La Chiesa dei poveri


 

(…) La presente situazione storica dell’umanitá è caratterizzata da due grandi realtà, sulle quali la Chiesa ha la missione e il dovere di gettare la luce della Redenzione e della vita eterna: – da una parte, un immenso progresso nel dominio dell’universo, sostenuto da un immenso slancio; dall’altra, una immensa massa di poveri, una specie di enorme piaga nel costato dell’umanità, unita a un’immensa aspirazione dei poveri verso la propria liberazione e promozione.
Questi due problemi sono, nella loro sostanza, vecchi come il mondo: non sono, dunque, essenzialmente nuovi per la Chiesa; ciò che invece sembra nuovo, è l’ampiezza escatologica che assumono ai nostri occhi; o, più esattamente, è la manìfestazione più evidente del significato escatologico di queste due realtà: cioè dei rapporti tra vocazione finale dell’umanità e con la fine della sua storia.
La difficoltà di un simile problema è che noi ci troviamo, dal punto di vista cristiano. di fronte a due affermazioni: – da una parte, la povertà come un male, uno scandalo, una piaga dolorosa che bisogna cancellare: “non enim paupertas secundum se bona est” (S. Tomaso…), dall’altra parte, la povertà come valore nell’ordine spirituale, come una delle caratteristiche specifiche dell’insegnamento del Cristo.
Ci si trova, dunque, di fronte a un doppio pericolo:
– o perdere di vista, nella ricerca della liberazione e della promozione temporale dell’uomo, l’esigenza evangelica della povertà;
– o, per uno spiritualismo disincarnato, predicare il Regno dei Cieli senza tenere conto della condizione concreta dell’uomo (donde l’accusa di «mistificazione»).

Dopo avere precisato e chiarito il problema, padre Mollat cerca di rispondere alla domanda: «In che senso si può dire che Gesù è presente nei poveri?».
Egli distingue questa presenza dalla presenza cucaristica, dalla presenza ecclesiale, dalla presenza gerarchica (ma bisognerà poi prendere in considerazione i rapporti di queste diverse presenze con quella del Cristo nei poveri, come domandava il cardinale Lercaro nel suo intervento).
Padre Mollat conclude:

Gesù è presente nei poveri in diverse maniere:
a) nell’intimo, facendo sue le loro sofferenze, egli chiama gli uomini all’amore fraterno. Il Cristo povero e sofferente che è in loro si manifesta a noi. (Ma come si può dire che il Cristo è povero e sofferente nei poveri?);
b) come un giudice che denunzia con la sua stessa povertà ogni farisaismo e ogni mondanità, un giudice che non lascerà mai tranquilla la Chiesa, sino al ritorno del Sìgnore, «perché avrete sempre dei poveri tra voi». (Ma il Cristo in che modo fa sua la miseria degli uomini per domandarne conto a noi?);
c) come testimone, un segno, un richiamo vivente della povertà radicale dell’uomo e dei valori essenziali del Regno. (Ma perché l’uomo, o meglio, la massa degli uomini è condannata alla miseria davanti a un pugno di privilegiati che approfittano anche di questa testimonianza invitando i poveri alla povertà di spirito?);
d) come una immagine privilegiata di quello che è stato Gesù in mezzo a noi e delle vie di redenzione scelte da lui. (Ma che rapporto ha Gesù con questa immagine? E perché ha scelto questa via di redenzione?);
e) come un oggetto di predilezione divina in ragione stessa della loro povertà. (Ecco il problema di fondo: perché e in che cosa il povero è oggetto di predilezione divina, amato di un amore tale che Gesù lo identifica con se stesso?).

Donaziano Mollat
biblista

(da Paul Gauthier, La Chiesa dei poveri e il Concilio, Firenze 1966)


 

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