“Abita la terra e vivi con fede” (Sal 37)
Rileggiamo oggi la Gaudium et Spes
Convegno di Bergamo 2014 / Contributi
Anche se non mi è facile, racconto con semplicità come ho vissuto e come vivo la mia vita e la fede che l’ha illuminata.
Sono il più anziano tra voi, sono del 1928. Ho iniziato la condivisione della vita con i più poveri nel settembre del 1969, andando a lavorare in periferia di Milano, in una fabbrica che costruiva lampadari in ottone.
La testa è ancora buona, manca un po’ la memoria, ma mi difendo e sono ancora autosufficiente.
Sono membro di questa comunità, dove sono entrato nel 1950.
Essere anziani non vuoI dire non avere problemi ed aver dato risposta a tutte le domande. I problemi sono cambiati e a volte non hai la forza per affrontarli. Le domande si sono moltiplicate: ne avevo meno a 30-40 anni!
“Abitare la terra”! Sono contento della scelta fatta e della vita vissuta e di cuore ringrazio il Signore.
Come membro della “Comunità Missionaria del Paradiso”, (C.M.P. che ha la finalità di aiutare diocesi mancanti di preti e di impegnarsi in zone povere in varie zone dell’Italia e nell’emigrazione europea), sono stato nel Lazio, in Maremma, nel ferrarese e per ultimo nella periferia di Milano.
La vita con i poveri ha caratterizzato la mia vita, perché le situazioni nelle quali mi sono trovato e la formazione avuta, me l’hanno sempre fatta prediligere. Se guardiamo a come si vive oggi, c’è da essere sfiduciati e preoccupati.
Guardo però al tanto bene silenzioso e allora diventa più forte la speranza. La fede che al tempo della mia giovinezza era scontata, oggi è sofferta, più incerta, a volte quasi assente.
La cerchi ogni giorno per dar senso alla tua vita, soprattutto con la preghiera.
Sono partito per il primo impegno a luglio del 1953. Destinazione un paese di 4.000 abitanti, lungo la via Salaria in provincia di Rieti, Antrodoco.
Tutti noi della C.M.P. avevamo avuto una formazione che ci aveva preparato, per quanto possibile, ad affrontare situazioni e difficoltà che avremmo incontrato nei luoghi dove saremmo stati inviati.
Ero tra i primi a partire e non c’erano esperienze già fatte.
L’unica esperienza era la raccomandazione con la quale il nostro Rettore, don Fortunato Benzoni, fondatore della Comunità, ricco della sua esperienza di cappellano degli emigranti in Francia, ci inviava.
“Partite poveri, carichi al più di una valigia, che però non sia troppo antievangelica per il suo contenuto. La vostra penitenza sia la povertà. Anche i mezzi necessari per il vostro ministero siano impostati a povertà. Se potessi dirvi di raggiungere proprio l’eroismo in qualche caso, vi direi di essere eroi nella povertà. Solo profumati di povertà vi meriterete di essere veramente missionari!”
Ho vissuto gli anni del Concilio con passione, attenzione, gioia e piccole crisi di fede e di vita, che mi hanno aperto anche grandi orizzonti.
Con frequenza c’era il richiamo alla povertà. “Chiesa dei poveri, preferenza dei poveri”: erano discorsi ricorrenti.
Oltre l’insegnamento di Don Benzoni, l’incontro personale con Carlo Carretto nel 1967 a Spello e la conoscenza della spiritualità Foucoliana, l’incontro con Umberto Vivarelli – e con altri per i loro scritti, (A. Ancel, Milani, Mazzolari) – hanno reso più cosciente e più luminoso questo ideale.
Nell’assemblea della C.M.P. del 1968 a Vallombrosa, rivedendo la vita delle nostre comunità, ormai tutte in periferia di grandi città, ho fatto questa proposta: “noi tutti viviamo con i poveri! Non sarebbe bello testimoniare Gesù, vivendo povero fra i poveri?”
C’è stata perplessità, ma alla fine la proposta venne accolta. Ho fatto l’anno sabbatico a Roma (’68-69), frequentando alcun corsi. A giugno, ritornato a Bergamo, ho incominciato a cercare dove attuarla.
Cerco un posto privo di servizi, abbandonato, non ambito. Lo trovo in periferia di Milano. Dal toponimo della vecchia cascina, è chiamato Valleambrosia. È una borgata sorta sul territorio di 3 comuni: Assago, Milano, Rozzano. Per questo forse è abbandonata. Sono piccole fabbriche e laboratori, sfrattati da Milano città.
