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Teologia della lotta
«C’è un processo di liberazione in corso nel nostro paese in cui sono coinvolti dei cristiani e da questo processo cominciano a emergere riflessioni di fede. Per essere più preciso, sarei propenso a descrivere quello che sta avvenendo come una lotta verso la liberazione. Le riflessioni di fede che sono venute fuori potrebbero probabilmente diventare la base per una “teologia della lotta”. In ogni modo non è stato per il momento scritto molto in maniera sistematica» (Louis Hechanova, CSsR)
Se volete sapere qualcosa sulla teologia della lotta, la teologia indigena che sta emergendo nelle Filippine, non cercatelo nei libri, perché non ne esistono, né è probabile che ne venga scritto uno nel giro di poco tempo. Mentre l’America Latina ha pubblicato centinaia di testi sulla teologia della liberazione, i filippini non hanno scritto molto sull’argomento. Uno dei motivi principali sta nella diversità del “linguaggio teologico”: noi veniamo da una tradizione orale.
Diversamente dall’America Latina la nostra storia coloniale ha reso difficile la comunicazione. Per esempio, in che lingua dovrebbero esprimersi i nostri teologi? Inoltre molti di quelli che dovrebbero scrivere delle riflessioni teologiche sono impegnati a tempo pieno in due o tre attività per la difesa dei diritti umani, per la coscientizzazione e l’organizzazione di vari settori e programmi di sviluppo. Non hanno semplicemente il tempo di mettersi a scrivere.
Per fortuna questa teologia nuova è stata comunicata attraverso un altro linguaggio, non diverso da quello usato dagli israeliti prima che venisse scritta la Bibbia. Allora come adesso, la teologia della lotta usa forme letterarie: canti, poesie, racconti, lettere, commedie, come pure murales, dipinti, illustrazioni, mimi, movimenti del corpo, danza e simboli. Ecco la ragione per cui si deve guardare ai fatti culturali e alla liturgia se si vuoI capire la teologia della lotta.
Elementi della teologia della lotta
Di che cosa tratta questa teologia della lotta? Quali ne sono gli elementi? In che senso differisce dalle teologie dell’America Latina, dell’Africa e di altre nazioni e popoli oppressi? Cosa c’è di tipicamente filippino?
Forse non è facile rispondere a tutte queste domande. Forse non è neppure possibile per il momento rispondere a tutto. La teologia della lotta è un uccello giovane che lotta per verificare la forza delle sue ali, è un seme appena germinato. Poiché questa teologia è nella sua infanzia, si può solo prevederne le direzioni. Mentre celebra la lotta della gente per la liberazione, essa lotta anche per la propria identità.
C’è comunque un certo materiale – per la maggior parte culturale, liturgico – che può mettere in luce gli elementi distintivi della teologia della lotta. Che si tratti di feste, compleanni, funerali, raduni, partite di basket, quando la gente si ritrova per qualche motivo, ci sono canti o lamenti, pugni chiusi e bandiere multicolori.
L’ottica dei cristiani più coscientizzati è evidente nei simboli che ravvivano queste celebrazioni. I significati che essi comunicano vanno al di là della lingua, della fede, della cultura e dell’ideologia. Occorre solo essere attenti alle vibrazioni dell’animo per capire che teologia viene trasmessa.
«Le nostre celebrazioni si radicano
in momenti vissuti,
una realtà colta in punti particolari
nel mezzo della nostra attuale
sofferenza e lotta.
Ma non tutto è espressione spontanea e simultanea.
Più tardi, in tempi immediati e lontani,
noi e i nostri progenitori ricollocheremo,
ripenseremo e rivaluteremo
tutte queste esperienze comunitarie
in forme così avvincenti
che esse significheranno molto più di quanto
avessimo capito prima.
Allora anche i nostri figli capiranno
e saranno grati.
Noi catturiamo la gioia, la bellezza
e il crescere di ogni momento vissuto,
noi trasformiamo fatti storici in eventi carichi di senso,
creiamo e coltiviamo
le esperienze storiche del nostro popolo»
Kalinangan (Cultura), Editoriale, Dicembre 1984.
Forse il documento specifico più importante sulla teologia della lotta è stato quello preparato da Carlo Abesamis SJ per la Conferenza Teologica dell’Asia del 1979. Prima della Conferenza egli preparò un lavoro che portò alla pubblicazione di Riflessioni di fede e di vita dalla base, il primo tentativo serio di spiegare quale teologia era significativa per i filippini. Tale processo ha coinvolto contadini e operai, e anche religiosi e laici che lavoravano fra la gente come organizzatori di comunità e coscientizzatori. La sintesi di quanto veniva condiviso ha portato a individuare delle componenti essenziali nella riflessione teologica.
