Sguardi dalla stiva


 
Nell’estate scorsa, una breve esperienza di autorganizzazione di lavoratori migranti in VaI Seriana (Bg) ha fatto scattare l’idea di creare una Rete Operaia territoriale, avente come finalità il compattare lavoratori dei vari settori e delle varie unità di lavoro, per collegarle su obbiettivi comuni contro la crisi.
Questa cosa, di norma, sarebbe dovuta spettare al sindacalismo confederale, il quale avrebbe dovuto renderla fattiva con una strategia di lungo percorso, adottando criteri di lotta adeguati alla gravità ed alla profondità dell’attacco politico-industrial-finanziario al lavoro dipendente.
Ma noi, promotori della Rete Operaia Val Seriana, quasi tutti o licenziati o precari, abbiamo preso la decisione dell’autorganizzazione per una serie di motivi.
Punto primo. Il sindacalismo tradizionale – quello confederale – è ormai lontano anni luce dal poter o voler sostenere l’impatto della crisi e le vittime che essa porta con sé (500.000 posti di lavoro persi in Italia nel 2009). Esso è ormai asserragliato nella “concertazione” ad ogni costo e nel ruolo di “tappabuchi”. Esso, per non rimettersi in discussione come burocrazia legalmente riconosciuta (quanti sindacalisti rientrano in questi 500.000 posti di lavoro persi?), si guarda bene dall’organizzare e dirigere lotte di “contrasto”. Poi magari si litiga tra confederazioni se firmare o no questo o quell’accordo, dopo che i buoi sono scappati dalla stalla e mentre nella stessa Cgil ogni categoria va per conto suo… ma nella sostanza nessuno è disposto a fare seriamente il mestiere per cui i lavoratori lo pagano.
Punto secondo. Nell’agenda della sinistra – anche quella “estrema” – il lavoro e le questioni sociali sono poco più che slogan elettorali. Gli operai, quelli in carne ed ossa e non in cartolina, sono stati stoltamente “regalati” alla Destra grazie anche alla mancanza totale d’indirizzo quando a tenere il timone erano i governi “amici”. Ne abbiamo viste di tutti i colori in nome dell’Europa e del “risanamento” dei conti pubblici: tre “riforme” pensionistiche, introduzione della flessibilità del lavoro, compressione salariale, privatizzazioni, requisizione del TFR, tasse sugli stipendi tra le più alte d’Europa, cunei fiscali per i padroni… Un disastro.
La prova del nove l’abbiamo avuta negli ultimi dodici mesi: dopo un anno di una crisi mai vista da 80 anni a questa parte, non si è avuto il coraggio di fare un solo sciopero generale nazionale di almeno una giornata; ci si è rifiutati, pur avendo strutture diffuse capillarmente sul territorio, di prendere almeno in considerazione la possibilità di condurre lotte a scacchiera in grado di tenere alta la tensione contro chiusure e dismissioni di fabbriche; ci si è “rifugiati” negli ammortizzatori sociali per “prendere tempo”, dando ai lavoratori il segnale di “sciogliete le righe”, quando invece bisognava invitarli ad occupare le fabbriche, e non lasciarle in mano agli speculatori.
La vicenda della INNSE di Lambrate, dove gli operai non hanno abbandonato la fabbrica, la dice lunga su cosa poteva accadere se i loro obbiettivi e le loro forme di lotta fossero state allargate e — queste sì — concertate! Invece la politica dell’ “ognuno per sé” ha travolto un patrimonio di occupazione, competenze, professionalità, comunità di lavoro e di vita. È questa la “coesione sociale” tanto elogiata dagli industriali e dai loro tirapiedi? Così i lavoratori devono fare da soli e rimboccarsi le maniche, se non vogliono rimanere a contare i propri morti.
Due esempi per tutti: una lotta in corso ed una appena conclusa.
Alla Frattini di Seriate (Bg) nella primavera scorsa il padrone mette in concordato preventivo l’azienda con tutti i suoi 194 dipendenti. Si producono macchine per la deformazione dell’alluminio (Metal Container) e per Conto Terzi. L’azienda è tra le più prestigiose della provincia, il mercato c’è, ma ci sono anche troppi debiti. Il padrone non intende proseguire e mette la ditta all’asta. il boccone prelibato se lo pappa la Mall Herlan, in concorrenza, pare illecita, con un’altra tedesca, la Hintekopf. L’offerta per la rilevazione del ramo è di 37 assunzioni: per gli altri non c’è posto…
