Memorie vive:
Armido Rizzi (4)
Riporto i miei appunti di un incontro pubblico tenuto a Mantova il 25 ottobre 2018 per presentare il libro di Carmine di Sante “Dentro la Bibbia. La teologia alternativa di Armido Rizzi”. Un’opera che lo stesso Armido avrebbe voluto compiere, ma non gli fu possibile. Così Carmine, in accordo con lui, ha raccolto il suo lavoro di teologo seminato in molti libri, riviste, conferenze, seminari…
La presentazione del libro era affidata, oltre che all’autore, anche a don Marco Campedelli, amico di Armido. Io facevo gli onori di casa.
Durante la preparazione di questa serata più volte mi è venuto in mente l’inizio del canone della liturgia cattolica: “vere dignum et iustum est”: è veramente cosa buona e giusta…
- Quest’ assemblea nella quale ci soffermiamo sul lavoro teologico che Armido ha compiuto a partire dalla fine dagli anni ’60. Sono presenti amici che vengono da Latina, Milano, Vicenza e da altrove. Severino Saccardi di Firenze, direttore di Testimonianze e Vittorio Bellavite, Coordinatore nazionale del movimento Noi siamo chiesa, mi hanno pregato di esprimere ad Armido la loro vicinanza.
- Questo libro che raccoglie la trama del suo insegnamento che si è sviluppato in decine di libri, collaborazioni, numerosissimi articoli, settimane teologiche, i quaderni di S. Apollinare, incontri…Strumento utilissimo per chiunque voglia conoscere il pensiero di Armido.
- Questa occasione, nella quale vogliamo ringraziarlo per tutto il bene che la sua presenza ha significato per noi. Io ho conosciuto Armido nel ’80 qui a Mantova e dall’81 sino al 2001 ho frequentato le settimane teologiche che annualmente lui teneva a Fiesole, godendo della sua ospitalità. Tutti gli anni ci vedevamo con Carmine, anche lui teologo con molte pubblicazioni (Ricordo in particolare “La preghiera di Israele. Alle origini della liturgia cristiana” argomento di un corso all’Istituto ecumenico S. Bernardino a Verona. Ricordo ancora di aver sostenuto con lui l’esame in una sera, dopo una giornata di lavoro.
Ho conosciuto don Marco Campedelli due anni fa, invitato dal Sae di Mantova nella settimana di preghiera per l’unione dei cristiani, con la sua metodologia sperimentale per raccontare episodi della Bibbia e del Vangelo. Sarà lui a dirci quale conoscenza ha avuto di Armido.
Prima di dare la parola all’autore del libro e a don Marco vorrei offrirvi qualche breve riflessione sul teologo Armido.
La teologia è un atto secondo rispetto alla fede vissuta e ne dipende. La fede coinvolge la vita in tutte le sue dimensioni, la teologia è la riflessione critica che si pone al livello del pensare. In Armido si è espresso un rapporto strettissimo tra i due momenti, dove è la fede l’elemento generativo della sua teologia. Questa è in funzione dell’espressione della fede. Ora proprio sull’espressione della fede nella vita di Armido è avvenuta una svolta che lui narra in una breve autobiografia inviata agli amici: «Maturazione di una “teologia alternativa”
Quindi fu una crisi. Non di fede, ma del linguaggio della fede, necessario per poterla esprimere. Allora mi sono messo a cercare un’alternativa, per continuare a pensare e a dire la mia fede nel Dio di Abramo e di Gesù Cristo. Lentamente, anno dopo anno, è maturata quella che, più avanti, avrei chiamato una teologia alternativa.
“Alternativa” non nel senso corrente del termine, ma in quanto basata sul principio di “alterità” invece che sul principio di identità (Dio è l’essere, e dentro lo spazio dell’essere c’è tutto e tutto vi è conoscibile)».
Alterità che è il presupposto dell’Alleanza che riguarda tutta l’umanità per pura iniziativa di Dio.
Ma quale Dio?
«Uno dei punti forti di quel sistema che era crollato era il testo di Esodo 3,14, quando Dio dà a Mosè la missione di portare il suo popolo fuori dall’Egitto, e Mosè vuole sapere cosa rispondere a chi gli chiederà chi sia quel Dio che glielo ordina. La risposta era tradotta con “Io sono l’Essere”. Questa espressione veniva portata come la prova biblica di quella visione del mondo e di Dio di cui prima dicevo. Oggi nessuno studioso delle Scritture dice questo. L’interpretazione più coerente con tutto lo sviluppo del rapporto tra Dio e Israele così come è narrato dalla Bibbia, è quella che traduce: “Io sono il Presente”. Non il presente in quanto tempo, distinto dal passato e dal futuro, ma: “Io sono colui che è presente”, nel senso di: “Eccomi qua: ci sono e ci sarò per te”, il che significa: che Dio è quella realtà che si è fatta presente all’uomo, che resta presente. Dio è l’amore fedele».
A me pare che l’assunzione di questa direzione sia in perfetta linea con gli input che troviamo nella Dei Verbum, la costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del Concilio Vaticano II: “Le sacre scritture sono l’anima della sacra teologia” (qui la Dei Verbum cita S. Girolamo).
L’anima dice il riferimento essenziale alla Bibbia che deve sussistere in ogni ambito della ricerca teologica. Ma un conto è citare la Bibbia, anche in maniera abbondante, come da un’antologia da cui pescare testi significativi di supporto alle proprie tesi, altro è pensare dentro la Bibbia, cioè cogliere l’anima, la linfa vitale che deve nutrire la ricerca teologica.