Da allora ci sono stati importanti sviluppi nella società filippina e nella vita dei cristiani filippini impegnati. Così sono affiorate nuove componenti della teologia della lotta. Questo articolo descrive gli elementi indicati da Abesamis e da altri scrittori.
Realtà storiche e strutturali
I contadini del nostro paese
per la maggior parte affrontano difficoltà,
non posseggono
la terra che lavorano.
Bramano la giustizia
sperano di conseguire i loro sogni.
Signore, abbi pietà di noi.
Gli operai producono la ricchezza del paese
loro, che hanno subito trattamenti brutali;
la vita degli oppressi non è facile;
quando entrano in sciopero,
molti vengono uccisi;
le paghe sono ingiuste,
ogni giorno essi soffrono.
Signore, guidaci.
L’uccello vola sul villaggio
la sua ombra attraversa la risaia
l’uccello vede le capanne
fatte di nipa e di bambù
ma nessuno lo vede volare;
perché non ci sono più persone nel villaggio.
Non c’è nessuno
per raccogliere le offerte della terra.
Signore, liberaci.
(da una miscellanea di canti composti da Melchor Morante, Rody de Vera e Joey Ayala).
La teologia può avere un suo ruolo nella vita dei poveri se si inserisce nel contesto della vita e nella storia del popolo. Questa è la prima componente importante della teologia della lotta.
La povertà e l’oppressione del nostro popolo, risultante di schiavitù storica e di strutture ingiuste contemporanee, è la matrice che ha portato alla nascita della teologia della lotta. Questo è il teatro in cui han luogo le celebrazioni di dolore e di lotta della gente. È il quadro in cui si inseriscono i loro lamenti, la rabbia e l’impeto che nascono dalla presa di coscienza di essere stati privati della propria umanità e dal tentativo di recuperare la propria dignità.
Una celebrazione liturgica diffusa, spesso tenuta nella strada più che nelle chiese, è il “koreo” , una produzione liturgico-culturale di canti, mimica, letture e danze. Il koreo parte sempre dalla condizione del popolo. In qualche caso offre un quadro della situazione con precisazioni storiche, altre volte può porre l’accento su un problema specifico (per esempio le basi militari USA, la militarizzazione).
La forza del koreo sta nell’urgenza di esprimere risentimento per l’oppressione del popolo. Stando così le cose, esso offre una teologia significativa per la vita dei credenti.
Il punto focale principale – il “materiale grezzo” della teologia e della riflessione teologica – anziché essere verità dottrinali che si cerca di organizzare in un sistema o testi biblici di verità che si cerca di applicare ad una data situazione umana – è invece storia contemporanea, delle Filippine, del Terzo Mondo, è la vita stessa.
Alla base di questo modo di guardare la teologia c’è la convinzione che la realtà e la storia concreta sono la fonte principale di ogni riflessione e conoscenza, anche teologica, e che la nostra coscienza, anche quella religiosa, è condizionata dalla stessa realtà e storia concreta… Il punto focale principale della nostra teologia è la situazione umana concreta nelle Filippine oggi, specialmente con le sue gravi realtà umane di povertà e oppressione, e la speranza e la lotta per la giustizia e la liberazione. (Carlos Abesamis SJ, Faith and Life Reflections from the Grassroots in the Plilippines, New York, Orbis Books, 1980, p. 126.)
Dato l’aggravarsi della povertà, l’aumento del debito estero, le gravi violazioni dei diritti umani e l’escalation di militarizzazione sotto il presidente Marcos, era inevitabile che la teologia della lotta affiorasse alla coscienza dei cristiani attivi nella lotta dei popoli a favore di una società giusta e umana.
L’insorgere dei ribelli poveri, spodestati e oppressi contro uno stato repressivo portò simultaneamente ad approfondire il loro rapporto col Signore della storia. Non avendo potere, essi cercavano le fonti che dessero loro potere e in tale ricerca riscoprirono Dio, il Dio-in-loro, il Dio-con-loro, il Dio che li avrebbe liberati. Gli eventi di Febbraio resero l’Esodo una creazione del popolo filippino che lotta nell’oggi storico.
