Frammenti di vita


 

Sempre più frequentemente amici, amiche, presbiteri della diocesi mi pongono la domanda: quando vai in pensione? Ho reazioni diverse davanti a questo interrogativo. A volte percepisco che esso nasce da una amicizia, da un interessamento vero al cammino della mia vita, da una compromissione-condivisione con questo stile di vita. 35 anni di fabbrica mi hanno modellato: lavoro e preghiera, compagnia e silenzio, ricerca di solidarietà e ascolto della Parola letta personalmente e fatta risuonare dentro una comunità di credenti. Non ho difficoltà allora con queste persone ricordare un cammino: operaio del legno prima, metalmeccanico poi, operaio del legno oggi. La domanda posta da ambienti ecclesiastici mi disturba, crea fastidio. Ho la sensazione di una riproposizione di rifiuto che mi ha accompagnato in questi anni, di un parcheggio esperimentato come marginalità, di una differenza mai nascosta e che ora rispunta con forza, di un sorriso benevolo quasi a indicare che ‘finalmente sei arrivato al capolinea’. Trattengo a fatica una certa aggressività verbale. A qualcuno mi è venuto spontaneo rispondere: ‘quando ti interesserà sapere come ho vissuto 35 anni di fabbrica, risponderò quando vado in pensione’. Gli uni e gli altri mi offrono l’occasione per rendere ragione della speranza che c’è in me; ma esperimento sulla pelle ancora tante sofferenze. Benedico Dio il Signore per questo cammino in compagnia di tanti; ringrazio uomini e donne (molti, troppi già accompagnati al cimitero) che mi hanno sostenuto con la vicinanza fraterna, con la preghiera, con la stima. Come l’apostolo Paolo anch’io ho conosciuto dei Barnaba che hanno continuato ad avere fiducia. Ricordo e continuo a vivere gli anni fecondi del Concilio e del dopo Concilio: la gioia di essere credente in Gesù Cristo, cercatore di modalità di vivere l’evangelo in mezzo a tutti senza sconti o scappatoie; la scelta di andare in fabbrica che all’inizio ha turbato mio padre (operaio per 44 anni) e mia madre anch’essa operaia; il desiderio di coniugare ministero e lavoro; la condivisione della vita operaia farsi sempre più coinvolgente da diventare punto di non ritorno; in nome di questa fedeltà (et-et) i 10 anni di diaconato fino all’ordinazione presbiterale: operaio e presbitero.
Nel rileggere questi anni emerge ancora, dentro la comunità dei credenti, la fatica dell’accoglienza di una vita e dei suoi punti di riferimento, in modo particolare il rifarmi a Nazareth e alla vita monastica; la diffidenza per il ‘diverso’ sentito come turbatore dell’ordine consolidato. In forza di questo cammino, di questa storia desidero continuare a vivere un ministero non ridotto a gestione di cose religiose o di organizzazione. Un ministero che è compagnia, crescita dell’umano che ognuno porta con sé, servizio al cercare profondamente e al far emergere il tesoro e la perla preziosa — la dimensione del mistero — di cui ogni uomo e donna è impastato in quanto immagine e somiglianza dell’Invisibile. Ministero come gratuità crescita nella fede, educazione al restare alla scuola della Parola. E dopo il 31.12.2007? Quale discernimento compiere di questo cammino? Come continuare a concretizzare quel ET-ET?

 

Gianpietro Zago


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