Chiesa ed evangelizzazione
L’8 dicembre 1973 quattro preti della diocesi di Verona, Luigi, Corrado, Sergio e Piergiorgio si sono stabiliti a S. Giovanni Lupatoto per un’esperienza di vita comunitaria e di lavoro. Il paese si trova alla periferia della città e vanta una tradizione industriale risalente all’inizio del secolo. La possibilità di lavoro ha richiamato, negli anni sessanta e settanta, parecchie famiglie dalla montagna e dalla pianura, per cui il paese è cresciuto a dismisura con la conseguente rottura del tessuto socioculturale e solidaristico. Il disagio è espresso soprattutto dal mondo giovanile con un alto consumo e spaccio di droga. La presenza di Chiesa è di tipo tradizionale, ferma all’amministrazione del sacro.
La nostra vita è cominciata con cose molto semplici, il lavoro per ristrutturare una vecchia casa, le faccende domestiche; l’accoglienza dei profughi cileni e poi di alcuni ragazzi in difficoltà: fatti che ci hanno fatto incontrare parecchie persone militanti nella politica o nel sindacato; e da ultimo la quotidianità di un lavoro stabile. Ci è stata data una chiesetta, ‘la Madonnina’ dove celebriamo due messe domenicali, ma non svolgiamo nessun altro ministero.
Intorno alla celebrazione e allo studio del Vangelo del giovedì è sorta una comunità cristiana di base che ha per centro la ricerca religiosa, anche se poi ci siamo presi vari impegni.
La comunità è diventata anche uno spazio di incontro con realtà del Sud del mondo attraverso l’accoglienza di stranieri e la visita di amici della comunità. Non si tratta solo di uno scambio di esperienze, di speranze. Spesso giunge a noi un annuncio evangelico che ci sorprende.
Domenica 18 giugno sono tra noi:
– Anna: donna salvadoregna che si occupa dei profughi del suo paese. Durante la celebrazione porta la testimonianza della sofferenza della sua gente, della resistenza e della forza del popolo. Presenta anche una lucida analisi della situazione, dove pochi privilegiati tengono alla fame e nel terrore la massa dei poveri con la complicità del potere politico sostenuto dagli Stati Uniti.
– Battista: presenta la situazione disastrosa della Guinea-Bissau uscita dal colonialismo portoghese dopo anni di guerra di liberazione. Comunica la speranza dei giovani studenti di Bissau che lavorano in una cooperativa per potersi mantenere.
Dopo la Messa seguono due gruppi di approfondimento.
Domenica 25 giugno è la volta di un’altra testimonianza.
Claudia e Quique sono giovani coniugi argentini che hanno aperto una casa per accogliere i “niños de rua” i ragazzi della strada che sono molto numerosi ed abbandonati. Erano stati da noi alcuni mesi prima e la comunità, assieme ad altri gruppi, si era impegnata economicamente per dare continuità a questa iniziativa. La somma raccolta doveva bastare per tutto l’anno ed anche per iniziare una terza casa di accoglienza. Senonché le lettere successive ci mettevano al corrente della situazione di crisi economica dell’Argentina, confermata dalle notizie di rivolte e saccheggi da parte dei poveri. Di fronte a questo, Claudia e Quique si sono trovati spiazzati, tanto che il denaro trovato non poteva bastare per terminare l’anno. Hanno poi trovato altri amici che si occupano di bambini come loro, ma meno fortunati in quanto non ricevono sovvenzioni esterne; hanno deciso di dividere con loro il denaro che rimaneva.
A noi è sembrato che in questo gesto ci fosse un annuncio evangelico. I poveri danno la lieta notizia ad altri poveri. La radice della speranza non è posta nei pochi soldi da gestire con parsimonia, data la situazione economica, ma nella fiducia e nella condivisione dei beni.
Abbiamo deciso di presentare la lettera di Claudia durante la liturgia, ma per comprendere appieno il gesto pensavamo di dover richiamare alla gente il contesto in cui si trova l’Argentina. Franco ha presentata la situazione di questa nazione: il golpe militare, i desaparecidos, le donne di Plaça de Majo, il cambio di guardia al governo e le poche speranze dei poveri e del ceto medio stretti dalla speculazione di chi detiene il potere economico. Luigi ci ha presentato la lettera di Claudia ed il sottoscritto ha cercato di puntualizzare l’annuncio.
Risultato: alcune persone, adulti e giovani, sono uscite vistosamente dalla chiesa. Ma anche nella comunità alcuni si sono mostrati sconcertati, non per l’annuncio, ma per aver dato ampio spazio all’analisi sociopolitica sullo stile delle testimonianze della domenica precedente.
A questo punto abbiamo pensato di invitare la gente a fermarsi dopo la messa la domenica 2 luglio per una breve assemblea sul tema: “è giusto in una liturgia dare spazio all’analisi sociopolitica per porre i fatti nel loro contesto e poter cogliere l’annuncio evangelico?”
L’assemblea andò quasi deserta; rimasero le persone della comunità e pochissimi altri. Ci siamo però sentiti in obbligo di presentare un resoconto al termine della liturgia della domenica 16 luglio in questi termini:
“Abbiamo preso seriamente le difficoltà che alcuni hanno manifestato alle messe delle domeniche 18 e 25 giugno, promuovendo un’assemblea di revisione. Presentiamo i punti in maniera sintetica.
1) La messa delle 10 non è solo messa di orario, ma è anche uno spazio di libertà, di ricordo, di preghiera, di comunicazione spirituale. Vi confluisce il contributo dello studio del Vangelo del giovedì ed anche lo stimolo dei fatti che stiamo vivendo in Italia e nel mondo.
Il centro è la memoria della vita, passione e morte-resurrezione del Cristo, ma a cui è unita la storia personale e collettiva. È annuncio della Parola, ma per noi oggi, e l’oggi è anche sociopolitico. È lode nella contemplazione delle opere di Dio che opera anche nei nostri tempi. È invito alla conversione, accogliendo le mozioni dello Spirito Santo.
2) Perché la preghiera sia radicata nella vita sentiamo giusto che nelle celebrazioni ci siano degli “spunti” di analisi o richiami sociopolitici (non le conferenze o gli approfondimenti, che vanno posti altrove). La Parola è sempre radicata in un contesto storico; e noi scomodiamo dei biblisti, anche da Roma, per capire il senso del messaggio nelle situazioni in cui è sorto.
3) Riconosciamo che un annuncio evangelico è sempre difficile perché ognuno ha le sue precomprensioni e le realtà sono cariche di ambiguità. Solo un continuo discernimento personale e comunitario, frutto dello Spirito, può portarci a cogliere l’annuncio di salvezza. Anche Cristo per i suoi contemporanei era ambiguo ed accusato di essere eretico. Solo ai piccoli è stato svelato il segreto del Regno e per questo sono stati dichiarati beati. Una delle strade è quella di mettersi in ascolto dei poveri.
4) Ci dobbiamo grande rispetto gli uni gli altri, accogliendo anche chi fatica a camminare su questa strada. Allora ci siamo impegnati: a non fare colpi di mano, ad avvisare la domenica precedente sulla qualità della liturgia successiva, o presentare, magari con un foglio, le analisi delle situazioni con spazi di confronto sia al giovedì come alla domenica fuori della messa”.
Concludendo: abbiamo sentito tutta la fragilità, la povertà delle nostre parole; la violenza che possiamo fare alle persone. Il conflitto, non drammatizzato, però ci porta a recuperarci, a verificarci ed anche a purificare l’annuncio evangelico dalle ambiguità cercando, con fantasia, strade di comunicazione.