In tale matrice la teologia della lotta ha senso per coloro che riconoscono la verità del peccato strutturale, senza voler negare il nostro stato personale di colpevolezza. Senza l’ottica che fa schierare con gli interessi dei poveri e degli oppressi, non si può assolutamente capire come sia nata la teologia della lotta. Per chi non è immerso nella disumanizzazione del popolo, la teologia della lotta non sarà altro che una serie di slogan usati dai comunisti che si sono infiltrati nella chiesa.
In questo senso la teologia della lotta è «piuttosto una prospettiva e un punto di osservazione nati da un nuovo modo di far teologia partendo dalla prassi e utilizzando strumenti più sociologici che filosofici» (Louis Hechanova CSsR, With Raging Hope, SPI Series, Vol. I, 1983, p. 13).
La necessità di strumenti di analisi sociale
«Perché il nostro è un paese così?
Perché il nostro popolo soffre in silenzio?
Perché udiamo lamenti
come se il popolo fosse privato della misericordia?
Perché ci troviamo in tale situazione?
Dove, dov’è la libertà?
La ricchezza è più importante del popolo?»
(da un canto di Nars Fernandez)
«Perché è giunta a tal punto la nostra situazione?
Qui, là, ovunque il popolo piange
si odono lamenti
perché coloro che producono la ricchezza della nazione
soffrono: noi, i lavoratori.
Ho solo una domanda da farti, amico:
da qui, dove stiamo andando?».
(dal tema del film «Sakada», lavoratori stagionali della canna da zucchero)
Questi canti riecheggiano una preoccupazione importante di quelli che han contribuito alla nascita della teologia della lotta. Fanno emergere la necessità di una seconda componente importante di questa teologia: una analisi seria e scientifica della storia e della vita contemporanea usando strumenti di analisi sociale.
I cristiani impegnati nella trasformazione sociale delle Filippine usano strumenti scientifici di analisi da più di un decennio. Uno dei più ampiamente usati è uno schema di analisi delle funzioni della società introdotto nel paese nel 1976 da P. François Houtart dell’Università di Lovanio. Come era da prevedere, gli uomini di chiesa immersi nella lotta tra vita e morte dei poveri trovarono immensamente utile un tale strumento. Gli elementi reazionari della chiesa comunque lo videro come uno strumento marxista destinato a sovvertire la fede della gente.
Malgrado le diffide di vari settori ecclesiastici, l’uso di questi strumenti si diffuse. Il vescovo Julio Labayen dice: «Il nostro lavoro per la giustizia esige che si sappia quel che tentiamo di fare in determinate situazioni concrete socio-politiche, storico-culturali. Ciò significa che dobbiamo usare le scienze sociali come strumento di lavoro» (Julio X. Labayen, To be the Church of the Poor, Manila, CFA Publications, 1986, p. 77).
Oggi dal Perù al Sud Africa e alla Corea del Sud, è comune l’uso delle scienze sociali nelle teologie che partono dall’ottica del cristiano impegnato del Terzo Mondo. La teologia della lotta non è diversa. È alimentata dallo scoprire le radici di situazioni di male che costringono il popolo a lottare per la liberazione.
Noi facciamo emergere le forze sociali nascoste che operano nella vita umana e nella società che, senza opportuna analisi, restano celate alla nostra coscienza quotidiana. Cominciamo a capire l’ordine sociale in cui viviamo, le strutture, le classi, i rapporti, le contraddizioni. Scopriamo le dinamiche oppressive che causano povertà e assenza di potere e le dinamiche dell’azione liberatrice per un cambiamento. Così, pur non ignorando gli elementi personali e psico-spirituali del nostro capire e del nostro vivere quotidiano, vediamo anche l’importanza di individuare le dinamiche sociali e socio-politiche nella vita della società e del nostro popolo…
Dall’analisi sociale emerge il fatto che il problema umano oggi è l’oppressione strutturale, e che diventa un imperativo la partecipazione alla trasformazione dell’ordine sociale. Una analisi seria impedisce che la storia salvifica di Dio, di cui parla la nostra fede, sia un‘affermazione banale pia e sicura; l’analisi sociale aiuta a darle un punto focale, un luogo e un nome all’interno della lotta e della storia dei poveri della terra (Carlos Abesamis, op. cit., p. 130).
