31); «uomini di poca fede, perché vi preoccupate…» (Mt 16,8).

È così che il Maestro riconduce all’essenzialità dell’essere discepoli: vengo educato a riconoscere debolezze, fragilità, “poca fede “per gettare in Lui sempre più profondamente il senso della vita.
È una maniera per sottolineare che ciò che caratterizza la vita del discepolo non è il fare chissà quali opere ma la cura di crescere nella conoscenza amorosa di lui, nel confidare in lui, nell’affidare a lui il viaggio della vita, stando volentieri nella compagnia di tutti.

Questa coscienza di essere lontani dal fidarsi della sua Parola porta i discepoli a dire: «Accresci la nostra fede».

Il Signore risponde: «se avete fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati” … ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,5).
Eppure di fede in Gesù è disseminato il racconto evangelico; spesso è una fede oltre i confini di Israele. Penso e cito solo gli episodi di Lc 8,40-56: la guarigione di una donna alla quale Gesù dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace» e la resurrezione della figlia di Giairo al quale Gesù dice: «Non temere, soltanto abbi fede…».

Questo mi fa riflettere su una espressione di 2 Ts 3,2: «La fede non è di tutti. Ma il Signore è fedele…». Dio è fedele a se stesso, alle sue promesse, alla sua alleanza, alla storia di salvezza con l’umanità che giace nella benedizione di Dio in forza della creazione e in forza dell’amore di Gesù consumato fino al dono di se stesso.

Questo carica di responsabilità personale e comunitaria: «La fede viene dall’ascolto della parola e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rom 10,17).
Viene così delineato un cammino: Ascolto-Fede-Parola-Cristo.
L’ascolto della Parola porta a crescere nell’amicizia con Cristo e consente di rimanere in lui (tralcio-vite), diventa una verifica dell’essere discepolo/a; questo ascolto assiduo, perseverante, meditativo educa al “pensare secondo Dio”, al saper leggere il tempo presente come tempo di grazia e di chiamata a responsabilità.

Accanto alla domanda iniziale «Ma voi chi dite che io sia?», c’è un’altra domanda che Gesù pone ai discepoli: «Ma il figlio dell’uomo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra?» ( Lc 18,8).
Forse in malo modo ma azzardo a tradurre: troverà cercatori del volto di Dio, custodi gli uni degli altri e del creato, costruttori di pace e di giustizia, uomini / donne chini sulle ferite dell’altro/a, appassionati scrutatori del Regno di Dio attraverso il farsi carico degli affamati, assetati, forestieri, nudi, malati e carcerati? (Mt 25).

 

Gianpietro Zago


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