È però popolata, le persone sono circa 1500. C’è un gruppo di settentrionali che si sono costruita la casa, il resto sono meridionali che qui han trovato lavoro e casa. Mancano i servizi, la gente si deve arrangiare. C’è un piccolo supermercato, un bar ed un fornaio.
Per la scuola, viene ogni giorno da Rozzano il pullman a prendere e riportare i ragazzi delle elementari e medie. Per i bambini, ogni genitore deve provvedere.
A settembre del 1969 cerco un posto dove abitare. Non essendo meridionale e per di più celibe, non mi è stato difficile. È un seminterrato di quattro locali. Concordato il prezzo, vado ad abitarvi arredandolo dell’indispensabile.
Don Roberto Verri, che è collaboratore nella parrocchia di S. Angelo a Rozzano, chiede di condividere la mia scelta, e viene ad abitare con me.
Cerchiamo lavoro. Don Roberto lo trova come facchino all’ortomercato di Milano ed io in una fabbrica di lampadari in ottone a pochi passi da casa.
Lavoro dalle 8.00 alle 17.00, Don Roberto dalle 6.00 alle 14.00.
Risolta la nostra sistemazione, pensiamo anche per il Signore. Il seminterrato del supermercato è eccezionalmente vuoto. Lo chiediamo, concordiamo il prezzo e diventa la prima chiesa di Valleambrosia.
La arrediamo con semplicità e gusto e ogni sera celebriamo I’ Eucarestia. Sarà la nostra chiesa fino aI 1973.
Trovata casa al Signore ed anche a noi, pensiamo a come mettere in atto le motivazioni della nostra scelta: aiutare questa gente a conoscere di più Gesù, farlo amare e vivere quanto ci ha insegnato.
Non abbiamo ufficialmente impegni pastorali. Ci saranno dopo che si sarà formata la comunità. La gente conosce presto che siamo preti, ma – come diceva Paolo VI – più che maestri vogliamo essere testimoni di Gesù!
Lo facciamo più con la nostra vita che con le prediche.
L’abitazione, il lavoro come loro, gli incontri casuali, la familiarità, inizialmente provocano stupore e meraviglia, ma presto diventano affetto, stima e gratitudine.
A loro però pone anche tante domande il nostro modo di vivere che è al di fuori dei loro schemi. La nostra gente, i preti, li ha sempre visti in belle case, con tutti i servizi; fanno una vita abbastanza tranquilla, curano la chiesa, l’oratorio, curano i ragazzi, a volte fanno scuola, li incontri per le strade mentre vanno a trovare malati o a incontrare famiglie. Noi viviamo in uno scantinato, tutti i giorni andiamo al lavoro e – con tutto il nostro studio – non in un ufficio, ma in fabbrica, in tuta a volte sporca; e anche le mani ormai hanno i calli.
La Messa la celebriamo in un seminterrato! “Saran veramente preti !?“. Sono domande e dubbi più che giustificati. Abbiamo scelto il lavoro manuale non come strumento di apostolato, ma per la ricerca di una condivisione di vita, con la quale mettiamo in evidenza una donazione gratuita, che non ha spiegazioni umane, ma trova il suo radicamento in qualcuno molto alto, Gesù Cristo povero e crocifisso.
La nostra preoccupazione non era quella di celebrare Sacramenti, che a volte sono cerimonie religiose più o meno solenni, ma aiutare le persone a rendersi conto della Fede ricevuta, del suo valore e del come viverla e testimoniarla oggi.
Non era scontata la celebrazione dei Sacramenti! Anche il Cardinale aveva detto: “È meglio un sacramento in meno ma un turbamento in più”
Se c’era fede, si celebrava; in mancanza, per rispetto delle convinzioni reciproche, a volte non si celebrava. Per questi momenti, non ho mai accettato un centesimo. Gli unici soldi accolti, erano quelli deposti in un cesto all’ingresso della chiesa, portati all’altare col pane e col vino.
L’attenzione era soprattutto per la famiglia, considerata “culla della fede e missionaria”. L’insieme delle famiglie daranno poi origine alla Comunità, che sarà testimoniante nell’ambiente in cui vive. Quante sere, dopo la celebrazione dell’Eucarestia alle 20.30, ho trascorso con loro! Le accoglieva poi la nostra “Chiesa”, dove le celebrazioni erano vissute con fede, preparate e celebrate da tutti! L’ambiente, semplice, luminoso aiutava il raccoglimento, il pregare uniti e il ritornare a casa gioiosi.
Quanta nostalgia per quella chiesetta!!
