“Dicevano che era un prete” / Atti del convegno (5)


 

Nel settembre 1965, Paolo VI nominò arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, professore ordinario di letteratura cristiana all’Università di Torino. Tra le tappe più significative dell’episcopato di Pellegrino, vi è la lettera pastorale Camminare insieme. Linee programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese, datata 8 dicembre del 1971, frutto di un lavoro di preparazione articolato che coinvolse nei mesi precedenti moltissimi preti e laici e che suscitò interesse e parecchie discussioni anche fuori della diocesi e degli ambienti cattolici.

La lettera si colloca in continuità con il magistero precedente di Michele Pellegrino e non può essere considerata un “episodio isolato”. Fu infatti pubblicata dopo sei anni di esperienza episcopale, con l’obiettivo di una più incisiva applicazione nella Chiesa torinese degli insegnamenti del Concilio vaticano II. La convinzione di Pellegrino era che la Chiesa torinese dovesse ancora liberarsi da «incrostazioni anacronistiche» che rischiavano di rendere inascoltati gli insegnamenti del Concilio.

I contenuti della “Camminare insieme”

Le tre parole chiave della lettera sono: povertà, libertà, fraternità. Secondo quanto espresso nel documento,

«L’attuazione di questi valori esige una conversione personale e comunitaria per realizzare una Chiesa più autentica, fedele alla parola di Dio ed attenta alle esigenze degli uomini in mezzo ai quali vive».

Proprio per le caratteristiche sociali di Torino e del suo circondario, le persone tra cui la Chiesa cammina appartenevano in misura notevole alla classe operaia.

Pellegrino richiamava nella lettera pastorale il dovere di un impegno convinto per il mondo del lavoro, in primo luogo per la “classe operaia”. Nella lettera si affermava:

«Esistono nella nostra società non solo singoli poveri ma classi povere tra cui la classe operaia e ciò ripropone necessariamente ai cristiani in termini nuovi di “scelta di classe” il dovere evangelico della scelta preferenziale per i poveri che deve essere intesa, secondo le migliori tradizioni della Chiesa, come impegno di dare il primo posto nell’opera di evangelizzazione ai poveri ed agli indifesi, tenendo presente che non basta volgersi ai poveri individualmente perché esiste veramente una povertà “di classe”».

Di qui proveniva l’indicazione a promuovere gruppi di evangelizzazione tra i lavoratori, evidenziando che per fare questo erano richieste profonde trasformazioni di mentalità, di comportamento e di impostazione pastorale nei sacerdoti e in tutta la comunità cristiana. Anche a partire da sollecitazioni simili, Gianni Fornero, prete operaio, era stato incaricato di promuovere gruppi di giovani lavoratori.

La “Camminare insieme” e don Carlo

Padre Pellegrino arrivò alla guida della diocesi di Torino, trovandosi di fronte una città che stava esplodendo dal punto di vista industriale, sociale, urbanistico. Era la città della Fiat e delle fabbriche, degli immigrati. Si rendeva conto di conoscere poco il mondo operaio con le sue sofferenze, le sue tensioni, le sue organizzazioni. In esso, vi era una presenza di militanti cristiani che facevano fatica a tenere insieme la militanza operaia e sindacale e la loro fede e che, oltre a questo, erano poco riconosciuti dalla Chiesa.

«Voi preti – disse in un incontro una giovane operaia fortemente impegnata nel sindacato – ci obbligate a scegliere tra Gesù Cristo ed i nostri compagni. Non dovete stupirvi se scegliamo loro perché sono i più deboli verso cui il Vangelo ci chiede di guardare e lasciamo il Gesù Cristo della Chiesa che ci dice di lottare contro i nostri compagni perché comunisti».

Dai primi giorni della sua presenza alla guida della diocesi di Torino, Pellegrino si mise in ascolto di questi uomini e donne, tanto da sviluppare una relazione costante di confronto, di fiducia e probabilmente anche di amicizia con don Carlo che diventò, nei fatti, suo consigliere. Lo consultava prima di intervenire sulle questioni legate al lavoro e alle questioni sociali, per avere da lui notizie, suggerimenti e consigli.

«Mi trovo ad essere vescovo di una città industriale – diceva Pellegrino – io che sono un uomo di scuola. Ho bisogno di essere aiutato su un terreno di cui non ho competenza”.

La missione operaia

Nella Chiesa torinese, negli anni immediatamente seguiti al Concilio, si registrò un notevole fermento: stavano nascendo esperienze nuove, gruppi di giovani operai cristiani, i chierici al lavoro, la trasformazione delle Acli, i primi preti operai e le suore operaie. Tutte queste esperienze furono presentate a Pellegrino da don Carlo in un piano di lavoro denominato “Missione operaia” che richiamava le esperienze francesi di mission ouvrière. Il cardinale accolse con molto interesse la proposta, ma nel 1968 fu messa in discussione dai suoi collaboratori. Pellegrino chiese allora a don Carlo di rinunciare a sviluppare questa esperienza in tutta la diocesi e gli propose di tentare l’iniziativa in un quartiere. Don Carlo rifiutò, ma intanto le varie esperienze proseguirono e crebbero a livello di base, seppur senza il riconoscimento ufficiale.

