Ricordando Emilio Coslovi (3)
La scelta di fare l’operaio e di restare prete ci ha posto in una situazione di confine storico, lo spartiacque tra classe operaia (mondo del lavoro coscientizzato con propri obiettivi e strategie collettive) e chiesa (con la sua storia di forza conservatrice in difesa dell’ordine precostituito autoritario, pur conservando la carità-elemosina nei confronti dei poveri). Nella chiesa si è sempre espressa la beatitudine della povertà, ma come vocazione personale od anche di gruppo (con Francesco) ma non proponibile a tutta la chiesa. Resiste un pensiero di improponibilità storica per la struttura chiesa e per la societas cristiana (vedi la lotta ai Poveri di Lione ed ai Catari).
I PO hanno accettato di vivere la contraddizione storica restando preti in Classe Operaia, ponendo interrogativi alla Chiesa. Al confine siamo diventati sospetti sia per la Classe Operaia, sia per la Chiesa. Rimanere al confine costituisce la nostra schizofrenia nella tentazione continua di schierarci finalmente da una delle due parti per sopire la tensione e ritrovare un’identità sicura (anche come ruolo ed immagine). Emilio ha abitato con noi questo confine, ma la vita lo ha chiamato oltre ed ha abitato anche un altro confine tragico tra la cosiddetta normalità psichica e la pazzia.
Non è stata una scelta, ma una costrizione ed una necessità ed è andato fino al fondo identificandosi non solo con i poveri, ma con i barboni: è diventato uno di loro. Non è stato semplice averlo come amico ed accoglierlo nel gruppo dei PO veneti; ogni volta che ci incontravamo emergeva “l’abisso” della parabola del Povero Lazzaro (Lc 16,19).
Aveva un suo pensiero ed una sua logica molto lucida ed una coerenza ferrea su cui era difficile concordare; era rigoroso e senza mediazioni. Aveva portato la schizofrenia fino all’estremo tanto da soccombere in alcuni periodi. È stato ospite in alcuni momenti nella mia Comunità di cui ha sempre conservato una forte nostalgia fino agli ultimi giorni (la stessa notte della tragedia ci aveva telefonato); riprendeva poi il suo cammino solitario come figlio del vento.
La sua morte mi ha aperto la strada alla comprensione della sua esistenza. In questo mi ha aiutato l’esperienza dello psichiatra Vittorino Andreoli che, all’ospedale di Verona, era riuscito a far emergere il filone artistico pittorico dei pazienti, alcuni dei quali, in seguito, quotati a livello internazionale come nel caso del pittore pazzo Carlo Zinelli: l’arte non ha i nostri confini.
Anche la “Grazia” non ha confini ed Emilio è stato fedele alla grazia che gli è stata data nella sua vita; una grazia pagata a caro prezzo. I poveri ed i barboni erano la sua famiglia a cui esprimeva fedeltà, solidarietà, tenerezza e delicatezza di intervento. La sua vita di raccoglitore di rifiuti per valorizzarli e riciclarli a favore degli ultimi è stata condita dall’amore gratuito. La schizofrenia non lo ha chiuso nella gabbia dell’io; la Grazia lo ha preso totalmente rendendolo un barbone per i barboni. Non lo ha ucciso la pazzia ma il suo amore. Il fuoco lo ha preso, ma come in un amore mistico, ed il suo corpo è rimasto intatto come segno di resurrezioone.
Lode a Dio grande e fedele perché tutto è Grazia.