Le famiglie crescono, la comunità diventa più numerosa e, dopo 2 anni, la chiesetta è insufficiente per accoglierle tutte.
Nel 1972 si era formato nella comunità un gruppo di giovani. A gennaio da loro nasce un’iniziativa. Propongono a tutti gli abitanti di Valleambrosia un referendum con 10 domande: chiedono quali sono i servizi più necessari per il bene del quartiere.
Nelle risposte per primo è richiesto un ambiente più ampio e più dignitoso per le celebrazioni religiose.
Il terreno per la costruzione c’era già, acquistato dal Cardinal Montini nel 1956. Lo utilizzavano gli zingari ed era in condizioni pietose.
Scriviamo alla Curia facendo presente la richiesta, dicendo che il terreno c’è già. La risposta è no, perché non ci sono soldi.
Insoddisfatti della risposta, scriviamo al Cardinale, che anni prima citando il Salmo 131, aveva fatto ad alcune persone una promessa! Dopo mesi risponde: ha accolto la domanda, ma desidera avere prima un incontro con me.
Dopo un mese ho udienza e il colloquio diventa lungo! Gli argomenti sono molti: la vita da prete, la preghiera, lo studio, la formazione, l’assistenza pastorale, la povertà, la dignità, la salute, l’orientamento politico; e non su tutto siamo d’accordo. Mi dà la sua Benedizione e ai fedeli di Valleambrosia dà appuntamento fra 20 giorni.
Trascorsi questi giorni, ci chiama, e con una decina di fedeli sono da Lui. Ci accoglie con molta cordialità, ci fa sedere in una sala e chiama il responsabile diocesano per le “nuove chiese, la cui risposta è: “per Valleambrosia non ci sono i soldi!”; e poi se ne va.
Al nostro sconforto, il Cardinale ci rasserena dicendoci: “Non allarmatevi! Per il momento vi dò io 15 milioni per costruire il capannone. Se non bastassero, provvederò. Costruito, la prima Eucarestia, la vengo a celebrare io.”
Usciamo contenti per la sua Benedizione e per la sua generosità.
Su un lato del terreno della Curia viene costruito il capannone di 25 metri per 12, con un piccolo portico, con questa licenza: “deposito materiali ferrosi con annessa abitazione custode”.
Arredato con semplicità, povertà e gusto, è un ambiente caldo e accogliente per le nostre celebrazioni. La gente lo ha accolto con gioia ed entusiasmo, tanto che, su iniziativa e lavoro gratuito di un gruppo di uomini, nel resto del terreno viene costruito un locale di ritrovo e il campo di bocce per gli anziani; e per i ragazzi uno spazio e un campetto per giocare
Terminati i lavori, a gennaio del 1974, invitiamo il Cardinale per la celebrazione dell’Eucarestia. La celebrazione è molto partecipata, raccolta, destando meraviglia nel Cardinale, che si congratula con tutti i partecipanti. Terminata la celebrazione, gli uomini lo portano a vedere quanto hanno fatto, ricevendo elogi e ringraziamenti.
Salutate le persone, noi torniamo in casa. Ci sediamo, ha elogi per quanto si è fatto, per la stima e l’affetto che la gente ha per me. Terminato l’elogio, il dialogo si sposta sulla mia vita. Mi chiede di ritornare alla vita normale di tutti i preti. Istintivamente ho questa risposta: “Eminenza, se me lo comanda, non so quale risposta le darò!”
Mi risponde: “No, non te lo posso comandare perché non fai niente di male; ti dò però un pressante consiglio”.
La mia risposta fu: “Eminenza, la ringrazio sentitamente del pressante consiglio, ma accettandolo non mi sentirei più sereno con Gesù e il suo Vangelo”.
Ci siamo salutati con poco calore, ed io continuai con serenità la mia vita fino al settembre del 1981, quando, per una situazione familiare, mi ritirai a casa mia, Costa lmagna, impegnato poi come parroco a Valsecca, piccola parrocchia a cinque chilometri da casa, rimasta vacante per grave malattia del parroco, vivendo però sempre in famiglia.
Nel 1991 sono ritornato a Rozzano, nella Parrocchia di S. Angelo. Infartuato, sono ritornato a Costa lmagna. Dopo mesi di convalescenza – Valsecca era servita ancora da Costa – ho chiesto al Vescovo se potevo tornarvi: a novembre del 1992 sono di nuovo parroco di Valsecca, che ho lasciato a ottobre del 2011 e da allora sono qui nella C.M.P. in attesa della chiamata del Padre.
PIETRO MACONI