Don Borghi e don Milani (1)


 

Raccontano che don Milani diceva di avere soggezione di una sola persona: don Borghi.
Dalla biografia del priore di Barbiana scritta da Neera Fallaci abbiamo selezionato alcune pagine che ci presentano momenti della loro vita nei quali li vediamo insieme. Naturalmente ciascuno a modo suo. In proposito è istruttivo un passo che troviamo nella “Lettera a una Professoressa”. Raccontano i ragazzi di Barbiana e don Milani: «È venuto a trovarci don Borghi. Ci ha fatto questa critica: ‘A voi pare importante che i ragazzi vadano a scuola… È una scuola migliore l’officina’».

FAME IN SEMINARIO

«C’era tanta fame fuori ma, forse, per noi seminaristi la cosa era più grave perché non c’era modo di arrangiarsi. La situazione era insostenibile per quelli che non ricevevano pacchi da casa, in quanto la famiglia abitava lontano o per altri motivi». Per fortuna di un gruppetto almeno di seminaristi, a un certo momento arrivò Lorenzo Milani. E, con Lorenzo Milani, valige settimanali piene di cibarie dalla fattoria di Gigliola («Ricordo un certo pane speciale…», dice don Corsinovi). C’erano dei seminaristi che aspettavano l’arrivo della valigia alla finestra come Giulietta aspettava Romeo.
«Si faceva la fame in modo pietoso», ribadisce don Giubbolini. «La mattina ci mettevano sulla tavola, accanto alla ciotola, un pezzo di pane: era la razione e doveva bastare tutto il giorno. Spariva a colazione. La fame ci spingeva fino alle Cascine o verso Fiesole per cercare un po’ d’erba, che si tritava e si mangiava condita con l’aceto. Aceto e basta, non c’era né olio né sale. Lorenzo Milani aveva la possibilità di ricevere molta roba dalla famiglia. Naturalmente il suo senso morale non gli permetteva di mangiare da solo. Per non offenderci, cominciò a introdurre il discorso: “Ma perché non mettiamo insieme le cose che abbiamo?” Nacque così quella che, nella nostra camerata, fu definita “la cooperativa”.
«Cercarono di farla anche in altre camerate, ma con scarso successo: la fame era fame, e c’era chi approfittava e chi rimaneva senza… Noi tenevamo tutto in una camera vuota. Chi non riceveva pacchi da casa ma aveva un po’ di soldi, poteva comprare della frutta o quel che trovava. Devo dire che, da quando ci si organizzò, non mi successe più di patire la fame come prima. Se lo stomaco reclamava, si andava nella nostra dispensa: si affrittellava un uovo o si mangiava un pezzo di pane condito con un po’ d’olio… A volte venivano amici di altre camerate. Uno era Bruno Borghi, già allora un tipo assai in gamba e scanzonato. Entrava nella stanza della cooperativa, mangiava, e andava via. Poi diventò molto amico di Milani. Ma ci volle del tempo: le forti personalità hanno sempre momenti di durezza da superare».

Neera Fallaci

(Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani, Milano libri Edizioni 1974, pag.90-91).


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