Se prima le realtà sociali non si potevano discutere perché erano “troppo politiche” e perché non avevano alcun rapporto con la fede, gli strumenti d’analisi trasformarono queste realtà in una fonte di saggezza per molti. Non si può negare la forza d’urto dell’uso di questi strumenti su gruppi e istituzioni ecclesiali che per primi sostennero la necessità di un approccio scientifico agli sforzi per lo sviluppo. La spinta verso l’attuazione di programmi delle chiese nel lavoro in difesa dei diritti umani, le comunità cristiane di base, l’azione sociale, i programmi di giustizia e pace, le organizzazioni settoriali e la formazione di alleanze, tutto questo sorse come frutto di questa analisi. Una certa analisi deve esserci stata dietro il grido allora diffuso «Abbasso la dittatura USA – Marcos», uno slogan che riconosceva che la radice dei problemi della gente non era Marcos, ma Washington.
Riflette questi pensieri la poesia contemporanea scritta da gente di chiesa nazionalista.
«lo credo che Cristo è l’offerta di Dio al popolo
egli proclamò la verità per aprire gli occhi agli oppressi;
i potenti di allora lo temettero,
lo accusarono di essere un sovversivo
fu arrestato e torturato dai soldati,
su ordine di Pilato.
Io credo che il nostro paese – come Cristo –
è anch’esso crocifisso,
dagli egoisti proprietari terrieri
che siedono in trono come re,
anche se la terra è stata creata per tutti,
ché questa era la volontà del cielo;
il destino dei nostri contadini è di essere senza terra.
Credo che il nostro paese è crocifisso dagli stranieri
che vogliono mantenere il controllo
sulle nostre vite, ricchezze e nazione;
gli imperialisti che sono avidi
trattano la nostra gente come schiavi;
noi temiamo le basi militari
perché potrebbero portare distruzione.
Io credo che il nostro paese è crocifisso
da alcuni della nostra terra,
quelli che sono ricchi, che detengono il potere
essi sfruttano i loro fratelli filippini,
non hanno alcun rispetto per i diritti del popolo
non esiteranno a usare armi, esercito e ogni forma di forza.
lo credo che Cristo è risorto dai morti.
Questo avverrà anche per gli oppressi,
essi si solleveranno, sogneranno sogni.
Tutti combatteranno.
La lotta continuerà.
Nella loro lotta essi hanno un desiderio
che anch‘essi si uniscano a loro
nella conquista e nella fondazione del Regno».
(Canto di Melchor Morante)
In una cultura che dà primaria importanza a valori come “Utang-Naloob” (debito di gratitudine), non è stato facile far prendere coscienza dell’imperialismo alla nostra gente. I ricordi degli anziani sulla seconda guerra mondiale fanno da schermo ai problemi connessi con le basi militari USA, sostegno prolungato per un tiranno come il sig. Marcos.
È qui che la teologia della lotta ha un ruolo di coscientizzazione. Essa dà alla gente la capacità di guardare al di là del fatto personale per adottare una prospettiva strutturale. Ma questo non sarebbe stato possibile senza gli strumenti dell’analisi sociale.
«Guai a voi
che promulgate leggi oppressive
che fabbricate comandamenti dittatoriali
che emanate decreti tirannici
– 1081, 1834, 1835, 1836, 1877, 1877/A, 2045 –
e miriadi di leggi segrete,
che firmate trattati svantaggiosi e accordi suicidi
con avvoltoi e predatori stranieri
privando i poveri del dovuto
e calpestando i diritti del popolo,
aumentando il numero delle vedove
e moltiplicando le schiere di orfani.
Che farete il giorno del giudizio
quando le masse insorte porranno fine
al vostro regno di avidità e di terrore?
A chi andrete per aiuto?
(USA? CIA? BM-FMI? ASEAN?)
Dove riporrete il vostro bottino?
(Batac, Svizzera, California?).
Per tutto questo l’ira di Jahveh non si allontana,
lo spirito del Signore vi respingerà senza posa
fino alla fine.
(salmo di Amado Picardal, CSsR)
Integrazione fede – vita nella prospettiva biblico-storica
«Signore della storia, ti offriamo questo suolo come simbolo della terra che coltiviamo.
Per molto tempo abbiamo desiderato di possedere questa terra, per poter dare un futuro buono ai nostri figli.
Abbiamo lottato negli anni per possedere questa terra ma finora non ci siamo riusciti.
Malgrado il cambiamento di governo non abbiamo ancora assicurazione che ci sarà una riforma vera nel paese.
Noi, i contadini senza terra, abbiamo solo un sogno: possedere un pezzo di terra.
