Editoriale 1
C’è una tirannia del presente che occupa e padroneggia le menti, svuotando la capacità di reazione. Il vecchio Karl Barth, teologo del secolo scorso, diceva che occorre tenere in una mano il giornale e nell’altra la Bibbia. Insieme, non l’una e l’altro separati. La Bibbia rappresenta una lunga memoria, ma anche una poderosa apertura al futuro, il giornale dice riferimento al quotidiano.
Vi sono persone che nella loro vita hanno scolpito la fedeltà al loro oggi, ma insieme la capacità di guardare avanti, oltre il loro presente. Le loro parole diventano luce per noi, oggi, aprendo anche il domani. Su questo rifletteremo nel nostro incontro annuale e nel convegno aperto a tutti. Abbiamo scelto tre figure, tra le altre possibili: il card. Carlo Maria Martini, Alex Langer e Ernesto Balducci.
Ma anche nella schiera dei pretioperai italiani, che si sta assottigliando rapidamente, figurano dei volti e delle storie che ancora parlano. Basta saperle ascoltare. Qui ne ricordiamo tre in particolare: don Cesare Sommariva di Milano, don Beppe Socci e don Sirio Politi di Viareggio, morti rispettivamente dieci, venti e trent’anni fa.
1) DON CESARE SOMMARIVA (1933-2008)
Di don Cesare, nel corpo di questo quaderno, riportiamo una sua riflessione che include anche dei tratti autobiografici e uno dei numerosissimi fax che spediva dal Salvador, nella decade degli anni ’90. Qui presento una sua lettura planetaria, a partire da un grave problema rilevato in quel piccolo Paese: “a nivel nacional, solo la midad de la poblaciòn tiene aceso a agua potable”. Conviene dare a lui la parola, con il suo stile essenziale, efficace e con le sue accentuazioni grafiche:
“Sembra una cosa di paesi sottosviluppati. Invece NO. È una realtà che ormai dobbiamo prendere in considerazione come un possibile futuro di tutta l’umanità. Se appena guardiamo il futuro, il problema che ci afferra è addirittura se avremo acqua per bere, aria per respirare, terra da coltivare.
Il fatto totalmente NUOVO è che le umanità che abitano la terra sono diventate VICINE l’una all’altra, anzi, in crescente misura, l’una interna all’altra e sono, TUTTE INSIEME, sotto incombenti minacce che toccano la specie umana come tale…” (Fax n. 4 del 7 novembre ’92).
Il mese successivo riprendeva lo stesso discorso aggiungendo:
“Tutti a poco a poco si debbono rendere conto che IL FUTURO non ci sarà dato se NON LO AVREMO VOLUTO. E non lo avremo voluto EFFICACEMENTE se non accetteremo per lo meno tre cose:
– LA DEFINITIVA SOSTITUZIONE DELL’AGGRESSIVITÀ CON LA SIMPATIA
– LA DEFINITIVA SOSTITUZIONE DELL’ISTINTO CON LA RAGIONE E CON UNA METODOLOGIA DELLA CONOSCENZA CHE PARTA DAI PIÙ POVERI…
– LA DEFINITIVA SOSTITUZIONE DELLO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NON RINNOVABILI DELLA TERRA CON LA SOLIDARIETÀ BIOLOGICA CON TUTTI GLI ESSERI VIVENTI.
Tutte queste cose non possono essere fatte dagli attuali padroni del pianeta, dagli imperi internazionali della finanza, da… Ci sono soggetti che possono e hanno interesse a questa definitiva sostituzione: sono i soggetti a cui noi ci rivolgiamo con il nostro intervento… A tutti deve essere rivolto questo invito…Tutti però possono mettersi in questo cammino nuovo e aiutare il sorgere di questo nuovo camminare…” (Fax n. 10 del 14 dicembre ’92).
