Frammenti di vita


 

La vecchia è seduta nell’androne, lo sguardo perso nel vuoto, mentre le labbra si muovono impercettibilmente. Intorno, un cortile con fiori disposti disordinatamente, biciclette accatastate, panni distesi ad asciugare.
Da fuori giungono i rumori della strada: macchine che accelerano e decelerano, portiere che sbattono, campanelli di biciclette, passi, rumori indefinibili.
Quando sente il primo scatto della serratura del portone, restringe l’angolo di visione e mette a fuoco la parte della porta vicina alla serratura e, con impazienza unita a desiderio, aspetta di dar corpo a quel rumore, finalmente, tanto vicino. Ma non vuole presentarsi così bisognosa e allora volge lo sguardo verso il cortile concentrandosi sui fiori che stanno perdendo alcuni petali. Con la coda dell’occhio vede un’ombra entrare, passa lo sguardo dai fiori alle mani e risponde con noncuranza al cenno di saluto. Desidera parlare, ma, nello stesso tempo, ha un pudore rabbioso di questa necessità, vuole attribuire a qualcuno la colpa della sua solitudine. La rabbia è per i figli che la vanno a trovare con troppa metodicità, la voglia di qualcosa di diverso la mette fuori gioco. Vorrebbe qualche novità, due o tre giorni di solitudine assoluta poi una sorpresa, una giornata in campagna, qualcuno che si autoinvita a mangiare, un’amica che viene a passare la notte con lei. Questo misto di rabbia e pudore non risparmia neanche i vicini perché troppo giovani o insopportabilmente formali e prevedibili nei loro approcci. Blocca questo mulinio di perisieri perché l’ombra sta completando la prima rampa di scale. Si alza, chiama, per dare più credibilità alla sua invocazione, si mette a piangere. Inutilmente, perché la porta dell’appartamento del primo piano si è già chiusa. Appoggiandosi al muro si avvicina al portone, lo apre lentamente e, come il vecchio tergicristallo di una macchina, gira lo sguardo. Tutto appare sfocato e qualcuno, vedendo quella testa ciondolare, si ferma per chiedere se serve qualcosa. Senza rispondere rientra, va direttamente nel suo appartamento, si siede vicino al tavolo, vi posa le dita per vedere se c’è polvere, si alza, si avvicina alla porta del bagno e poi ritorna indietro. Si siede, si rialza per aprire il frigorifero. Sta controllando il contenuto dei vari comparti quando sente delle voci provenire dal corridoio. Lascia aperto il congelatore e si avvia velocemente. Appena mette la testa fuori vede il portone che si richiude.
S’incammina lungo l’androne e va a occupare la sedia posta alla fine del corridoio: da là riesce a dominare il mondo all’interno del quale è rinchiusa.
Passa in rassegna le biciclette, le cassette delle lettere e, come in un caleidoscopio, a ogni oggetto corrispondono situazioni diverse della sua vita: il marito che torna a casa sulla Legnano con il giornale sottobraccio ed un pacchetto di caramelle che si spargono sul pavimento perché, inevitabilmente, urtano contro lo stipite della porta; i bambini, accovacciati per terra, che scartano le caramelle, se le rubano piangendo e facendosi dispetti; lei, disperata, davanti alla bara del marito che viene portata dai figli. Il pensiero del marito aumenta la sua solitudine, ma, nello stesso tempo, acuisce il suo profondo attaccamento alla vita. Non è nella fiduciosa attesa della fine: spera ancora, si augura, che la fastidiosa tosse che l’assilla passi, che il respiro ritorni a defluire come cinque sei o, forse, venti anni prima.
