In preparazione al convegno di Bergamo 2012
“SERVIZIO E POTERE NELLA CHIESA”
Riportiamo una pagina di commento al Vangelo di Marco di Aldo Bodrato pubblicato da La Cittadella Editrice nel 1996. E’ una riflessione sulla “confessione di Pietro” correlata alla incomprensione sua e degli altri discepoli. La coscienza della incomprensione allora, come oggi, è un requisito della vera fede. Proprio a questo livello si annida la più grande tentazione ”operante fin dal principio della professione di fede, fin nei vertici della comunità apostolica”. Essa attraversa tutta la storia della chiesa.
Confessare che Gesù è il Messia, l’Unto di Dio, la Primizia del Regno, non è conoscere fino in fondo la sua verità, non è ancora rendere presente il Regno di salvezza, di libertà e di pace, se non si è disposti ad accettarne le conseguenze, vale a dire il rifiuto dei potenti della storia, l’incomprensione del popolo e il martirio.
Confessare la cristicità di Gesù, come cristicità gloriosa e non crocefissa, è l’ultima manipolazione satanica dell’agire di Dio nella storia, perché chi così la esprime non la pensa «secondo Dio, ma secondo gli uomini», non si fa carico della sequela come spogliazione, ma intende il Regno come potere e dominio, secondo «il lievito dei Farisei e di Erode» (8,15).
Per questo Pietro, primo tra i chiamati (1,16) e tra i Dodici (3,16), primo anche nel riconoscere Gesù (8,29), è trattato esplicitamente da Satana, quando rimprovera Gesù per aver parlato di fallimento e di morte; e per questo Marco, ancora una volta lui solo tra gli evangelisti con Matteo che lo ripete e lo attenua (Mt 16,13-23), sottolinea che questa tentazione è operante fin dal principio della professione di fede, fin nei vertici della comunità apostolica.
Il cristianesimo può essere vissuto, da sempre, non nell’ottica della divina sequela chenotica e del servizio, ma in quella satanica del potere e del dominio. Il Gesù di Marco lo sa e lo denuncia e, dopo averlo denunciato, tenta anche di porvi un argine esortando le folle e i discepoli a seguirlo, a rinnegare se stessi e a prendere la propria croce. Infatti la salvezza non sta nel «guadagnare il mondo intero» o nel cercare di salvare se stessi. Sta nel perdere la propria vita per il Cristo e per il vangelo. Perché il Figlio dell’uomo verrà presto «nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» e si vergognerà di coloro che si sono vergognati di lui. E verrà tanto presto, che «alcuni, qui presenti, non morranno senza aver visto il Regno di Dio venire con potenza» (8,34-9,1).
Marco, lo abbiamo detto, non prevedeva che sarebbe stato lasciato tanto tempo alle possibilità di fraintendimento e di tradimento del vangelo. Se lo avesse previsto sarebbe forse stato preso dallo scoraggiamento o, forse, con Matteo e Luca avrebbe moltiplicato le esortazioni di Gesù alla perseveranza, ma non credo che le avrebbe rese più forti. Già nel breve arco di una generazione aveva,, infatti, sperimentato e l’infedeltà e l’abiura e il fraintendimento, e le aveva sperimentate non come eccezione, ma come norma del discepolato.
Se la fede è un dono, se è un dono la capacità di capire il mistero, anche l’incapacità di credere e di comprendere è coessenziale alla grazia, anche il fraintendere e il tradire. Forse non si può essere cristiani che come Pietro, coscienti delle proprie tendenze sataniche, feriti dall’esperienza della propria infedeltà.
«VADE RETRO»: «LONTANO DA ME» O «DIETRO DI ME»
È davvero curioso costatare che quasi tutte le versioni correnti rendono il famoso rimprovero di Gesù a Pietro come espressione di una decisa volontà di allontanamento e di ripulsa, a partire dalla traduzione della Cei, qui utilizzata, che suona appunto: «Lungi da me, satana», reso da altri con: Va’ via da me», «Va’ lontano da me», «Vattene da me», fino alla formula recentissima: «Va’ via dalla mia vista».
Anche nell’uso popolare della frase, che ripete il detto nel sonoro latino della Vulgata: «Vade retro, Satana» il senso implicito è quello di una presa di distanza e di rifiuto sdegnoso. Probabilmente, però, tale uso prende spunto non dal nostro passo, ma dall’episodio delle tentazioni, riportato da Matteo (4,10), e dove a Satana in persona Gesù risponde, appunto: «Vattene Satana!».