Un’altra pagina mi sembra di assoluta attualità: tocca due punti essenziali: il razzismo della nostra cultura occidentale e le nostre relazioni essenziali a livello planetario:
“I pensieri di questi mesi passati, incominciando da quando ero in Italia, erano sul RAZZISMO LATENTE della nostra cultura occidentale europea e sulla relazione fra le diverse culture che si sono formate da quando l’unico ceppo umano dell’homo sapiens, verso la fine dell’ultima glaciazione (centocinquantamila o centomila anni fa) si disperse nelle varie parti del globo…
Le varie diversità umane negli ultimi 500 anni furono oggetto di distruzione per parte degli europei, che non riconoscevano neppure l’umano nei diversi. I primi che sbarcarono qui, si sono domandati se gli indios erano “umani” o se erano bestie. Classica è la discussione se gli indios avevano un’anima…
OGGI ci stiamo accorgendo che le DIVERSITÀ SONO LE VARIE TESSERE DI UN UNICO MOSAICO UMANO, che CIASCUNO TIENE DENTRO DI SÈ.
TUTTO È IN TUTTO, diceva l’antico Anassagora,
nel senso che ciascuna cosa è quella che è, IN QUANTO DIPENDE DA TUTTI GLI ALTRI ESSERI.
Proprio come un organismo, che non ha tutte le parti uguali e che non è una addizione di parti, MA UN TUTTO CHE RISULTA DALL’INSIEME DELLE RELAZIONI CHE LE PARTI HANNO FRA LORO.
Complessità/coscienza, ominizzazione planetizzazione.
RELAZIONI NUOVE… quante cose vengono con questi pensieri. Ora si sta scoprendo che questa relazione non è solo tra gli umani, ma è con tutti i viventi del pianeta…
… LA TERRA… UN ESSERE VIVENTE: LA MADRE TERRA, con cui relazionarsi di cui gli indios hanno memoria.”
Mi piace fotocopiarvi queste frasi:
“È come se l’intero sistema che avvolge la Terra, la biosfera, fosse un organismo unitario dotato di principi di autoregolazione che si fanno sentire nei sottosistemi – la specie homo sapiens non è che uno di essi – riconducendoli al rispetto dell’equilibrio globale. Che la madre Terra non sia essa stessa un essere vivente, come supponeva l’antica mitologia?
Riusciremo a cogliere e mantenere la nostra identità e coordinarci con le altre identità umane ed universali?”
In questi ultimi tempi, venticinque anni dopo, la dimensione planetaria a cui don Cesare alludeva è entrata nei nostri discorsi e penso che ormai sia un orizzonte obbligato, il quadro di riferimento necessario, anche per la ricerca teologica. Il nostro convegno dello scorso anno e il quaderno che ne riporta gli atti testimoniano che la nostra attenzione ha assunto questa polarità.
Ma crediamo doveroso ricordare due doni/impegni che don Cesare ci ha lasciato in eredità.
1. La continuità del gruppo dei PO lombardi e la fecondità nella ricerca e nelle proposte portate avanti in questi decenni le dobbiamo a un metodo di lavoro al quale don Cesare ci ha educati.
Parlando dei “corti circuiti” che inevitabilmente accadono in un gruppo ci scriveva:
I «corti circuiti»
Non penso sia questione “morale”. Sì certamente il peccato originale… Perciò non penso sia questione di buona volontà, di essere adulti ecc.
Penso sia – ingenuamente forse – solo questione di METODO.
Da anni torno su questo.
Ma il metodo di lavoro è una STRUTTURA, cioè è il contenuto di un gruppo. Come un gruppo discute, comunica, prende le decisioni: è questo che caratterizza il gruppo…
Il salto che il gruppo deve affrontare mi sembra un salto metodologico (se non si riesce a farlo, si scade nel moralismo più bieco)”.
2. L’altro dono grande è la nostra rivista.
Don Sirio ha lanciato la proposta due anni prima di morire.
Don Cesare ha curato la sua nascita e la sua crescita con una passione materna. È lui a dirlo:
“È come se un SOGNO/DESIDERIO si stia realizzando.
E perciò è un momento in cui i sentimenti sono ALTERNANTI:
* c’è la gioia, la speranza, la meraviglia
* ma c’è anche il timore che la realizzazione sia minore del sogno/desiderio, c’è la sofferenza della diminuzione.