Perché ci vuole così tanto prima che questo sogno si avveri?
Fra qualche anno io sarò morto.
Vorrei vedere avverare il mio sogno prima di morire, per aver qualcosa di tangibile da lasciare ai miei figli.
Ma i potenti che vogliono appropriarsi della nostra terra per trasformare i campi di grano in fattorie di allevamento, hanno più garanzie di assicurarsi il diritto alla terra.
Aiutaci nella lotta, Signore. Dacci il coraggio di continuare nel tentativo di costituire una forte organizzazione contadina, per proseguire nella lotta per questa terra.
(Preghiera di un contadino)
Qualche anno fa sarebbe stato follia l’aspettarsi di udire una preghiera del genere durante la celebrazione liturgica in un villaggio.
Prima che i programmi delle comunità cristiane di base fossero organizzati a livello popolare, l’unica liturgia di cui il popolo disponeva era la messa festiva. Solo il prete pregava alla messa, la gente stava in silenzio. Se aprivano le labbra per pregare, era per dire il rosario o fare la novena al santo patrono. Il più delle volte erano le donne che pregavano; gli uomini stavano fuori della cappella. Ma oggi le cose sono cambiate.
La preghiera citata sopra di Abdon Almonicar, un responsabile laico del villaggio di Upper Saje, diocesi di Kidapawan, fu recitata durante una celebrazione liturgica in onore del loro santo patrono, S. Vincenzo Ferreri.
Abdon è solo uno delle centinaia di leaders laici delle comunità di base sparsi in tutto il paese i quali rivivono la fede-vita dei discepoli nelle primitive comunità cristiane. La loro fede si radica nella convinzione che Dio interviene nella storia umana, per cui facilmente essi collegano la vita con la fede.
La dicotomia che per generazioni le chiese hanno rafforzato non c’è più. Le preoccupazioni materiali (come la terra, il cibo, l’abitazione, l’istruzione dei bambini) che raramente venivano presentate come suppliche nelle loro preghiere, sono ora al centro delle liturgie popolari. Ciò che era etichettato come puramente secolare o politico viene ad essere ora incorporato nelle preghiere dei fedeli.
I contadini avvertono il legame diretto fra la loro vita e la loro fede. La saggezza nativa che fluisce nella loro religiosità (oppure è viceversa?) rende loro facile il superamento della dicotomia.
La classe media urbana, se la si confronta con quella contadina, la troviamo turbata dal nuovo contenuto della formazione religiosa. Essa desidera che la propria ‘religione’ e politica siano separate, non vuole ascoltare in chiesa prediche sulla violazione dei diritti umani, perché lì è venuta per pregare. Va alla messa la domenica, ma lì finisce la sua vita di preghiera.
Di conseguenza la teologia della lotta è molto più vitale in mezzo ai poveri e agli oppressi che partecipano alla liturgia nelle proprie comunità di base che nelle assemblee della classe media dei professionisti nelle varie zone di Metro Manila.
La fede biblica confessa in primo luogo il coinvolgimento salvifico di Dio negli eventi storici: nella liberazione dalla schiavitù d’Egitto, nell’entrata nella Terra Promessa e specialmente nelle azioni risanatrici di Gesù, nella sua morte e resurrezione che donano vita, nella sua ‘seconda venuta’ anticipata che inaugurerà ‘un nuovo cielo e una nuova terra’ dove la gente, le nazioni e tutta la creazione non conosceranno più lutto né pianto né sofferenza né dolore perché Dio sarà tutto in tutti e saranno fatte nuove tutte le cose.
È questa fede biblica che ha fatto vibrare la corda più sensibile nei nostri cuori. L’abbiamo scoperta nella sua prospettiva storica; una fede che ha a che fare con la storia e con gli avvenimenti e che è tutta presente nelle sollecitudini umane; la cui preoccupazione non è solo la salvezza delle anime da portare in cielo ma è tutta la persona, la società, le nazioni, l’intera creazione che sono chiamate a una vita piena…, e questa preoccupazione per la salvezza totale non riguarda solo la vita dopo la morte ma anche il tempo della vita dopo la nascita (Religiosi nazionalisti, Magnificat del popolo, Manila SPI 1985, p. 40).
KARL GASPAR CSsR
(già detenuto politico, è Redentorista e membro di EATWOT, l’Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo)
Poiché il saggio di K. Gaspar sulla teologia della lotta è molto lungo, ne proporremo la continuazione nei prossimi numeri.