Certo non è questo il significato che Marco vuole dare alle parole di rimprovero rivolte da Gesù a Pietro. Letteralmente l’espressione greca, usata dal suo vangelo, va tradotta: «Va’ dietro di me, Satana!» (8,33). Come è evidente dall’appellativo Satana, si tratta evidentemente di un rimprovero. Ma ad un’attenta lettura, che tenga conto del contesto della pericope e di tutto il vangelo, non si può dire che Gesù scacci Pietro, anche solo temporaneamente, o, come diremmo noi, che spazientito lo «mandi all’inferno».
Che sta succedendo, dunque, nello sviluppo della sua narrazione? È successo che nel cuore del vangelo, nel punto nevralgico della sua narrazione-rivelazione, Pietro, dopo avere riconosciuto che Gesù è il Cristo, sentita la prima predizione della passione, vale a dire il modo in cui Gesù si prepara a vivere la propria cristicità, reagisce male, prende Gesù da parte e incomincia a sgridarlo o meglio a «minacciare e far tacere». Inverte i ruoli e pretende lui, discepolo, di dettare al maestro le forme concrete della sua missione
È significativo il gesto che, secondo Marco, Gesù compie in risposta a tale provocazione. Si volge indietro verso tutti i discepoli e, a sua volta, sgrida (il verbo è lo stesso) Pietro, chiudendo con la frase in questione, la quale, ben più che un allontanamento suona come un ridimensionamento, un invito a riprendere il posto dovuto al suo seguito con gli altri.
Pietro, infatti, non si trova in quel momento insieme ai Dodici, tra coloro che seguono Gesù. Gli si è fatto di fronte, quasi ad impedirgli il cammino verso la croce. Ha così abbandonato il ruolo per cui era stato chiamato come discepolo al momento della vocazione, allorché Gesù lo aveva invitato, appunto, ad andare «dietro» di lui (1,17). Cosa che allora aveva fatto (1,20).
Non solo, subito dopo il rimprovero a Pietro, Gesù, allargando il discorso a tutta la folla, ripete che, se uno vuole seguirlo, andando «dietro» di lui, deve rinnegare se stesso, prendere la sua croce e seguirlo (6,34).
Neanche il verbo, che viene spesso tradotto «vattene», ha nel Vangelo di Marco la sfumatura negativa del brusco allontanamento, che si è ritenuto giusto attribuirgli. Anzi, è più volte usato in episodi di guarigione per congedare amichevolmente i miracolati: «Va’ a casa tua» (2,11 e 5,9), «Va’, la tua fede ti ha salvato» (10,52). E, in quest’ultimo caso, con Bartimeo che riacquista la vista e subito si mette a seguirlo sulla strada verso Gerusalemme, l’invito. Non prelude affatto ad un distacco, ma proprio alla sequela.
Ora tutto questo non può essere casuale: si intravede anzi una precisa coerenza terminologica e una intenzionalità simbolica. Pietro si fa Satana per Gesù, ossia lo tenta, perché rifiuta l’idea e la prospettiva della Passione, che fa parte della manifestazione dell’amore salvifico di Dio. Gesù gli dice: «Non hai i pensieri di Dio, ma i pensieri dell’uomo». Non per questo lo maledice o lo butta fuori. Lo invita piuttosto a rimettersi sulle sue orme, a seguirlo nella strada che lo porta alla croce. «Torna a seguirmi!»: gli dice.
Poco oltre Marco tratteggia Gesù, appunto, nell’atto di precedere i suoi discepoli sulla strada verso Gerusalemme (10,32), un precedere che si accompagna, ancora, ad un insegnamento sulla passione, il terzo.
Questo atteggiamento di Gesù verso i discepoli, che è spesso di rimprovero sconsolato per la loro incomprensione, ma anche di sempre rinnovata pazienza e disponibilità a ricominciare, è del resto una caratteristica del Gesù di Marco. Non a caso, proprio nel momento in cui egli prevede che si scandalizzeranno tutti di fronte al suo arresto e si disperderanno, promette pure di tornare dopo la resurrezione a «precederli» in Galilea (14,27-28): dunque, a riprendere un’altra volta il cammino insieme, nella posizione di sempre. Gesù davanti e i discepoli dietro. E questo è il messaggio che riecheggia pure, alla fine del vangelo, nelle parole del messaggero alla tomba vuota: «Vi precede in Galilea» (16,7).