Memorie vive:
Toio (5)
Caro Toiu, ho appena saputo che ci hai lasciati. Per un momento mi son passati nella memoria quegli undici anni trascorsi insieme in seminario, in un periodo straordinariamente ricco e intenso della nostra Chiesa albese (1960-’71). Dall’esterno gli stimoli del Concilio e dall’interno la luce di grandi maestri come Bussi, Vigolungo, Boero e Lisa.
Ad un certo punto sei stato trapiantato sull’Alta Langa a vivere la tua missione di monaco, prete, operaio. Hai poi trovato a San Benedetto i ruderi di un vecchio monastero che ti inviarono a ricostruirlo. Lo hai rinnovato con le tue mani e là hai potuto ospitare la tua comunità, punto di riferimento per tante persone che avevano bisogno di orientare la propria vita e approfondire la propria fede.
Da San Benedetto avevi ereditato il “prega e lavora” che in te era diventato prete operaio. La preghiera che nutriva te e gli altri, che facevano riferimento a te, era quella della Bibbia, mentre il lavoro in te aveva una infinità di risvolti e le mani callose lo rivelavano: trasportatore su strade nazionali, muratore, contadino, idraulico, apicultore, botanico e iconografo.
Toiu, tu eri tutto questo ma non ti esaurivi in nessuna di queste attività: la tua identità di prete era quella del prete operaio che il Concilio aveva ispirato come una indicazione concreta per uscire dalle canoniche e dalle sacrestie e immergersi tra la gente, per umanizzare il mondo senza mai diventare del mondo.
Sempre molto concreto, con i piedi per terra e di una disponibilità assoluta. Ti spostavi tra le parrocchie dell’Alta Langa dove c’era bisogno, senza alcuna pretesa se non quella di poter essere utile. Sapevi farti a pezzi per gli altri offrendo il tuo tempo, il tuo lavoro, il tuo ministero e da ultimo anche la tua salute. Prega per noi affinché non ci addormentiamo prima della morte.