Il “Documento Carlevaris”

Nel novembre del 1970, nel Consiglio pastorale diocesano erano presenti quattro operai, militanti della Cisl. Erano Giuseppe Cassetta, Giovanni Gambino, Mario Gheddo e Carlevaris, legati da amicizia e orientamenti comuni. Avevano accettato di far parte del Consiglio perché eletti da organismi di base, anche se non condividevano le linee del piano pastorale che due anni prima si era contrapposto al progetto di “Missione operaia”. In Consiglio pastorale, presentarono un loro documento che riprendeva alcune analisi e proposte della “Missione operaia”: la diocesi era sollecitata a fare la scelta prioritaria dell’evangelizzazione dei poveri, individuati nella classe operaia e negli sfruttati, e dell’elaborazione di un’azione pastorale che fosse strumento di questa evangelizzazione.

Quel testo fu immediatamente denominato Documento Carlevaris, da cui prese avvio l’elaborazione della lettera pastorale Camminare insieme. Nel gennaio del 1971, prima di iniziare la discussione sul documento, fu proposta una “premessa teologica” che si disse essere opera di Pellegrino. Questa premessa aveva come titolo La salvezza portata da Cristo e mirava a rafforzare dal punto di vista teologico il Documento Carlevaris, considerato debole dal punto di vista soteriologico, vale a dire della concezione della salvezza.

Si avviò così la prima fase della discussione sul Documento Carlevaris e sulla premessa teologica, senza però riuscire ad arrivare a una sintesi tra i due. La discussione occupò tutto il 1971 e coinvolse 107 gruppi. Se ne discusse nella “tre giorni” al santuario di Sant’Ignazio, dal 27 al 29 agosto, con la partecipazione dei membri del Consiglio pastorale diocesano, i vicari di zona e i responsabili degli uffici pastorali diocesani.

Seguì nelle settimane successive un incontro del collegio dei parroci e poi l’incontro del 4 novembre, al quale parteciparono la giunta del Consiglio pastorale e i gruppi di lavoro che si erano costituiti durante la “tre giorni” di Sant’Ignazio, per continuare il lavoro che in quella occasione non si era riusciti a concludere. Si arrivò così a una mozione di sintesi, approvata però tra forti contrasti. I sostenitori del Documento Carlevaris votarono la mozione, senza rinunciare a evidenziare la distanza del testo finale dai contenuti di cui don Carlo si era fatto portavoce.

Tra il 4 novembre e l’8 dicembre 1971, il cardinale scrisse la lettera recependo ed elaborando le indicazioni emerse dalla consultazione. Si assumeva così la responsabilità di sostenere posizioni non condivise da tutta la comunità diocesana perché convinto che «il vescovo in quanto “araldo della fede” deve servire la parola di Cristo ed esporla con assoluta fedeltà perché in essa sola è la verità e la salvezza».

Vi furono reazioni entusiastiche alla pubblicazione della Camminare insieme, altre di perplessità, altre ancora di chiara opposizione, sia all’interno della Chiesa che all’esterno. Alberto Ronchey su «La Stampa» del 19 gennaio 1972 scriveva:

«Il retroterra della DC è diviso tra vescovi neri e vescovi rossi come all’epoca di Bonaparte, tra l’osservanza tradizionale e quella nuova retorica prelatizia che dalla patristica è passata ad un singolare neomarxismo».

E la destra politica accusò Pellegrino di mettersi dalla parte del più forte

«perché la classe operaia è il potere, la forza, la prepotenza. L’unico potere che veramente conta è quello dei sindacati. Perciò piagnucolando sui poveri e sulla poverissima classe dei lavoratori i nuovi profeti si schierano con il potere, cioè con i veri padroni della situazione».

Il 4 marzo 1972, nella tempesta che si era scatenata, Paolo VI scrisse a padre Pellegrino una lettera per esprimergli il suo compiacimento per i contenuti della lettera pastorale Camminare insieme.

Don Carlo Carlevaris fu protagonista e animatore del percorso che portò alla redazione della lettera pastorale Camminare insieme, diversa dal testo che aveva presentato al Consiglio pastorale. La lettera pastorale ha segnato la Chiesa torinese, anche se nei mesi successivi alla pubblicazione faticò a essere attuata e, nel 1974, fu lo stesso cardinale a parlare di fallimento della Camminare insieme. In ogni caso, la Camminare insieme ha contribuito a far nascere e legittimare a Torino molte esperienze feconde di rapporto tra Chiesa e classe operaia, di cui ancora oggi rimangono tracce significative.

Tommaso Panero


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