IN QUESTO MONDO A RISCHIO
QUALE CHIESA?
Bergamo / 13 giugno 2015

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Dopo la morte di don Beppe Giordano, vivo una giornata fatta di tantissimi pezzetti che stento a tenere insieme.
La vigilia dell’Epifania del 2013 accompagnai don Beppe all’ospedale di Lucca per una visita trasformata in un ricovero e dopo poco più di un mese abbiamo celebrato il funerale. Essendo quel giorno un sabato ed essendoci una messa alla parrocchia di Beppe, io sono andato a celebrare lì per un dovere di amicizia, e così la domenica. Il lunedì (essendoci la messa settimanale) sono andato in carcere a Lucca poiché da anni collaboravo con lui in quella struttura e quindi avevo i permessi, ero conosciuto e sono potuto entrare. Sono rimasto in questo “incarico” per il mese o poco più della degenza. Una volta che lui è morto, ho detto al vescovo che ero disponibile a fare un lavoro di rivisitazione dello stato della parrocchia che Beppe aveva condotto per poco meno di 30 anni e per una sorta di accompagnamento del lutto della gente che ha letteralmente affollato la chiesa il giorno del suo funerale. E che avrei continuato una presenza al carcere di Lucca.
Da allora mi trovo in questa situazione: continuo a vivere alla chiesetta del porto con una attenzione continua anche alla realtà di S. Pietro a Vico, territorio periferico a Lucca che conta circa 4.000 abitanti e alcune aziende cartarie e non. E’ vero che la distanza è solo di una trentina di km e poco più, ma da casa a casa è sempre un’ora di viaggio nel traffico ed è una realtà diversa rispetto alla costa da cui vengo. Infatti da noi si dice “di qua e di là dal monte” proprio per indicare due mondi che sono vicini, ma, ben caratterizzati nella cultura e nell’ambiente, non si somigliano per niente.

In questi ultimi tempi mi sto rendendo conto che l’andare e venire, con la conseguente difficoltà a leggermi radicato in una sola storia, ha lentamente portato alla luce un percorso che mi accompagna praticamente fin dalla nascita. Nella, per tanti versi ricca e fortunata avventura per me, che mi ha portato dalla famiglia al seminario, a collegio degli studi romani, alla bellissima e stimolante vita comunitaria a Bicchio vicino Viareggio e infine alla chiesetta del porto con Sirio, Maria Grazia e Beppino Socci… una vita sempre intrecciata, sia pure in modi assai diversi tra di loro, insieme con altri. Con la morte di Beppino (lo chiamavamo affettuosamente così da sempre) nel 1998 ero rimasto solo, per la prima volta in vita, ad abitare la chiesetta (sia pure con la premurosa e cara vicinanza di Maria Grazia.

Fu naturale, per me allora, rinsaldare l’amicizia fin dagli anni di seminario passati insieme con Beppe Giordano. Richiestone, lo aiutavo fin da subito nel suo impegnativo lavoro al carcere di Lucca e mi parve naturale condividere con lui molta parte della quotidianeità.

Mi appare sempre più chiaro che l’aver dato continuità ai suoi impegni e alla sua presenza ha significato non solo l’esistenza di una salda amicizia umana, ma anche l’inconscio tentativo di non accettarne la morte, quasi un volere continuare con lui quella condivisione con altri che mi ha accompagnato da sempre.

Sento che ora è arrivato il momento di raddrizzare la barra e affidare la mia barchetta al vento, nonostante la crescente fragilità di una età che mi consegna tutto alla vecchiaia.

Questi tre anni dalla morte di Beppe, mi hanno riconsegnato a me stesso. Stanato dalla necessità di far fronte a impegni consistenti, sostanzialmente da solo, pur avvertendo in me tanta resistenza, ho capito che è arrivato il momento di ri-partire da me stesso e dalla chiesetta del porto, luogo fecondo da cui ri-nascere.

Per la prima volta, non mi è ancora accaduto, mai.

Ho già comunicato ai superiori ecclesiastici i termini di questa mia ultima “fatica pastorale” e alla fine di settembre resterò alla chiesetta del porto, con una assunzione di novità tutta nel cuore. Certo, la mia autoironia non sfugge alla tentazione di prendermi in giro in questo voler ricominciare qualcosa a 75 anni. Non saranno certo opere e attività, ma dare aria alle antiche radici è sempre un canto alla speranza e alla fiducia.

Non mi sogno nemmeno che i superiori, in questa situazione di penuria di preti, mi lascino tranquillo e quindi qualche richiesta “pastorale” (una parola che mi si appiccica sempre al palato…) la dovrò subire, ma sarà solo uno dei segni di disponibilità alla vita quotidiana e alla mia storia. Le mie energie torneranno ad essere rivolte ad ascoltare il canto dell’umanità in cammino.

Luigi Sonnenfeld


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