È come un bimbo che nasce. Quando lo si vede occorre adattare l’immagine, occorre guardarlo bene e cominciare ad appassionarci alla sua crescita.”
2) DON SIRIO POLITI E DON BEPPE SOCCI
2018… anno di anniversari alla Chiesetta del Porto, a Viareggio. Essi misurano la distanza temporale che ci separa da amici, compagni di vita con i quali abbiamo intrecciato sogni, scelte pagate di persona, lotte dettate da una coscienza vigile e solidale.
Trenta anni sono passati da quando una folla, con padre Turoldo in testa, ha accompagnato il funerale di Sirio Politi (1920 – 1988) fino all’ultimo saluto nel grande mercato del pesce sull’avamporto di fronte al mare.
E venti anni ormai ci separano da quando una folla ancora più grande accompagnò poco lontano, al palasport, Beppino Socci (1939 – 1998), stroncato da un infarto.
La memoria, qui in città, è ancora viva. Non poche volte sono invitato nelle scuole o bussano alla porta della Chiesetta classi di giovanissimi ai quali racconto l’avventura del cuore di due uomini che non si sono mai arresi all’omologazione e hanno coltivato la fantasia, fino al limite della “pazzia”.
2a) Sirio, uomo di frontiera
Quante volte, nella sua vita, Sirio si è trovato di fronte al rifiuto, al giudizio di inutilità, di tempo e forze buttate al vento, alla tentazione dell’indifferenza…
La sua risposta è tutta nella sua stessa vita. In quell “uomo nuovo” che periodicamente nasceva e rinasceva, grazie al suo raro dono di integrare fra loro gli opposti: spirito e materia, uomo e donna, persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia.
Di qui il suo essere infaticabile uomo di frontiera, capace di ripartire dopo ogni tappa ad esplorare nuovi orizzonti, l’ultimo dei quali lo ha condotto al grande viaggio verso il mondo dell’al di là.
(cfr. Maria Grazia Galimberti, Biografia di don Sirio Politi, www.lottacomeamore.it)
Vi raccomando fantasia
“Una volta, ma sono pochi anni in fondo – scriveva agli inizi degli anni ’80 in una lettera aperta agli amici intitolata ‘Vi raccomando fantasia’ – una volta, situazioni difficili, momenti di difficoltà, si chiamavano col dolcissimo nome di crisi, una musica di speranza e di poesia come un uccello che canta solitario sul ramo dell’albero o sui tegoli del tetto. Ora è il niente, il vuoto, l’irrimediabile, la fine. Chiuso per lutto.
Pessimismo? Sarebbe sempre una gran cosa. È molto peggio, perché è assenza di volontà di lotta. È passività, resa senza condizioni.
Queste riflessioni puoi, caro amico, giudicarle racconto eccessivo, ma tu sai che ogni affermazione potrebbe essere comprovata da citazioni di cronaca quotidiana.
Verrebbe da pensare che alla base di tanta violenza nel mondo di oggi ci sia la ricerca di soluzione nel non parlare più, nemmeno con se stesso, se non attraverso l’evasione, lo sfuggirsi e il distruggersi o comunicare con gli altri, con l’esistenza, non parlando ma sparando. Non si vede come sia possibile sorprendersi che le parole, in questo nostro tempo, siano diventate droga o proiettili. Quando l’uso comune della parola, sia pure metaforicamente, ma fino ad un certo punto, è per drogare e sopraffare il prossimo, è per la menzogna e lo sfruttamento e l’oppressione”.
E qui Sirio rovescia lo schema che vede nei grandi numeri l’assommarsi delle singole vicende e guarda – al contrario – la singola vicenda conflittuale come proiezione dello scontro planetario. Certo, lui lo colloca nella cornice dei due imperialismi USA e URSS degli anni ’80 del secolo scorso, ma quanto lontano siamo ancora oggi nella guerra tutta interna al capitalismo?