Accerchiata, da questi pensieri sente provenire un saluto, ritorna immediatamente alla realtà e non guardando neanche la giovane vicina, scoppia a piangere. Dice di stare male, di avere qualcosa “sullo stomaco” che le blocca il respiro, di non riuscire più a mangiare, di fare fatica a bere anche solo un bicchiere di acqua. Non perde di vista la sua interlocutrice e seziona ogni minima reazione del viso per vedere qual è l’effetto che riesce a ottenere. Esterina sa bene che se avesse risposto immediatamente al saluto si sarebbe ritrovata subito sola, sa anche che un lamento “normale” verrebbe liquidato con frasi di circostanza: la comunicazione può essere attivata solo col pianto. Tuttavia, anche la vicina conosce l’intento della vecchia e non risponde consequenzialmente, ma si limita a fare constatazioni sul caldo umido, sulla possibilità di un temporale… Tuttavia, a un certo punto, pur conoscendo Esterina, non si raccapezza più e la guarda muta e perplessa. La vecchia comprende immediatamente, smette di piangere ed elargendole un largo sorriso l’abbraccia e la bacia. La giovane donna, tranquillizzata, comincia a raccontarle del suo ultimo viaggio; la vecchia ascolta e ricorda la sua giovinezza… il marito comunista, i padroni di casa fascisti… Esterina riesce a costruire una comunicazione a piramide rovesciata: in pratica, qualcosa che nasce da una base ristretta e poi si allarga sempre di più. La vicina si trova, pur senza volerlo, all’interno di una trappola dalla quale è molto difficile districarsi. Gli argomenti di conversazione risultavano incontrollabili e chiuderne uno significa aprirne un altro con buone possibilità di ritornare sul precedente. La vecchia domina il campo e guarda soddisfatta la sua interlocutrice. Il momento sembra senza fine, ma, a un certo punto, si odono dei passi che scendono dalle scale e, contemporaneamente, la chiave che gira nella toppa del portone.
Esterina vorrebbe sprangare il portone e rendere impraticabili le scale con un estemporaneo “Lavori in corso”. È consapevole che le nuove presenze libereranno il “ragno” dalla trappola. La giovane donna si gira per vedere i nuovi arrivati, risponde al saluto dell’amica appena entrata e si avvia sulle scale ripetendo, a bassa voce, che è tardi e deve andare. Ancora una volta il portone si richiude, le voci si allontanano e la vecchia rimane sola. Si siede sulla sedia e si assopisce.
Riapre gli occhi quando una raffica di vento fa cadere un vaso. Tenta di alzarsi, ma non riesce a muoversi, vuole chiedere aiuto, ma il vento le rovescia addosso i suoi lamenti. Si calma e comincia ad apprezzare tutti quei rumori: i vasi di fiori che si rompono, le finestre che sbattono, le voci dei vicini che, trasportate dal vento, si avvicinano e si allontanano come gomme americane. Poi, improvvisamente, il vento cessa, le finestre sul cortile si riaprono ed una voce femminile dice qualcosa sui vasi di fiori rotti e le immondizie arrivate chissà da dove. La vecchia si alza e, appoggiandosi al muro, rientra nel suo appartamento incurante della piccola folla che si è radunata nel cortile. Appena entrata si accorge che dal frigorifero, lasciato aperto, scendono alcune gocce che formano una piccola chiazza sul pavimento. Zompetta in bagno, prende un secchio d’acqua e bagna qua e là il pavimento. Per rendere più veritiera la messa in scena apre le finestre e silenziosamente rovescia alcune suppellettili, poi, gonfiando spasmodicamente il collo, richiama l’attenzione dei vicini che arrivano e prendono in mano la situazione. C’è chi chiude la porta del frigo, chi si occupa delle finestre e chi asciuga il pavimento. Esterina, intanto, parla del tempo, di quella volta che la grandine aveva rotto tutti i vetri, ma nessuno l’ascolta.
I vicini sono usciti e la vecchia rimane ancora sola, seduta sulla sedia in mezzo alla stanza. La luce che entra dalle finestre le dà fastidio, si alza, chiude le imposte. Quando l’ultimo raggio di sole entra nella stanza, sulla parete bianca della cucina appaiono, rovesciate e sfocate, macchine, biciclette, persone che camminano…

Giuseppe Callegari


 

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