I lavoratori respingono l’accordo prospettato ai sindacati e dal 12 ottobre presidiano ad oltranza la fabbrica. Obbiettivo: attendere un compratore tenendo dentro i macchinari del “Conto Terzi”, impedendone il trasloco e/o la svendita da altre parti. Si è provata anche l’azione di forza da parte padronale, ma la pronta mobilitazione di tanti lavoratori lì accorsi, compresa una delegazione della Tenaris, ha portato a più miti consigli. Davanti ai cancelli si condividono cibo, bevande, racconti, giornali, fuoco per scaldarsi e… tanta pazienza; e ci si rende conto coi fatti che nessuno deve essere lasciato solo davanti alla crisi. Per me è quasi come un posto di lavoro ormai.
Un primo collegamento spontaneo di lavoratori bergamaschi si è già avuto tra quelli della stessa Frattini con quelli della Pigna, della Comital, della Promatech. Pensate: lavoratori che s’incontrano, si scambiano esperienze e disponibilità di reciproco aiuto, al di fuori di Segreterie, Apparati, Funzionariati, “competenze” più o meno reali. Ora si tratterà di non farsi prendere dal logoramento e di far passare il principio che non si distrugge impunemente il lavoro di chi vive di esso.
La lotta appena conclusa si è avuta alla Fiege Borruso Spa di Brembio (Lodi): questa multinazionale della logistica, che occupa nel sito 68 lavoratori, tutti immigrati, cerca – e trova – a metà dicembre un accordo con Cgil e Cisl per “spostare” questi lavoratori ad una cooperativa che applica il Contratto delle Imprese di Pulizia: paga oraria ridotta di 2 euro, con in più lo spostamento di metà del personale a 50 km. di distanza, la riduzione dell’orario settimanale di lavoro da 40 a 24 ore… per dare via libera al “nero”. Metà dei lavoratori firma l’accordo-capestro, l’altra metà no. I “dissidenti” si mettono in mezzo ai cancelli e proclamano lo sciopero. La polizia li minaccia, li malmena e ne arresta due. Poco dopo, il tam-tam porta davanti alla Fiege il sindacato di base Slai-Cobas, al quale i lavoratori in sciopero si rivolgono. Arrivano centinaia di persone solidali per dare una mano. Dopo una manifestazione a Lodi i due fermati vengono rilasciati e si protrae, dal 2 gennaio al 5, un picchetto ad oltranza con 82 ore di sciopero, in cui vengono coinvolti molti camionisti bloccati ai cancelli. Il 5 sera la Fiege ritira l’accordo-capestro ed applica ai lavoratori le condizioni precedenti, con in più il Contratto dei Trasporti. Anche Cgil e Cisl devono prendere atto… e firmare a loro volta la nuova intesa.
Due storie molto diverse, per contesto, settore e composizione operaia, ma entrambe significative riguardo al fatto che si è riaperta l’era dell’autorganizzazione, del protagonismo diretto, della ricomposizione sociale anti-gerarchica ed anti-burocratica. La politica affaristica non ha nulla da dire a masse sempre più vaste di lavoratori.
La politica conta, eccome. Guai a scordarlo. C’è bisogno di progettualità, di programmi condivisi, di percorsi credibili. Ma tutto ciò dovrà innervarsi su una ripresa della conflittualità dal basso, troppo a lungo e troppo cinicamente compressa in nome delle “Compatibilità” e del “Mercato”. Non mancano le Risorse. Ce ne sono per sfamare sei volte l’attuale popolazione mondiale! Va allora rivoltato come un calzino il meccanismo distorto di appropriazione e distribuzione.
È finita l’era del voto “a prescindere”, del voto di “appartenenza”. Che ogni partito o schieramento si misuri concretamente sui temi del lavoro e della crisi, e mostri nel quotidiano da che parte sta! E non diamo per scontato che, quello che ci offre il nostro Supermercato Parlamentare, sia il meglio del meglio… E chi l’ha detto?
IL RE È NUDO. E CON LUI I SUOI CORTIGIANI. Abbiamo perso centinaia di migliaia di posti di lavoro in un anno… vogliamo continuare? Crediamo che basti tappare qua e là i buchi in attesa della Fata Morgana della “ripresa”? (Quale? Per chi?). E allora che fuoriescano dall’Italia le Toyota, le Omnia, le Alcoa, le Innse… tanto per citare i nomi di realtà che “non ci stanno”!
A questo punto, la loro sarà anche la mia avventura, che potrebbe sfociare in una nuova stagione di partecipazione e di protagonismo per milioni di sfruttati di ogni nazione, credo e colore.
 

Graziano Giusti


 

Share This