“D’altra parte la conflittualità spicciola e la violenza quotidiana, non è possibile giudicarla se non come normalità di rapporti, quando è realtà storica mondiale.
La pace e la sopravvivenza del mondo riposa nell’armamento nucleare e sull’equilibrio degli interessi dei due imperialismi. Questa realtà di conflitto sbriciola, psicologicamente e concretamente, la spaventosa ostilità fino alla rivoltella nelle tasche della gente e nella diffidenza tra persona e persona. Perché mai, come forse nel nostro tempo, è successo che l’universale costruisca il particolare, e ciò che avviene fra due persone sia segno, immagine e realtà di quello che avviene a livelli mondiali. Anche quando ci sembra di no o cerchiamo che non succeda, siamo immagine e somiglianza di questo mondo”.
E qui, ancora una volta, Sirio ci invita a cercare la strada là dove non è segnata: sognandola, cercandola e costruendovi sopra la propria casa in continuo nomadismo dello spirito.
“So bene che cercare la propria identità, è fare opera di autentica stranezza, come tentare di volare agitando le braccia. Pensare di averla trovata e crederci e costruirvi sopra la propria casa, è roba da pazzi. Ma ormai il bivio, il crocevia della storia, non permette altre soluzioni. O la pazzia della creatività. ricercata dal profondo della propria immaginazione e rafforzata da un coraggio inesauribile (va bene anche il coraggio che non si ha) o la strada asfaltata, l’autostrada della razionalità, dell’allineamento, dell’andare avanti a corpo morto portato verso il gran mare dal fiume del nostro tempo. Penso che la passività sia il più grosso peccato contro se stessi e pesante responsabilità verso gli altri, verso la storia”.
Il contrario della passività non è opera riservata esclusivamente alla creatura umana, ma è presente in potenza là dove c’è vita. All’uomo la responsabilità della coscienza della continuità sempre attuale dell’opera della creazione, chiosa infine Sirio:
“La creatività è il riconoscersi creature di Dio e accettare e dare respiro a quella presenza di volontà creativa che Dio ha nascosto in ciascun essere vivente. In noi esseri umani la particolarità è la coscienza di questa potenza creativa e l’invito al suo perfezionamento: la vita ci è stata donata per essere creata da ciascuno di noi.”
E infine, lasciamoci accarezzare ancora una volta dal suo affetto e dai suoi occhi sorridenti che ci invitano a lasciarci andare alla vita, all’Amore come alla Lotta:
“Cari amici, pensieri di fine d’anno. Ma non sono di stanchezza e tanto meno di paura: forse esprimono uno stato d’animo di trepidazione per le sorti del mondo, per la possibilità ormai nelle mani di uomini della cancellazione del futuro, per un cambiamento di rotta storica che costi prezzi spaventosi, per un intristimento, ancora più banalizzato, disumanizzato, del vivere quotidiano.
So bene che la nostra, la mia proposta è goccia d’acqua nel deserto di sabbia o è tentare di prosciugare l’oceano col cavo della mano: ma che sia proposta di chi vive ormai da molti anni può essere riprova e argomento, che è valore capace di reggere anche sulla distanza…
Con gli auguri di ogni bene.
don Sirio”.
(Sirio Politi, Vi raccomando fantasia / in Lotta come Amore, gennaio 1980 – www.lottacomeamore.it)
2b) Beppino, una vita dedicata ai deboli
La sua vita dedicata ai deboli, il modo caldo di fare, le tante esperienze che ha intrecciato, hanno fatto di don Beppe Socci un punto di incontro fra persone di diversa generazione e provenienza sociale. Una persona che i viareggini hanno amato in maniera speciale.
Il denominatore comune delle esperienze da lui vissute è stato l’ostinato non arrendersi di fronte alle ingiustizie, la mano sempre tesa a chi era sopraffatto dalle difficoltà del vivere.
(cfr. Maria Grazia Galimberti, Biografia di don Beppe Socci, www.lottacomeamore.it)
Il castagno di Camaldoli. È il penultimo scritto di Beppe.
