Pensare Dio nel nuovo disordine mondiale


 

Due mi sembrano le “costanti” che man mano hanno intessuto Io scenario di
fondo (sfondo di fede) sul quale si è proiettata, e si proietta attualmente, la
mia esistenza quotidiana:
– il senso/sentimento di appartenenza
– il senso/sentimento di una Presenza ‘pro-vocante’

Appartenenza

Richiamo alcuni pensieri che ho espresso introducendo le comunicazioni dei P0 all’incontro di Viareggio 2003.
Ognuno di noi non è che un brevissimo segmento della lunghissima linea della vita e spesso anche anello di una terribile catena. Lo spazio di una vita è sempre ristretto e soffocante, se non è dilatato oltre ogni misura nella vastità e creatività di cui è capace. Vivere il concreto, spesso tanto banale e impietoso, proiettandone le immagini di vita vissuta sul grande schermo dell’esistenza, fa apparire questo vivere umano quotidiano come “l’acqua di fiume quando sfocia nella vastità dell’oceano”.
La vita vissuta, fatta di date, di cronaca quotidiana, di avvenimenti e vicende, non è l’unica che potevamo vivere, perché il vivere è umano nella misura in cui le sue dimensioni di spazio e tempo non sono unicamente riscontrabili nel vivere quotidiano o nella brevità della nostra storia. Tutto dipende dalle scelte, più o meno forti, secondo le quali si vive: puoi ampliare continuamente il corso del fiume oppure farlo concludere in uno stagno.
Senso di appartenenza: come un sentirti parte di una realtà più grande dite, in cui ti senti coinvolto, in cui ci stai bene; una realtà più grande dite, ma che senti come tua: una famiglia, una terra, un tempo, una classe sociale…

Porto un ricordo personale. Grande per me è stata la fortuna / grazia di essere nato in una famiglia povera, ricca solo di tanti fratelli e sorelle. Fino a 14 anni ho condotto una vita anonima, di povertà e stenti: ma era la condizione di molti altri dalle mie parti, in quei tempi. Poca cultura e istruzione, molto bisogno di un lavoro, qualsiasi, pur di campare: 2 sorelle a servizio presso signori, un fratello ‘famiglio’, io a bottega prima da sarto e poi da barbiere. Poi d’improvviso, non so come, catapultato in un mondo estraneo, non cercato (il seminario); ma non rifiutato, anche se mi è sempre costato molto lo staccarmi dalla mia famiglia per andare in seminario, in cui mi sono trovato anche bene. Il diventare prete, poi, non è stato senz’altro un mio desiderio originario, né molto caldeggiato dai miei.
Uscito da quel mondo, come prete, con un ruolo che mi è apparso subito faticoso da sostenere, è riemersa subito la mia originaria appartenenza ad una classe di gente
– che lavora molto e parla poco,
– che non ha particolari paure perché possiede poco o niente,
– che sa gustare e gioire della solidarietà ricevuta e donata,
– che non coltiva il senso della proprietà, ma tiene in gran considerazione la dignità della persona,
– che mantiene fedeltà alla parola data e ricevuta.
Oggi si parla tanto di crisi antropologica: io non sono un grande esperto, ma credo che alla base di tutto questo ci stia un clima di disgregazione, di non appartenenza, di non figliolanza, di non familiarità, di dissociazione. La persona è stata espropriata del suo habitat, del suo humus vitale, del clima caldo di relazioni umane, del suo quadro di riferimento: si sente estranea a tutto e a tutti, è vittima di un totale “spaesamento”.

Una presenza ‘pro-vocante’

Il tempo che vivo, la storia che vivo, sono abitati da Dio.
Avverto, sento questa Presenza.
Puoi parlare di una verità se ti ha cambiato dentro, se ti ha inebriato.
Ebbene, questa ‘verità’ l’ho trovata in fabbrica: lì ho trovato Dio; credo che sia questo il motivo per cui ci sono rimasto fino alla pensione. Ho vissuto l’appartenenza con l’uomo e con Dio.
Lì ho trovato il Dio incarnato, il Dio solidale, il Dio amante della giustizia, della libertà, della vita.
Questo sguardo di fede, questo sfondo di fede, colloca giustamente e dà senso al mio vivere quotidiano, in questo tempo, in questa storia.

Si parlava tempo fa di quale Dio possiamo parlare oggi, a quale Dio possiamo rivolgerci oggi. Non so bene come descriverlo, quale volto abbia: o meglio, potrei usare quanto ho studiato, quello che ho letto, quello che hanno detto altri e con i quali mi sono anche trovato, quello che dice la Bibbia. Mi pare tutto sensato, accettabile.
Per me comunque il credere oggi è soprattutto l’avvertire una presenza, una forza, un soffio di vita, un qualcuno che ti fa sempre alzare il capo e con il quale sento di poter entrare in contatto, con il quale parlare. Pregare: mi capita di farlo. E mi capita di chiedermi se tutto questo è vero, allora cambia molto, o tutto: questo me lo chiedo soprattutto quando mi trovo con altri.
Una presenza pro-vocante, cioè che ti chiama fuori, che ti chiama davanti a…
– per non arrenderti
– per ritrovare in te una forza che ti aiuta a superarti
– per sentirti parte di una storia di liberazione, di salvezza.
La visione di Ezechiele, cap. 37.

Una presenza che ti provoca, più che a credere, a continuare a sperare…

Gianni Alessandria


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