Memorie vive: Gianni Chiesa (3)


Voglio ricordare Gianni Chiesa perché la sua scomparsa mi colpisce profondamente, per l’affetto e la stima che nutrivo per lui, per la vicinanza che faceva sentire nell’esercizio delle responsabilità sindacali, per l’intelligenza e la ricchezza degli stimoli che portava nel confronto politico e culturale, col suo stile improntato alla serietà e alla semplicità.

Con Gianni scompare una persona significativa nel vasto panorama del sindacato italiano, con due elementi particolari, la provincia di Bergamo e la FIM-CISL. La FIM di Bergamo per la forza e la passione dei suoi lavoratori e militanti, per le caratteristiche di originalità dei suoi dirigenti, in termini di rappresentazione pluralistica, di coerenza con i riferimenti ideali del proprio sindacato e di sensibilità umana, che resta il centro dell’impegno dei fimmini nel loro ruolo di frontiera. Quel ruolo che Gianni amava ricordare parafrasando il sociologo Nadio Delai sul confine, “elemento reale e metaforico di scontro; oggetto di un duplice processo: di rafforzamento, come arroccamento dell’antica compattezza culturale; di indebolimento, come cammino che non teme inquinamenti da apertura e da confronto”.
Gianni era un sacerdote, divenne un prete operaio, stimolato dalle indicazioni / provocazioni del Concilio e dai contributi dei settori più aperti della chiesa; adeguò il suo percorso “incarnato nella realtà storica che viviamo e che cerca di vedere cosa ci è dato da fare qui e ora. Un impegno vissuto nelle contraddizioni del nostro tempo e nell’ambito della mediazione politica, con tutte le contraddizioni, fragilità e le conseguenze sui poveri che essa comporta. Un impegno assunto per amore della gente e come risposta alla chiamata dello Spirito”.

Ecco allora l’esperienza di fabbrica e l’impegno sindacale, l’arricchimento attraverso l’esperienza limpidamente laica, la pratica della curiosità e dell’ascolto, l’apertura ricca di valori nella vita dell’organizzazione, nei processi formativi, nelle lotte, non pago di granitiche certezze di fronte alle intense ed estese dinamiche del mondo, della cultura, della tecnica e della scienza. Gianni aveva compreso l’importanza della cultura nell’impegno sindacale, della formazione, della sperimentazione, della democrazia e della sua qualità: strutture, regole, trasparenza, fatica.
Gianni aveva diretto la FIM di Bergamo dal 1979 al 1984, un periodo di fuoco, la difficile tenuta dell’occupazione, le controparti sempre più dure nelle trattative dei rinnovi contrattuali, il terrorismo, le incrinature progressive del processo unitario. È sempre più difficile vivere l’utopia e mediare sui livelli minimi del quotidiano, assumere e sostenere scelte difficili e impopolori. Sono i momenti dove si mettono all’ordine del giorno parole pesanti, difficili: responsabilità, disciplina, fedeltà all’organizzazione per tutta la FIM e particolarmente ciascun dirigente, e Gianni aveva sofferto non poco di fronte alle scelte da compiere e nella loro gestione, ma lo aveva fatto con coerenza.

Terminata l’esperienza sindacale e “tenuto ai margini della chiesa istituzionale” Gianni ritiene doveroso “trafficare” i talenti ricevuti nel lavoro di fabbrica e del sindacato. Inizia così un’intensa collaborazione con istituzioni e organismi locali impegnati nel fenomeno immigratorio, allo scopo di rendere meno violento e doloroso il percorso di accoglienza, inserimento e integrazione dei
soggetti migranti. È in questo periodo che ho avuto modo di incontrare frequentemente Gianni, essendo anch’io – lasciato il sindacato – impegnato nei problemi dell’immigrazione con il Movimento del volontariato e con le attività del Dossier immigrazione Caritas, potendo mettere a confronto problemi ed esperienze e sperimentare la ricchezza dell’esperienza sindacale in un campo nuovo, dove prima di rappresentare occorre capire, ascoltare, organizzare, costruire.
Quello di Gianni è stato un lavoro difficile. Soprattutto nei periodi in cui la provincia di Bergamo era governata dalla Lega e il comune dal centro-destra. Quando quest’ultimo assumerà posizioni incompatibili con le sue convinzioni, Gianni aveva cessato la sua collaborazione, ma continuando nel lavoro di costruzione del progetto di Casa Amica, un’associazione con la finalità di favorire l’accesso ad un’abitazione dignitosa a cittadini italiani e immigrati in situazione di disagio e di necessità.

Ne è venuta fuori un’esperienza straordinaria che porta chiaramente l’impronta della sensibilità, della cultura, dell’esperienza di Gianni, i segni del suo amore per gli ultimi e del suo cammino generoso, nella gratuità.

A conclusione di un suo scritto Gianni affermava: Nel rimetterci in cammino mi
sostiene l’esempio di Abramo: “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava”(Eb. 11,8).

Franco Bentivogli


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