Sono anni ormai che passa le giornate nella botteguccia di una via periferica delle darsene viareggine intrecciando fili di paglia di erbe palustri per ricostruire sedie che gli arrivano ormai da tutte le parti. E se le sue mani corrono veloci, ancora di più il suo cuore si apre ad intrecciare persone così diverse tra loro, a mescolare bisogni e generosità non attraverso il denaro, ma la reciproca vicinanza e il baratto delle rispettive capacità. Quel cuore, dilatato all’inverosimile, che un anno dopo si sarebbe fermato, schiantato da fatica di amore. Non aveva ancora sessanta anni e la prima parte del suo scritto ha la diligente attenzione dello scolaretto che si gode un paio di giorni di riposo, nel monastero di Camaldoli in Toscana in occasione del seminario dei preti operai italiani “Economia globale e giustizia sulla terra: sfida del 3° millennio”.
Roberto Fiorini apre l’editoriale di Pretioperai n.40-41 (Aprile 1998) proprio con lo stesso scritto di Beppe che, a suo parere, “rappresenta bene la capacità tutta sua di soffermarsi sull’episodico, sul quotidiano, con uno sguardo disteso ed un respiro ampio, tanto da renderli trasparenti a dimensioni mondiali come quando il bambino accosta all’orecchio la conchiglia per sentire l’eco della profondità del mare”.
“Abbiamo cercato di scrutare – scrive Beppe – la condizione globale del mondo stando chiusi dentro un’ampia sala, quasi affondati in grandi seggioloni, tutti presi dai relatori che abilmente ci hanno guidato con riflessioni molto stimolanti…
…Abbiamo puntato il cannocchiale sul drammatico problema dell’esclusione di miliardi di uomini e donne dal “processo produttivo”, in forza di un principio che sembra fondare in modo indiscutibile il movimento economico dei paesi ricchi: il profitto deve essere spinto al massimo, la ricchezza deve produrre sempre più ricchezza, a qualunque costo. Fosse anche la fame e l’impoverimento di milioni di esseri umani.
Oggi, si è detto (e i dati lo confermano) è possibile in tempo reale spostare interi capitali da un posto all’altro sulla terra, incidendo in modo diretto sulla condizione materiale della gente e – udite, udite – sulla stessa “condizione di vita” della terra (l’ecosistema è stato attaccato con una violenza mai vista prima).
Cosa fare per resistere a tutto questo? Che senso nuovo ed autentico possiamo dare a parole antiche come Giustizia, Amore, Fratellanza, Etica, Povertà, Mistica?”.
E qui il bambino accosta all’orecchio la conchiglia per sentire l’eco della profondità del mare…
“Con tutti questi pensieri nell’anima mi sono addentrato nello splendido bosco che sovrasta il monastero e mi sono trovato ai piedi di un castagno davvero speciale. La gloriosa pianta (si pensa che abbia dai 300 ai 500 anni) ha vicino una scritta che la forestale vi ha messo: <Tutta la parte interna del tronco completamente vuoto ha solo funzione meccanica e di sostegno. La parte viva e vitale che permette la circolazione della linfa è solo quella periferica del fusto. Per questo la pianta può continuare a vivere.
Mi è parso che il mio “ultimo relatore” in un incontro non programmato mi abbia voluto dare una magnifica lezione di speranza.
Può darsi che volesse aiutarmi a volgere con più attenzione lo sguardo alla “periferia del mondo”… Forse il suo era un invito a non temere lo “svuotamento” da tutto ciò che è superfluo, che non conta, che si può anche perdere, anzi, che è meglio perdere… Chissà!
Stando all’interno del suo tronco, interamente avvolto dalla straordinaria capacità di accoglienza del suo “vuoto”, mi è sembrato di capire che la sua muta, ma eloquente lezione era un grande inno alla vita”.
don Beppe
(in Lotta come Amore, giugno 1997 – www.lottacomeamore.it).
Nella memoria viva di fratelli e sorelle continueremo a raccontarci parabole di vita, ancora una volta all’iniziar di giugno di questo anno 2018, perché la speranza sia creduta.