Ascoltiamo Armido:
«Potrei dire che da allora non ho fatto altro: pensare dentro la Bibbia è diventata la mia passione, maturata in vocazione (e, con discontinuità indipendente dalla mia volontà, in professione). Perché la Bibbia “donne a penser” (Ricoeur) come nessun altro testo, essendo come nessun altro testo una riserva di senso e di linguaggio del senso».
E’ ancora lui a narrare il punto a cui è pervenuto con la sua teologia a partire dalle Scritture ebraico-cristiane:
«Negli stessi anni (‘90) ho attivato per la prima volta a Fiesole il corso di teologia alternativa di cui vi dicevo, che aveva come scopo quello di provare a riscrivere addirittura i trattati teologici: il Dio uno e trino, la cristologia, la grazia, la chiesa, i sacramenti e i cosiddetti novissimi, cioè l’escatologia; riscriverli a partire dalla Bibbia, dal principio dell’alterità del Dio biblico rispetto al creato, e dell’alterità di quell’amore con cui Dio ci ha amato e ci chiede di amare, che è l’amore etico, l’amore comandato. Il corso si è svolto il primo anno a Fiesole (nove fine-settimana, da ottobre a giugno) e l’anno dopo a Mantova. L’ho rifatto a Fiesole nell’ultimo anno della nostra presenza lì … come coronamento della nostra attività in quel centro».
Negli anni della sua permanenza a Mantova propose di nuovo il corso di teologia alternativa.
Ho accennato sopra alla stretta connessione tra vita vissuta e pensiero teologico. Ecco qualche spunto concreto
- Il suo progetto di vita così si riassumeva: A servizio della Parola, in comunità e in uno stile di povertà (gratuità).
- Viaggio in Perù nell’83: «…Questo viaggio in Perù è stato per me la scoperta concreta della povertà, cioè dei poveri. A distanza di 25 anni, posso veramente dire che è stato un avvenimento che mi ha segnato come nessun altro. Prima di allora, anche nella lettura dei teologi della liberazione che parlavano dei poveri, la parola “povertà” mi richiamava alla mente le immagini della mia infanzia: una povertà vissuta dentro una dignità oggettiva: si viveva in una casa, ci si poteva nutrire (pur “tirando la cinghia”), si avevano cure in caso di malattia (al livello della medicina di allora). In Perù ho toccato con mano una realtà molto più degradata, allarmante: case di stuoia, la fame come compagna abituale, la salute sempre precaria. Sono rimasto tre mesi in Perù, e durante il primo mese entrare in quelle capanne mi faceva venire il nodo in gola. Poi ci si fa un po’ l’abitudine (ma bisogna stare attenti a non farci l’assuefazione). […] Allora ho capito qual era l’ambiente vitale dentro cui è nata e cresciuta la teologia della liberazione (a Lima, nei luoghi dove Gutierrez viveva). Questa mi ha ulteriormente spinto alla lettura della Parola di Dio, dove, attraverso una varietà di testi e di generi letterari, si presenta, distesa su secoli e secoli, la storia dei poveri e del Dio con loro».
- Chiudo accennando all’auto-testimonianza di Armido che troviamo nell’avviso al lettore del suo libro, pubblicato nel 1981, «Messianismo nella vita quotidiana» che ha avuto una lunga gestazione nel contesto comunitario di Milano, in un momento storico molto convulso (BR).
La tradizionale lettura del messianismo oscillava tra i due poli dello spiritualismo e della politica.
Infatti la lettura tradizionale «è massicciamente dominata dall’interpretazione spiritualista dove i beni messianici sono la grazia santificante, le virtù (e i canali istituzionali per riceverle, i sacramenti), ma conosce anche frequenti rigurgiti di un’ottica interpretativa politica, di cui Thomas Műnzer e i messianismi del Terzo Mondo nell’ultimo secolo sono le punte sporgenti».
La mia storia con i preti operai conosceva bene questa tensione in un momento nel quale diventava evidente la «crisi di civiltà…cioè il cedimento di quell’orizzonte messianico (e apocalittico, e spiritualista e politico) che aveva sotteso lo svolgimento della civiltà occidentale». C’era da fare i conti ormai con «l’anti-messianismo della crisi» che è quello tutt’ora dominante.
La riscoperta della vita quotidiana quale «luogo privilegiato di esercizio della prassi messianica» e quindi della ricerca del senso – è questo l’insegnamento del libro – è stato per me e per molti di noi preti operai un dono grandissimo, vista la struttura della nostra quotidianità, e la sconfitta storica che si profilava per i lavoratori.
Per confezionare la sua opera sul messianismo Armido, oltre che avvalersi della sua competenza biblico-teologica, invase anche altri campi come la filosofia e le scienze umane, in continuo movimento. Così lui descrive questo lavoro di spola:
«Il raccordo interdisciplinare non è meno importante della competenza specialistica all’interno delle singole discipline; e bisogna che qualcuno accetti di fare il piccione viaggiatore tra un campo e l’altro, o il jolly tra l’una e l’altra zona del campo».
Due belle immagini: l’una evoca la leggerezza del volo, l’altra, il Jolly, richiama la fatica del calciatore. Rimanendo in ambito calcistico, a conti fatti, io lo immagino più come regista, organizzatore del gioco, playmaker. Nel libro di Carmine, emerge con chiarezza la connessione di tematiche teologiche normalmente esposte in trattati separati.
Credo che per Armido sia appropriata la figura delineata dall’evangelista Matteo quando parla dello scriba, discepolo del Regno dei cieli, che dal suo tesoro estrae cose nuove e cose antiche. Penso che questo libro ne sia una testimonianza.